Politik | Il commento

Wolfgang, tra noi un dialogo fra sordi?

Mi tocca replicare al pamphlet scritto da Wolfi Mayr contro di me per l'articolo sulle udienze alla Grundschule Gries. Per stoppare l'invasione degli italiani serve altro
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Foto: Bild: Wikimedia

Caro Wolfgang Mayr,

ti do del tu come si usa tra giornalisti, anche se non ci conosciamo di persona. Visto che non fingo di essere democratico, ma lo sono veramente, ho dato l’ok alla pubblicazione del pamphlet che hai scritto contro di me, per l’articolo „A udienza solo chi sa il tedesco", ma consentimi di replicare. Io non so in quale parte non ho capito (linguisticamente) la lettera della dirigente della scuola di Gries, ma sarebbe penoso (parole tue) se tu a tua volta mi avessi attaccato senza capire quello che volevo dire. Non volendo sputare sentenze senza conoscerti, tenderei a pensare che magari hai letto troppo in fretta e poi ti sei fatto guidare dalla rabbia. Provo a rispiegarlo a te e a tutti coloro che hanno trovato il mio commento fuori luogo.

Fammi però dire, prima di tutto, che tra le mille cose di cui sono stato accusato nella mia carriera, mi mancava quella di essere uno che vuole rinfocolare lo scontro etnico e che fa il gioco della destra italiana. Niente male per uno che dirige l’unico medium bilingue della provincia e che ha fatto parte di TUTTI i progetti di informazione plurilingue dal 1996 in poi ed è antifascista fino al midollo. Se questo è il livello, potrei dirti con una battuta che le tue argomentazioni potrebbero ispirare benissimo un comunicato di Süd-Tiroler Freiheit o della Lega di Salvini, ma non sarò così cattivo. Lo stile per me è tutto.

Magari con calma, un giorno mi spiegherai meglio in quale punto non ho capito la lettera della direttrice, visto che l’ho ricevuta da una persona di lingua tedesca, alla quale, quella inutile specificazione sulla lingua delle udienze, ha creato un certo fastidio. Prima di proseguire, ti chiedo solo di leggerti l’intervista rilasciata da David Augscheller al Corriere dell’Alto Adige oggi, domenica 26 marzo. Augscheller, come sai, è il DIRIGENTE della scuola tedesca più invasa dagli italiani e dagli stranieri. E ti invito a leggere alcuni commenti di dirigenti di scuole italiane ad un mio post che se vuoi ti posso mandare.

Sempre che il mio tedesco sia sufficientemente buono, mi pare di capire che io avrei insinuato delle cose non vere quando dico che la direttrice vuole tenere lontani dalle udienze i genitori che non hanno padronanza del tedesco. Come mi viene in mente un retropensiero talmente fascista che indigna solo Urzì e la Lega? (ne sei sicuro sicuro?). Perché mai dovrebbe essere quello l’intento della direttrice? Un’ipotesi assurda, un’insinuazione bella e buona, dici tu.  Tanto più che la direttrice è perfino disposta a dire: portatevi una persona di supporto o richiedete un mediatore.  Se fossi in una serie tv Netflix, ti direi: Wolfgang, are you kidding me?

Mio figlio è al nono anno di scuola italiana e in nessuna convocazione è mai stato specificato che le udienze vengono fatte in italiano. Perché? Di famiglie sudtirolesi-sudtirolesi che invadono le scuole italiane, dirai tu, non ce ne sono. Ed è vero. Ma ci sono famiglie pakistane, afghane, curde in grandi quantità che arrivano con ragazzi anche di 10-12 o 15 anni.  Quindi se ho un mediatore, bene, altrimenti se sono un prof e so l’inglese a udienza parlerò l’inglese. Altrimenti si prova con i gesti, e sennò non se ne fa nulla. Se una coppia germanica iscrivesse per sbaglio il figlio nella scuola italiana io sono SICURO che nel 95% degli istituti  i prof che sanno il tedesco farebbero tutti gli sforzi per parlare con questi genitori nella loro lingua. Bravi, e che ci vuole? dirai tu, parli di UNA famiglia, mentre nelle scuole tedesche quelle italiane sono molte decine, forse centinaia. Tutto vero. Ma mettere nero su bianco “la scuola è tedesca, le udienze si fanno in tedesco, sennò chiedete un mediatore”, è un po’ alla lontana come quando quei quattro fascistoni che secondo te mi sono ideologicamente vicini negli anni '80 dicevano: “Siamo in Italia, si parla in italiano”.

IO NON HO MAI PENSATO, NE’ DETTO NE’ SCRITTO che i genitori di lingua italiana che mandano i figli alla scuola tedesca hanno il diritto di fare le udienze in italiano. Copio incollo da me stesso: “Se un prof di lingua tedesca ha problemi con l'italiano, per carità, ci sta che non debba provare lui, imbarazzo. Ma perché mettere le mani avanti per l'intero corpo docente? Se tra questi insegnanti c’è qualche anima pia plurilingue e disposta a venire incontro ad un genitore che magari sa l’italiano e il pakistano ma poco tedesco, perché far sentire il genitore una nullità con una lettera del genere?”.

Dicendo questo farei il gioco della destra? La società è di per sé complessa, e quella sudtirolese-altoatesina è più complessa di molte altre. Ci sono tre culture ufficiali e qualche decina di altre culture di cittadini migranti. I genitori non hanno diritto di scegliere la lingua con cui rapportarsi con l’istituzione (mai pensato diversamente), ma la scuola ha IL DOVERE di rispondere alla complessità evitando di dare risposte semplici e manichee a situazioni che richiedono un approccio complesso e possibilmente inclusivo.                                                                            

E’ una questione di priorità. “Nella mia scuola la priorità, anche nel dialogo con i genitori, è la comunicazione funzionante”, dice Augscheller sul Corriere. Questo, santo cielo, è l’approccio che mi aspetterei da una scuola italiana o tedesca nel Sudtirolo del 2023 e dalle persone di buona volontà che vivono in questa terra. Sono inconsapevolmente fascista? Può essere (mentre gli stessi dubbi non li puoi avere per Augscheller, spero!) La priorità, per me, non dovrebbe essere mettere il paletto del tedesco e far intervenire mediatori anche se i prof dell’alunno sanno l’italiano (o altre lingue). La priorità è comunicare con i genitori. E ribadisco: ci sono molte famiglie mistilingui nelle quali il coniuge non sa a sufficienza l’altra lingua e magari è quel genitore ad essere libero per poter andare ad udienza. Chiamiamo il traduttore anche se i prof sanno l’italiano? Are you fucking kidding me, Wolfgang?

Se una persona non ha il minimo di empatia per capire che questo è un atteggiamento inutilmente escludente, allora qui la comprensione linguistica non c’entra. C'è qualcosa di fondo su cui non ci intendiamo, che però per me ha a che fare con i grandi valori a cui ispiro tutta la mia vita pubblica e privata. Dal momento che ti so democratico, i tuoi toni devo dire che mi hanno molto sorpreso.

Io, pur avendo fatto sciroppare a mio figlio centinaia di ore di cartoni in lingua tedesca nei suoi primi 5 anni di vita, non l’ho neppure iscritto alle sezioni cosiddette “bilingui” della scuola italiana. E credo che non l’avrei neppure iscritto a una scuola plurilingue, se qualcuno avesse mai pensato di crearne una. La cosa per me tragicomica nell’essere trattato come un Walscher con tendenze fascistoidi è che le mie scelte personali sono dovute al fatto che condivido al cento per cento quello che dice Achammer sulla responsabilità dei genitori nel seguire i figli a scuola e, per non fare forzature penso che manderò mio figlio all'estero il tempo che gli sarà necessario per sapere perfettamente il tedesco e l'inglese.

Qualche tempo fa una coppia bolzanina di lingua italiana mi raccontò questo episodio: la loro figlia sedicenne, che dalla materna frequentava scuole tedesche, durante il classico litigio genitori-adolescenti esplose, dicendo: “Voi italiani siete tutti uguali …”.

Ma poi tu, Wolfgang, che sei una persona indubbiamente intelligente e colta, hai guidato la redazione del medium oggi più importante in Sudtirolo, ti sei mai chiesto PERCHE’ gli italiani invadono le scuole tedesche? Finché il mondo di lingua tedesca non prova a ragionare su questa semplice domanda non si fa mezzo passo in avanti. E dopo averci ragionato astrattamente, Wolfgang, dovresti provare a chiederti cosa comporti questa scelta concretamente. Che sono poi le ragioni per cui non mi è neanche mai sfiorata l’idea di mandare mio figlio alla scuola tedesca.

In un editoriale che mi è stato chiesto dal quotidiano trentino Il T ho raccontato questo aneddoto.                                                    

Qualche tempo fa una coppia bolzanina di lingua italiana mi raccontò questo episodio: la loro figlia sedicenne, che dalla materna frequentava scuole tedesche, durante il classico litigio genitori-adolescenti esplose, dicendo: “Voi italiani siete tutti uguali …”. Voi italiani. Lei, ormai, giustamente, si sentiva a tutti gli effetti sudtirolese di lingua tedesca. Ogni volta che mi immagino la scena, mettendomi nei panni dei genitori, il senso di frustrazione è sempre lo stesso. Questa, infatti, è una delle mille conseguenze non volute di un sistema autonomistico basato sulla rigida divisione dei gruppi linguistici. Non sono ammessi transfughi, e se ci sono, il sistema si incasina, come dimostra il nostro dialogo tra sordi. In questo caso l’episodio fa capire come persone del gruppo minoritario e privo di radici nel territorio, quello italiano, siano disposte a far crescere i propri figli nell’”altra cultura”, pur di avere la sensazione che nella vita possano giocare in Serie A.

Tutto questo è esattamente il contrario di una scelta fascistoide. E’ una rinuncia totale, disperata, a vivere la propria identità: come dire, avete vinto, ci arrendiamo.

Questo è il punto. Da un lato queste persone del gruppo italiano cercano una comoda scorciatoia per cui, nella versione moderna dell’homo homini lupus, può essere comprensibile che la scuola tedesca decida di usare qualsiasi mezzo per mettere dei filtri ma “a fin di bene, eh”. Ma d’altro canto questi ragazzi nati italiani, arrivati alla maturità, saranno a tutti gli effetti entrati in una cultura diversa da quella dei genitori, parleranno il dialetto, che è l’UNICA chiave per integrarsi veramente in questa terra, ascolteranno la musica che ascoltano i loro coetanei e leggeranno i libri dei loro coetanei di lingua tedesca e si iscriveranno serenamente ad Innsbruck. E tutto questo, perdonami, ma è esattamente il contrario di una scelta fascistoide. E’ una rinuncia totale, disperata, a vivere la propria identità: come dire, avete vinto, ci arrendiamo, assimilateci voi. Da un certo punto di vista è una scelta quasi commovente. E’ frutto di un sacco di sentimenti e idee che io non condivido, ma se una coppia italiana è così incosciente da essere pronta a far vivere al proprio figlio anni orribili, con una fatica di integrazione mostruosa, non capendo bene cosa il figlio fa a scuola, devo solo bullizzarla o cerco anche di modificare qualcosa nel sistema d’istruzione per evitare una scelta tanto disperata? E per questi disperati, dirai tu, mio figlio deve ritardare l’apprendimento e un prof deve sforzarsi di parlare in italiano, e non possiamo dire: la scuola è tedesca, punto? No, accidenti, io sostengo esattamente il contrario. Il SISTEMA deve dare una risposta diversa.

Nelle scuole della mia zona, i bimbi partono con un minimo di 9 ORE di (e in) lingua tedesca alla settimana e una quantità enorme di bimbi ormai ne fa DODICI.

La scuola italiana ha fatto finora tutto quello che poteva (con una strategia che ho criticato almeno in una ventina di articoli), riempiendo il percorso di studi di migliaia di ore di tedesco. Nelle scuole della mia zona, i bimbi partono con un minimo di 9 ORE di (e in) lingua tedesca alla settimana e una quantità enorme di bimbi ormai ne fa DODICI. Dodici. Alla settimana. Ciononostante i ragazzi arrivano alla quinta superiore che sanno meglio il tedesco rispetto alla mia generazione ma sono LONTANISSIMI dall’essere bilingui. Questi Walschen sono tutti deficienti e svogliati? Non credo. Il fatto è che per molti italiani tutto questo non basta. Come rispondiamo a questa esigenza? L’unico modo per imparare una lingua è usarla nella vita, con i propri coetanei, uscire insieme, andare al cinema... Come può avvenire oggi una cosa del genere con due sistemi del tutto separati e con la assoluta predominanza del dialetto sudtirolese nelle relazioni sociali? Può avvenire solo con il “salto” nell’altra scuola e rinunciando del tutto alla propria cultura. E se questa scelta, che per me è folle, la fanno solo gli italiani è perché sono dei fascisti invasori o perché per gli italiani il tedesco è INDISPENSABILE per lo sbocco lavorativo di gran lunga più importante e cioè quello nel pubblico impiego, mentre l’italiano non lo è per la gran parte dei ragazzi di lingua tedesca? E così si spiega perché in molte sezioni delle scuole elementari italiane si fanno 12 ore di tedesco, mentre in quelle tedesche si parte addirittura con più ore di religione che di italiano (una), ragione per cui i ragazzi italiani di città conoscono forse tendenzialmente un po’ meglio il tedesco di quanto i loro coetanei che vivono in periferia conoscano l’italiano.

Non si può pensare di risolvere il problema alzando muri o colpevolizzando chi è perfino disposto a “perdere” culturalmente il proprio figlio nella speranza di dargli un futuro migliore.

La mia tirata contro la direttrice della scuola e contro l’SVP (partito che SENZA DUBBIO rispolvera questo tema ad ogni tornata elettorale) è dovuta unicamente a lanciare un messaggio. E cioè: in una situazione come questa non potete pensare di risolvere il problema alzando muri o colpevolizzando chi è perfino disposto a “perdere” culturalmente il proprio figlio nella speranza di dargli un futuro migliore. Il problema di fondo è che, come direbbero in Spagna, la Stella alpina vuole seguire la messa e suonare anche le campane (giusto per evitare il modo di dire ultra sessista “avere la botte piena …”). Una società complessa come quella sudtirolese DEVE provare soluzioni alternative. Io, ribadisco, mio figlio non l’avrei mandato, ma sono abbastanza convinto che se si provasse ad adottare un modello ladino con qualche correzione, o un sistema che prenda qualche spunto dalla scuola bilingue in Baviera, con due diverse “curvature”, parecchie famiglie italiane eviterebbero di invadere le scuole tedesche. A quel punto, con questo tipo di offerta AGGIUNTIVA ai due sistemi, per me sarebbe corretto fare un esame di ingresso tipo patentino A. Così forse le coppie italiane eviterebbero di spingere i loro figli nell’acqua gelata ancora prima che imparino a nuotare, e si risparmierebbero un sacco di traumi e di rallentamenti didattici per i bimbi di madrelingua tedesca. Sarebbe un’offerta in più, un tentativo di risolvere quello che è indubbiamente un problema. Wolfgang, se queste per te sono posizioni di destra che rinfocolano l’odio etnico, allora non solo parliamo lingue diverse, abbiamo riferimenti valoriali antitetici. Entrambi fascistoidi a loro modo, a questo punto.

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Elisabeth Garber Di., 28.03.2023 - 07:31

F. Frei bringt es auf den Punkt. Es funktioniert nur so. Diesen Weitblick, welcher Toleranz & Respekt der jeweils anderen Kultur/Sprache gegenüber voraussetzt, haben nur wenige deutsch-/italienissprachige Südtiroler_innen.

Di., 28.03.2023 - 07:31 Permalink
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Salto User
Manfred Gasser Di., 28.03.2023 - 20:11

Jetzt reichts aber. Das wars für mich, ich kann dieses ewige Gejammere nicht mehr hören. Ich habe es wirklich versucht, Herr Marcon, aber ich bin raus.

Di., 28.03.2023 - 20:11 Permalink
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Peter Gasser Di., 28.03.2023 - 22:51

Haben Sie Nachsicht mit mir und erlauben Sie, dass ich mich nicht zu diesem Niveau bücke.
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(sachliche Argumentation scheuen Sie ja).

Di., 28.03.2023 - 22:51 Permalink
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Sergio Piaia Di., 28.03.2023 - 23:03

“[A] parti invertite, ovvero se fossero i sudtirolesi quelli costretti ad iscriversi a scuole italiane [...]”. Intende come ai bei vecchi tempi degli anni venti e trenta?

Di., 28.03.2023 - 23:03 Permalink
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Dennis Loos Mi., 29.03.2023 - 08:29

Während andere schnell gesperrt werden, darf dieser ExtremNationalist den Kommentarbereich von Salto kapern und für seine ad hominem Attacken missbrauchen?

Mi., 29.03.2023 - 08:29 Permalink
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Peter Gasser Mi., 29.03.2023 - 08:51

Hab‘ ich doch gern gemacht, wenn Sie mich schon so liebenswürdig herbei-zählen...
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Aber es sind ja noch einige Fragen meinerseits zur Sache offen: wünschen Sie neben der gefühlten Opferrolle auch den sachlichen Dialog - oder geht es nur um die Opferrolle?
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(Nebenbei: Kritik und unterschiedliche Standpunkte gehören zum Leben dazu, das muss jeder von uns bewältigen, das müssen sollen können wir alle üben, auch hier....)

Mi., 29.03.2023 - 08:51 Permalink
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Klemens Riegler Do., 30.03.2023 - 00:37

Nur weiter so! ... und das auf Saldo? Jo spinn i? ... vergogna
Disaggio, Walsche & Crucchi, ... gegenseitiges Hochschaukeln, zündeln & schiern! perbacco

Nur weiter so, und das Thema bis in den Herbst WARM HALTEN. Einige Parteien auf beiden Seiten (jeweils leicht oder stark rechts) freuen sich schon jetzt.
Endlich wieder ein unwichtiges Thema im Fokus, mit welchem sich alles andere Wichtige übertünchen lässt.

Do., 30.03.2023 - 00:37 Permalink
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Peter Gasser Do., 30.03.2023 - 10:04

Zitat: „Direi non abbia capito né l'oggetto né il contesto...“
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ich hab’ ein Dé·jà-vu: dieses argumentum ad hominem (ad personam) bekommt jeder ab, der die subjektive Meinung des Kommentators oben nicht teilt, diese hinterfragt oder gar kritisiert.

Do., 30.03.2023 - 10:04 Permalink
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Salto User
Thomas B. Fr., 07.04.2023 - 16:59

Wenn alle hochdeutsch oder glattes italienisch sprächen, wie wäre langweilig wäre das? Tragen nicht Dialekte, egal wo und wie gesprochen, eher für eine Sensibilität und Gefühl für eine Sprache bei? Der Umgang damit ist eine kulturelle Frage – für manche eine allgemeine Welt der Vorurteile, die einmal eingepflanzt, nur mit großer Anstrengung wieder auszumerzen sind. Aber das ist alles Kleckerkram – um weiteres Öl ins moralische Feuer zu gießen – gegenüber Einrichtungen in weltweiten "sozialen Brennpunkten", die mancherorts Ghettos genannt werden, in denen Lehrer mitunter in 11 Sprachen "Guten Morgen" sagen müssen, um überhaupt verstanden zu werden.

Fr., 07.04.2023 - 16:59 Permalink