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Lo chiamavano Jeeg Robot

In tempi eccezionalmente duri, servono duri eccezionali, ed anche Roma finalmente ha il suo supereroe ...
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In tempi eccezionalmente duri, servono duri eccezionali, e, così come accade a Gotham City e Metropolis, anche a Roma emerge finalmente un supereroe.

Per sfuggire ad un paio di poliziotti che lo inseguono, un ladruncolo di borgata si nasconde nel Tevere (proprio sotto a Castel Sant'Angelo), e finisce sopra un deposito di rifiuti radioattivi; sfondandone accidentalmente un barile, viene investito dal suo contenuto. L'indomani scoprirà di essere dotato di forza sovrumana e di essere quasi invulnerabile.

Come spesso accade nei film di supereroi, è il fato a segnare il destino del protagonista, che, nel nostro caso, di fare l'eroe all'inizio non ne vuole proprio sapere, anzi, una volta scoperta la propria forza, la utilizza per commettere qualche furto sensazionale. A far da sfondo alla vicenda, una Capitale segnata da una politica corrotta (ahimè, non è la parte fantapolitica del film) e colpita da attacchi di stampo terroristico, che smetteranno solo quando verrà tolto il blocco agli appalti pubblici (sottile ironia su chi commette questi atti?).

La mentalità popolare è quella dell'apparire, stigmatizzata nel cattivo di turno – lo Zingaro (convincente interpretazione anche per Luca Marinelli) che, dopo aver tentato la sorte in tv prendendo parte a Buona Domenica, tenta di saltare all'onore delle cronache pubblicando i propri crimini su YouTube.

Claudio Santamaria e Luca Marinelli danno vita ad uno splendido binomio eroe-antieroe, risultato notevole per una pellicola italiana abbastanza low budget, che di questo tuttavia non soffre.

Il regista, Gabriele Mainetti, sfugge abilmente al clichè della romanità e del film “italiano a tutti i costi”; gioca con le caratteristiche tipiche della storia di borgata e di malavita, ma non se ne lascia sopraffare. Finalmente un bel film italiano capace di muoversi in modo abile tra gli stilemi dei film di genere, un eroe in fondo coatto, porno-dipendente con la sua principessa da salvare, che, pur non staccandosi dalle proprie origini, non scade nel ridicolo e nella macchietta “all'italiana”. Per tutta la durata del film è alla ricerca della propria strada, e paradossalmente si copre il volto proprio quando commette atti antieroici, restando invece a viso scoperto nelle occasioni in cui vuole aiutare. Solo alla fine, quando avrà deciso cosa fare del proprio potere, finalmente indossa la maschera e diventa davvero Jeeg.

Lo chiamavano Jeeg Robot verrà apprezzato in particolar modo da una certa generazione di italiani (tra cui la sottoscritta), cresciuti con poderose iniezioni di cartoni animati sui “robottoni” giapponesi, distribuiti negli anni Ottanta in TV, spettatori che si potranno godere anche la splendida cover della sigla del cartone animato originale, che accompagna i titoli di coda (vale la pena vederli fino alla fine!) e cantata dallo stesso Claudio Santamaria.