Tutti pazzi per i canederli “giapponesi”
È una love story gastronomica quella che Cecilia Boasso, 29enne trentina, sta vivendo a Kamakura, la capitale religiosa, traboccante di templi, del Giappone, Paese in cui ha deciso di trasferirsi dallo scorso aprile allo scopo di assorbirne l’arte culinaria (e non solo) e riempire di nuove idee il bagaglio di viaggio. Quella di Cecilia non è una di quelle storie da rubricare sotto la voce “mollo tutto e cambio vita” ma un’avventura a tempo che poggia su intraprendenza e avido desiderio di conoscenza.
La strada per i fornelli è lastricata di buone intenzioni, ma prima arriva la laurea a Londra in Graphic design e una bachelor’s degree alla University of the Arts of London, “allora sembrava la scelta più sicura, ma tornata a Trento ho capito che avrei avuto poche chance lavorative”, spiega la giovane trentina. Di qui la virata verso la cucina. Dopo due anni di scuole serali (all’alberghiero di Rovereto) per apprendere le basi del mestiere la wannabe chef si fa le ossa all’Osteria San Martino e allo Scrigno del Duomo di Trento oltre che al Rifugio Maranza a Cima Marzola con lo chef Paolo Betti, presidente dell'Alleanza dei Cuochi Slow Food Trentino, che le farà da mentore. “Paolo mi ha insegnato l’importanza di una cucina sana, l’aver condiviso questa sua filosofia e sviluppato una sensibilità verso la materia prima mi ha fatto orientare, a livello professionale, verso la cucina vegetariana, abbandonando la via del sushi che inizialmente avevo scelto perlopiù per una questione di ‘moda’”.
Proprio in questi giorni Cecilia ha ottenuto il visto che le darà la possibilità di lavorare per un anno nel Sol Levante. “Quando sono arrivata per la prima volta in Giappone - racconta - sono atterrata a Tokyo, passando dal caldo soffocante della Thailandia alle rigide temperature invernali della capitale nipponica. Pioveva, era mezzanotte ed ero alla ricerca del mio ostello, ma senza internet non avevo alcuna idea di dove mi trovavo una volta uscita dalla metro. Vedendomi in difficoltà un signore mi ha aiutato accompagnandomi fisicamente fino all’ostello, una struttura che è quanto di più lontano rispetto a ciò a cui siamo abituati: tutto era completamente automatico e di personale in carne e ossa nemmeno l’ombra, ecco, questo è stato il mio primo approccio con il Paese”. Giunta a Kamakura nel giro di pochi giorni Cecilia realizza che in effetti le differenze con Trento in termini di stile e costo della vita non sono poi molte, “città care entrambe, ma quello che mi ha più stupito è stato appurare che la frutta viene venduta in tutti i negozi, dal più chic al più popolare, a prezzi stellari, è praticamente un bene di lusso”. Un po’ perché nelle piantagioni vengono utilizzate tecniche agronome sofisticate, un po’ perché sono pochi gli agricoltori e poca è anche la frutta che arriva sui banchi per essere acquistata.
I primi scambi cultural-gastronomici si materializzano durante alcuni corsi di cucina italiana per i giapponesi nei quali la cuoca propone piatti tipici della cucina trentina, poco conosciuta in Giappone nonostante i numerosissimi ristoranti italiani gestiti da chef locali capaci di replicare le ricette mediterranee a regola d’arte. Poi un recente e provvidenziale festival a Kamakura offre a Cecilia un palcoscenico ideale. “Era un evento a tema ‘strisce’, i negozi che partecipavano facevano sconti a chi indossava un indumento a strisce, lo stesso giorno peraltro si celebrava anche la Festa della mamma, una coppia di amici mi ha chiesto di cucinare italiano per pubblicizzare la loro caffetteria e cercavano qualcosa di originale, in versione da passeggio. Allora mi è venuta l’idea dello spiedino di canederli, un tris agli spinaci, al pomodoro e al formaggio”. Una trovata che è piaciuta ai giapponesi perché lo stecco somigliava, anche nei colori, ai loro “dango”, una sorta di gnocco dolce fatto con la farina di riso. “Ho riproposto il canederlo da passeggio nelle lezioni di cucina, e ora mi tocca cucinarne a bizzeffe”, dice entusiasta Cecilia. Nel frattempo la giovane cuoca ha trovato lavoro in un ristorante della città, il Takeru 15, dove fare gavetta prima di tornare nella sua Trento. Con un’ispirazione che pulsa al ritmo di cucine etniche e combinazioni di gusti. “Viaggio, mi sposto, ma l’Italia mi manca sempre - ammette -, riporterò a casa quello che imparerò sull’arte culinaria e la tradizione giapponese, in più sto scoprendo cose molto interessanti sulla cucina asiatica, da quella coreana a quella thailandese. Contaminazioni che metterò in pratica al mio ritorno. Con che formula? È ancora presto per dirlo, ma vi stupirò”.