Il prof che rendeva tutto interessante
Al Liceo ho avuto la fortuna di avere alcuni professori davvero notevoli, Alessandro Cavagna però era di gran lunga il mio preferito. Allora davamo del lei ai professori e loro facevano lo stesso con noi, il primo posto al mondo dove qualcuno mi ha dato del lei, ora che ci penso, è stato proprio il Liceo. Sembrano passati cento anni ma in realtà sono solo poco più di venti; racconto tutto questo per rendere il clima: i ruoli erano molto chiari e i professori non erano le figure mal sopportate non solo dagli alunni ma anche dai genitori che sono diventate oggi. In quel contesto dove non gli sarebbero mancati i mezzi coercitivi, Cavagna basava la sua autorità su due princìpi cardine, per i quali era diventato ben conosciuto: competenza (da parte sua) e volontarietà (da parte nostra). In sostanza chi non era interessato a seguire le sue lezioni poteva benissimo uscire dall’aula e non avrebbe subito conseguenze, quella non era la scuola dell’obbligo.
Non sono un esperto di burocrazia scolastica, immagino però che un comportamento del genere, per quanto responsabilizzante, oggi sarebbe impossibile, metti che il minorenne poi scivoli in corridoio, collassi in bagno dopo essersi fumato un chiloom, o – forse ora più probabile– vada in overdose da TikTok: l’insegnante rischierebbe di passare guai seri.
Allora, invece, si poteva fare, eppure in tre anni furono solo una manciata le occasioni in cui qualcuno dei miei compagni si giocò la carta “esci di prigione”. Non ce n’era bisogno, Cavagna era un uomo estremamente colto – dava l’impressione di essere un professore universitario prestato al Liceo – e sapeva sempre come rendere interessante un argomento. Perché, quindi, uscire e fissare per un’ora le mattonelle del bagno?
, Cavagna era un uomo estremamente colto – dava l’impressione di essere un professore universitario prestato al Liceo – e sapeva sempre come rendere interessante un argomento.
Negli anni successivi ho sempre pensato che quello fosse un principio aureo: se una cosa è complessa o richiede dello studio non per questo deve essere punitiva. Anzi, al contrario, proprio per gli stessi motivi è probabile che sia interessante e come tale dovrebbe essere presentata. L’intelligenza in moto è una delle poche cose che rendono la vita sopportabile, e durante le lezioni di Cavagna l’intelligenza si muoveva, eccome.
Alcuni aneddoti, sempre tratti da quei tre anni in classe. Il primo è in realtà una storia che raccontavano sia lui che le sue colleghe ed amiche Maria Pia Canali e Carla Baroni, altre istituzioni cittadine. La storia è questa: Cavagna ha da poco preso servizio come insegnante e se ne sta nella biblioteca del liceo a studiare il Ruzzante (o un altro argomento tipicamente cavagnesco). È un’epoca dove vanno ancora di moda gli scontri fra giovani di destra e di sinistra e fuori dalla biblioteca scatta una rissa, fra le persone coinvolte ci sono anche un paio di nomi che faranno poi carriera nella politica provinciale. Nella foga un ragazzo viene lanciato contro la finestra, la sfonda e crolla sul tavolo. Mentre il malcapitato si rialza dolorante e si scuote di dosso i vetri, Cavagna, a un metro di distanza, continua a studiare il Ruzzante, concentratissimo e ignaro di tutto. Non so se questa storia fosse del tutto vera o in parte romanzata, di sicuro per chi, come noi, aveva imparato a conoscere Cavagna, era verosimile.
Il secondo aneddoto è un incontro in aula magna, ospite uno scrittore italiano di cui non ricordo l’identità. Lo scrittore si lancia una tirata –un po’ pro domo sua – sul fatto che i ragazzi al liceo non leggono abbastanza narrativa italiana contemporanea e perdono tempo su inutili tomi polverosi di epoche ormai defunte. Cavagna si alza, chiede la parola e, sempre con grande savoir-faire ma con un po’ meno calma del solito nella voce, chiede: “Se i ragazzi non leggono Petrarca, Tasso e Guido Cavalcanti a scuola, quando li leggeranno?”
E noi, banda degli ultimi banchi, esplodiamo a suo sostegno, nonostante il fatto che, durante le lezioni dei professori meno dotati di Cavagna, sotto i banchi non leggessimo certo Pico Della Mirandola, ma Bukowski, De Carlo o Brizzi. Avevamo però capito, grazie alla bravura di Cavagna nell’insegnare, che aveva ragione lui: a scuola è giusto studiare altro, per i romanzi contemporanei rimaneva pur sempre tutto il resto del giorno (o le lezioni di biologia).
“Rielli, lei l’altra volta ha scritto un tema di sinistra, questa volta invece di destra”.
Ultimo aneddoto, questo è personale ma completa il quadro, credo. Premetto che Cavagna poteva occasionalmente stravolgere a piacimento la scala dei voti, ricordo ad esempio di aver preso un 11 e un 12 su 10. Quel 12 non fu poi del tutto estraneo all’idea che incominciai a coltivare di poter diventare un giorno uno scrittore professionista. L’aneddoto però è un altro ed è questo: due diversi temi in classe, a distanza di qualche settimana l’uno dall’altro, in entrambi i casi scelsi le tracce di attualità, categoria che Cavagna, al contrario di alcuni suoi colleghi, non penalizzava mai; sapeva infatti dare il giusto peso a un’argomentazione ben costruita anche se non riguardava questioni letterarie o fatti storici.
Il primo andò molto bene, il secondo pure. Mentre mi riconsegnava il secondo tema però, Cavagna disse divertito “Rielli, lei l’altra volta ha scritto un tema di sinistra, questa volta invece di destra”. Non sapevo bene cosa rispondergli, la verità era che non ne avevo idea. A sedici anni non sapevo quali fossero le posizioni degli schieramenti politici su quei temi. E provai, mentre tutta la classe osserva, a giustificarmi proprio in quel modo.
“Non saprei, ho scritto quello che pensavo”
Cavagna sorrise e disse:
“Ha fatto bene”.
Avercene di professori così.
Le mie più sincere condoglianze ai suoi famigliari.
Alessandro Cavagna è stato
Alessandro Cavagna è stato mio professore al classico "Carducci" di Bolzano, quando ancora la sede era in piazza Domenicani.
Era subentrato al ginnasio a Carla Faccioli, in aspettativa al tempo, poi ha optato per lo scientifico "Torricelli" sempre a Bolzano. Ed è per questo che il mio ricordo è soprattutto sulle sue lezioni di greco; ricordo come se fosse ieri la sua assoluta competenza nella materia e in modo molto vivo la sua capacità di coinvolgerci al di là della disciplina. Poi dopo il ginnasio, al liceo, di greco abbiamo avuto Moggio, insomma, un percorso di studi che non dimentico quello del classico "Carducci" di Bolzano.
Grazie, Daniele Rielli
Grazie, Daniele Rielli
bellissimo ricordo
Luisa