Fra i temi caldi nel dibattito sull’autonomia altoatesina degli ultimi settant’anni, forse solo quello della scuola supera per importanza, delicatezza e asprezza quello sul rapporto tra la proporzionale etnica e l’edilizia sociale. Ne
scrissi su queste pagine cinque anni or sono ma vale la pena, visti gli ultimi sviluppi del dibattito, di tornare sull’argomento.
Bloccare la Todesmarsch
Tanto per capirci bene una parte più che consistente del discorso pronunciato da Silvius Magnago a Castelfirmiano nel 1957 è dedicata proprio a questa tematica. L’Obmann si rifà al concetto della “Todesmarsch” teorizzata qualche anno prima dal Canonico Gamper e individua nel ritmo accelerato di costruzione, a Bolzano ma anche in altri centri della provincia, di alloggi popolari una delle cause che portano alla presunta esplosione dell’immigrazione italiana (studi storici e statistici più recenti hanno abbastanza ridimensionato l’entità del fenomeno) e quindi il rischio per i sudtirolesi di ritrovarsi prima o poi minoranza nella loro terra. Gli italiani che arrivano qui, sostiene Magnago, hanno punteggi superiori a quelli dei sudtirolesi e quindi occupano tutte le case che vengono costruite. Poi arrivano altri italiani che hanno bisogno della casa e vengono costruiti nuovi alloggi.
Non è un caso che il motivo immediato e scatena la grande crisi della prima autonomia sia stato proprio dato dall’annuncio di un nuovo programma di costruzione di alloggi popolari deciso da Roma. Non deve altresì meravigliare che uno dei passaggi chiave su cui si impernia la trattativa per il nuovo assetto autonomistico, che procede faticosamente durante tutti gli anni 60, sia proprio quello di riequilibrare la presenza etnica all’interno dei meccanismi di concessione dei benefici sociali per la casa.
È anche una delle questioni che suscitano le polemiche più accese. Quando, con il nuovo Statuto, si decide di assegnare gli alloggi popolari con graduatorie separate per gruppo etnico in base alla consistenza proporzionale dei gruppi linguistici la polemica è al calor bianco. Si fa notare come i richiedenti del gruppo tedesco ottengano le case con punteggi assolutamente inferiori a quelli del gruppo italiano. La questione prosegue per alcuni anni sino a quando, riequilibrato in qualche modo il rapporto tra i gruppi linguistici, il criterio del bisogno diventa di nuovo rilevante.
Torniamo alla “Proporz”
In queste settimane la questione sembra tornare di attualità sotto almeno due aspetti. Nella trattazione in commissione di un disegno di legge che riguarda proprio l’edilizia agevolata viene presentato, da parte di un esponente della corrente “sociale” della Südtiroler Volkspartei, un emendamento in base al quale bisognerebbe tornare ad un’applicazione rigida della proporzionale etnica della concessione degli alloggi. La situazione attuale, egli sostiene, finisce per favorire soprattutto le famiglie di recente immigrazione, a reddito molto basso e con numerosi figli, mentre i richiedenti di madrelingua tedesca vengono svantaggiati da questa situazione. A monte, giova ricordare, ci sono anche le richieste avanzate da anni dalle forze di destra sia di lingua italiana che di lingua tedesca, secondo le quali bisognerebbe privilegiare nell’assegnazione di alloggi e contributi i residenti “storici”, confinando le famiglie di recente immigrazione, stranieri per lo più, in un’area molto limitata.
È la logica del “prima gli……”, laddove la frase può essere completata a piacere inserendo il proprio gruppo e di marginalizzare gli altri, passando sopra al criterio del bisogno.
Tra i dati di fatto che occorre tener presenti quando si affronta la questione c’è però anche quello relativo al fenomeno dell’immigrazione in Alto Adige gli ultimi decenni. Ormai la quota di stranieri che risiedono stabilmente in provincia si aggira attorno al 10% della popolazione. Di fatto, dal punto di vista numerico, si tratta del terzo gruppo dopo i tedeschi e gli italiani. Si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di persone che hanno un lavoro più o meno regolare, che mandano i loro figli a scuola e che, non senza problemi, stanno percorrendo un tragitto di integrazione nella nostra società. È ovvio che questi immigrati più o meno recenti abbiano bisogno di una casa e che, visto tra l’altro il livello del mercato immobiliare a Bolzano, non possono nemmeno pensare all’ipotesi di rivolgersi al mercato libero per un affitto o addirittura per un acquisto. L’unica possibilità che hanno è quella offerta dall’edilizia sociale. Se è vero come è vero che di questa forza lavoro le aziende della provincia hanno assolutamente bisogno, come ripetono giorno dopo giorno gli imprenditori, occorre anche organizzare il sistema in modo tale da permettere loro di esercitare il fondamentale diritto ad avere una casa per sé e per la propria famiglia.
Tra l’altro il semplice ricorso allo strumento della proporzionale, come ipotizzato dall’esponente SVP, non pare idoneo a risolvere il problema, visto che i meccanismi attualmente previsti per la dichiarazione di appartenenza etnica consentono l’aggregazione ad uno dei tre gruppi ufficiali anche da parte di coloro che risultano stabilmente insediati in provincia pur non avendo la cittadinanza italiana o quella di un altro paese comunitario.
Per raggiungere lo scopo di escludere gli stranieri dalle graduatorie bisognerebbe proprio elaborare una norma ad hoc basata quindi non sull’appartenenza linguistica ma sugli anni di residenza in provincia, sulla cui costituzionalità graverebbero parecchi dubbi e alcune sentenze già emesse sui tentativi effettuati altrove.
La terra è finita
La questione non può essere risolta che in un altro modo: varando da parte della Provincia un colossale programma di edilizia sociale che metta a disposizione dei richiedenti un numero molto maggiore di case popolari di quelle disponibili adesso. Case a costruire laddove le liste dei richiedenti paiono più lunghe che altrove, ma soprattutto, come è ovvio, nella città capoluogo.
A Bolzano, anche se si tende a dimenticarlo, vive un altoatesino su cinque. Un altro dei meccanismi con i quali, nel porre in essere la seconda autonomia, si decise di frenare a qualunque costo l’immigrazione italiana per tutelare la consistenza delle minoranze tedesca e ladina, fu quello di bloccare in modo rigido l’espansione della città, che, negli anni 60, qualcuno già immaginava con 150.000 abitanti ed estesa su tutto il territorio della conca. Il diktat, rigidamente imposto ed applicato dall’allora nume tutelare dell’urbanistica provinciale Alfons Benedikter, fu quello secondo il quale non un metro quadro di terreno agricolo ancora esistente attorno alla città sarebbe stato ulteriormente sacrificato.
È un dogma che per Bolzano è stato mantenuto nel corso dei decenni, anche se qualche sbavatura è stata concessa in tempi recenti ad ovest di via Resia (quartieri Casanova e Firmian) e lungo l’asse di via Druso nelle zone attorno all’ospedale. È un principio assoluto che è stato recentemente ribadito con forza sia dallo stesso Sindaco Caramaschi (“Non possiamo occupare tutta la conca!”) dal vicesindaco e assessore all’urbanistica SVP Walcher e dallo stesso Presidente Kompatscher. Il verde agricolo attorno alla città, ora ulteriormente tutelato da cancelli e recinzioni, deve restare a tutti i costi intonso. Alla mancanza di terreni su cui costruire, considerata non a torto come una delle cause principali dei prezzi esorbitanti delle case in vendita e in affitto a Bolzano, si è deciso di ovviare aumentando la tassazione IMI sugli alloggi sfitti.
Su questa legge, approvata tra l’altro da una maggioranza anomala visto il voto favorevole dei Verdi e la contrarietà della Lega, si è aperto un vivace dibattito tra coloro che la considerano giustificata per colpire gli speculatori che tengono gli alloggi vuoti per evitare di dover abbassare i prezzi e chi invece sostiene che la manovra avrebbe scarsi effetti pratici sull’andamento del mercato immobiliare, finendo per colpire anche coloro che tengono affitto un appartamento in attesa di farlo occupare da un figlio o da un parente.
Restano forti dubbi sul fatto che un aumento di tassazione possa provocare un crollo dei prezzi e degli affitti tale da modificare sostanzialmente una situazione che a Bolzano si è cristallizzata ormai da decenni. Ora, tra l’altro, con la trasformazione di centinaia di alloggi, soprattutto nel centro storico, in locali adibiti ad affitti turistici brevi e con il rinnovato interesse per gli investimenti immobiliari in Alto Adige della clientela austriaca e germanica, l’ipotesi di provocare una caduta verticale dei prezzi appare abbastanza illusoria.
La situazione è quella che è. Il Comune di Bolzano deve chiudere le farmacie perché non trova professionisti che vogliono venire a lavorare in una città dove il costo della vita quotidiana, a cominciare proprio da quello per un bene fondamentale come quello della casa, è superiore a quello di molti altri luoghi che possono vantare un livello di qualità di vita non inferiore a quello del capoluogo altoatesino. Se, come abbiamo visto sopra, le famiglie di recente immigrazione non ce la fanno a sostenere il peso di un affitto nel settore privato, questo elemento ostacola anche le scelte di professionisti, che preferiscono andare a lavorare da qualche altra parte per non parlare degli studenti universitari, costretti a rinunciare a frequentare il quotato ateneo bolzanino proprio perché non sono in grado di sostenere le spese per l’alloggio.
Questa è la situazione. Per un po’ di tempo e in diversi casi il problema è stato risolto “esportando” altrove le persone che ogni giorno vengono a lavorare a Bolzano. Il vicino centro di Laives, ma tutta la Bassa Atesina e l’Oltradige vedono la presenza di lavoratori che qui, in virtù di una politica urbanistica evidentemente meno rigida di quella applicata a Bolzano, hanno trovato alloggi ad un prezzo più ragionevole. Il risultato è quello del flusso di pendolari che, dalla direttrice sud ma anche dall’Oltradige e dal Burgraviato si muovono ogni mattina verso Bolzano.
Fantaedilizia
Adesso però dai comuni di Laives e Appiano arriva un secco no alla richiesta, avanzata dal primo cittadino di Bolzano Caramaschi, di mettere a disposizione sui loro territori delle aree dove edificare i nuovi quartieri di edilizia popolare che a Bolzano non potranno essere realizzati. L’IPES infatti annuncia che andrà a bussare alla porta del Municipio per chiedere dove poter costruire le case per i lavoratori che l’industria e i servizi richiedono a gran voce ma che a Bolzano una casa non la possono trovare perché non hanno i soldi per potersela permettere.
È un dibattito che si arrotola su sé stesso. Si fanno progetti e si immaginano soluzioni futuribili come quella dell’Areale ferroviario, in ballo ormai da decenni e la cui realizzazione si sposta avanti nel tempo o delle caserme di via Druso, ma è abbastanza chiaro che si tratta di palliativi anche perché è più che possibile che su una parte consistente di questi terreni opererà l’edilizia privata che realizzerà ancora appartamenti da immettere su un mercato comunque florido ma al quale troppi bolzanini o aspiranti tali non potranno mai permettersi di accedere.
Inevitabilmente richiusa nel suo angusto pezzetto di conca, Bolzano non potrà che continuare a vivere la realtà schizofrenica di oggi, con il mercato selvaggio di case in affitto, parecchie delle quali probabilmente prive di ogni requisito di abitabilità come Salto ha ben
documentato, con le vecchie case del Centro ristrutturate per ospitare, probabilmente in “nero” in diversi casi, i turisti, con l’assalto dagli investitori esteri alle case di lusso dei quartieri “bene”, con le colonne di pendolari in arrivo al mattino e in partenza alla sera. Con la sperequazione sociale che cresce di giorno in giorno, alla faccia dei proclami e delle commosse affermazioni di chi a questa situazione dovrebbe porre rimedio.
Tutte le proposte per risolvere la situazione sono benvenute, salvo una: quella di rimettere in discussione il dogma. Chi ci provasse solamente verrebbe fulminato all’istante.
Eppure….