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Revenge Porn, anche no!

Parlare di "Revenge Porn" è fuorviante perché il fenomeno non riguarda né la pornografia né la vendetta. Il suo vero nome? Diffusione Non Consensuale di Materiale Intimo.
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Foto: Ni una menos

Regolarmente arrivano notizie riguardo alla pratica diffusa della Diffusione Non Consensuale di Materiale Intimo (DNCMI). 
È un fenomeno che parte con la pubblicazione di immagini private e a sfondo sessuale, senza consenso della diretta interessata, con una condivisione successiva da rendere questa pubblicazione virale. Parlo al femminile perché secondo il European Institute for Gender Equality è donna il 90% delle vittime della DNCMI, come del resto sono il target più frequente per tutte le forme di violenza online. Ne veniamo a conoscenza soprattutto se si tratta di donne famose o quando ci sono ripercussioni importanti, ma questa pratica violenta è molto diffusa e vede un sommerso enorme. Si tratta di un fenomeno relativamente recente e cresciuto rapidamente, che coinvolge un importante numero di donne senza esclusione in base alla classe sociale o demografica.  

Nell’uso comune questa pratica viene definita Revenge Porn, termine molto fuorviante. Le matrici non sono sessuali, né pornografiche e nemmeno di vendetta. Piuttosto, ancora una volta, lo sono il potere e il controllo della sessualità femminile

Viene riconosciuto in Italia a livello normativo dal Codice Rosso nel 2019, che punisce con una reclusione da uno a sei anni e con una multa “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso della persona rappresentata”. Questo è un passaggio importante che chiarisce come la DNCMI costituisce un reato a tutti gli effetti. Resta invece molto lavoro da fare per abbattere le resistenze della nostra società, per evitare l’alto rischio di vittimizzazione secondaria, per facilitare la raccolta di prove.

Nell’uso comune questa pratica viene definita Revenge Porn, termine molto fuorviante. Le matrici non sono sessuali, né pornografiche e nemmeno di vendetta. Piuttosto, ancora una volta, lo sono il potere e il controllo della sessualità femminile. Nonostante la trasversalità del fenomeno, cambiano le modalità di esercizio del potere: per donne giovani la DNCMI è spesso virale e avviene con una motivazione di “trofeo”, una sorta di bullismo sessualizzato tra pari. Per donne più grandi, invece, la DNCMI ha più una funzione di minaccia, ricatto, sfruttamento con fini di controllo. Il termine stesso di Revenge Porn suggerisce questo gioco patriarcale. 

Il concetto della vendetta riduce il campo a due persone, quando in realtà sono molte le persone che partecipano all’abuso

Partiamo dal Revenge, dalla vendetta: Un concetto che innanzitutto presuppone un torto all’origine, un’azione precedente che giustifica una vendetta. In realtà è invece semplicemente l’azione di rendere pubblico un momento intimo per il semplice fatto di avere il potere di farlo e nella consapevolezza che il senso di colpa assieme allo stigma sociale ricadrà comunque sulla donna.
Inoltre, il concetto della vendetta riduce il campo a due persone, quando in realtà sono molte le persone che partecipano all’abuso, altrimenti come ci spieghiamo la viralità delle immagini? Questo mi ricorda l’evergreen del ”tra moglie e marito non mettere il dito” nella violenza domestica: fatti considerati privati che ci vedono complici silenziosi.

 

Abbiamo poi il Porn, il riferimento alla pornografia: Da un lato lascia sottintendere un consenso che invece non c’è nella condivisione di momenti privati; la pornografia è fatta per la diffusione, questo materiale no. Non importa che si tratti di materiale fatto consapevolmente o sottratto (ad es. con fotocamere nascoste). Dall’altro lato il termine Porn in questo contesto dà una connotazione, ancora una volta “ambigua” e riflette chiaramente la colpevolizzazione della sessualità femminile.
Il perché di tutto questo sotterfugio terminologico? Ancora una volta va a sminuire una forma di violenza maschile sulle donne, per renderla più digeribile, meno devastante, per giustificarla. Ma le conseguenze per chi vive questo tipo di violenza sono le stesse come per chi sopravvive a violenze sessuali. E assumere la prospettiva e lo sguardo di chi subisce queste azioni a partire da una corretta definizione del reato, è un primo importante passo. Chiamiamola per quel che è: Diffusione Non Consensuale di Materiale Intimo.