Ebrei da Merano ad Auschwitz
Fu Merano il teatro della prima deportazione di ebrei attuata su territorio italiano dopo l’8 settembre 1943. Di quei giorni ricorre ora il settantesimo anniversario.
L’ordine di arrestare i cosiddetti Volljuden (persone con entrambi i genitori ebrei) fu recapitato ai fiduciari di sezione dell’AdO (Arbeitsgemeinschaft der Optanten für Deutschland) dei distretti altoatesini il 12 settembre 1943 dal brigadiere generale delle SS Karl Brunner. La retata che portò all’arresto di tutti gli ebrei rimasti a Merano scattò nelle ore e nei giorni immediatamente successivi. Vi presero parte militari dell’SD (Sicherheitsdienst) coadiuvati da alcuni meranesi inquadrati nel SOD (Sicherheits u. Ordnungsdienst). A quanto sembra la lista nera fu fornita alla Gestapo dalla polizia italiana che l’aveva redatta a seguito delle leggi razziali del 1938.
I primi giorni dopo l’8 settembre i militari germanici si erano concentrati sulla cattura a l’internamento dei soldati italiani di stanza a Merano e nelle altre località altoatesine. A partire dal 12 settembre, nel giro di poco tempo, caddero nelle mani dei nazisti oltre venti persone: Lodovico Balog, Geltrude Benjamin, Alfred Bermann, Guglielmo Breuer, Francesca Stern De Salvo con la figlia Elena, Jenni Dienstfertig Vogel, Meta Elkan Sarason (Benjamin), Giuseppina Freud Balog, Enrico Gittermann, Maurizio Götz, Abram Hammer, Giuseppe Israel Honig, Walli Knapp Hofmann, Antonia Taube Kurz Hammer, Emilio e Sigfried Löwy, Teresa Reich, Caterina Robitscheck Breuer, Emma Saphier Götz, Ernestina Vogel e Carlotta Zipper.
Si trattava per lo più di uomini e donne relativamente anziani. Il più vecchio era Giuseppe Honig (83 anni), la più giovane Elena De Salvo (appena sei anni). Gli arrestati vennero rinchiusi nelle cantine della casa GIL (o “del Balilla”). Altre persone coinvolte nella deportazione: Regina Gentili, Aldo Castelletti, Giovanna Wolf Gregory, Caterina Rapaport Zadra e Teresa Weiss Bermann, Leopold Götz, Jacob Augapfel, David Apfel, Edvige Tauber.
Nella casa del Balilla gli arrestati furono tenuti in uno stanzone dello scantinato. Per evitare che trapelassero grida e pianti si inchiodarono le finestre, benché le giornate ancora afose rendessero l’atmosfera asfissiante, tragico preludio di ciò che sarebbe accaduto nei KZ. Malgrado molti dei prigionieri fossero malati, li si lasciò senza cibo né acqua, concedendo solo alla sera, a qualche donna, di recarsi alla toilette. Perquisiti e spogliati di ogni oggetto di valore, furono brutalmente interrogati dal comandante delle SS.
La sera del 16 settembre vennero infine stipati su due grosse auto. Attraverso i passi del Giovo e del Brennero, furono trasferiti al campo di concentramento di Reichenau presso Innsbruck dove alcuni di loro morirono. Gli altri, nella primavera del 1944, compirono il loro ultimo viaggio. Destinazione: le camere a gas di Auschwitz. Del gruppo una sola persona riuscì a salvarsi: la baronessa Walli Hofmann, cittadina del Liechtenstein, della quale si interessano le autorità consolari svizzere.
Pietre d’inciampo
La Merano multiculturale da allora si interroga sul silenzio che accompagnò la deportazione. Ad amplificare le molte domande relative a quei giorni, nel maggio del 2012 una trentina di “pietre d’inciampo” (Stolpersteine) sono state incastonate nei marciapiedi della città, di fronte alle case appartenute ai deportati. Le pietre (metalliche) riportano i nomi e i dati essenziali degli ebrei e degli altri deportati da Merano.
“Sono oltre 32.000 le ‘pietre d’inciampo’ disseminate in tutta Europa, per iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig in quasi vent’anni di attività”, spiega lo storico Pietro Fogale. A portare l’iniziativa a Merano i ragazzi della Scuola alberghiera in lingua tedesca Savoy, del Liceo scientifico in lingua italiana, del Liceo pedagogico in lingua tedesca e dell’ITAS di Bolzano. “Le pietre dedicate a meranesi che persero la vita nei campi di concentramento e di sterminio nazista ricordano 28 concittadini di religione ebraica e cinque deportati per motivi politici”. “È importante – scrive Fogale – rammentare a giovani e meno giovani che i regimi prima di tutto mirano a distruggere e ad annientare l’uomo che considerano in qualsiasi modo a loro estraneo”.
Inoltre, “come ci ricorda l’artista Gunter Demnig, le pietre d’inciampo costringono chi vuole leggerne i nomi a inchinarsi, così che anche in questo modo si possa restituire loro la giusta dignità e il doveroso rispetto”.
la commemorazione in sinagoga
Il 16 settembre del 1943 si concludeva il rastrellamento con la conseguente deportazione degli ebrei meranesi, i primi in Italia a essere deportati. La comunità ebraica, a 70 anni di distanza, ricorda quel triste giorno con una commemorazione aperta a tutta la cittadinanza.
cfr. https://www.facebook.com/events/454574414657336/
ricerche in archivio
Le ricerche in archivio per ricostruire le biografie dei deportati e poter mettere le pietre d'inciampo sono state fatte dai ragazzi del liceo pedagogico tedesco e da quelli del liceo Gandhi coordinati dalla professoressa Pruccoli. Gli altri ragazzi delle altre scuole hanno contribuito in modo diverso.