Rimango perplesso davanti all’affermazione, ripetuta da taluni sino allo sfinimento, secondo la quale a Bolzano mancherebbero case di abitazione.
Proposizione sbagliata e corretta al tempo stesso.
Basta osservare le bacheche delle agenzie immobiliari, e quelle a Bolzano non mancano di sicuro, per capire che gli appartamenti ci sono. Se dalle vetrine si passa ai siti internet delle stesse agenzie l’osservazione viene ampiamente confermata. L’offerta è ampia, ben diversificata per tipologie, zone della città, vetustà degli appartamenti. Si costruisce anche. Recentemente il solito Benko ha inaugurato un mini quartiere di un centinaio di appartamenti, molti dei quali, c’è da immaginare, acquistati ed occupati da persone che a loro volta hanno lasciato un altro alloggio mettendolo in vendita.
Una situazione di poco dissimile è quella delle case in affitto. Ci sono e in questo caso la normativa che prevede un inasprimento delle imposte per gli alloggi lasciati sfitti potrà effettivamente migliorare ancora di più la situazione. Le case ci sono dunque e l’arrivo sul mercato degli investitori da fuori provincia, estero o altre regioni, e la trasformazione di qualche decina di unità immobiliari per i cosiddetti “affitti brevi” non ha completamente stravolto questo stato di fatto.
Il problema, però, è un altro.
A Bolzano, più che in ogni altro centro della provincia, non ci sono case disponibili per tutta una fascia della popolazione che non ha e non avrà mai la benché minima possibilità di accedere al cosiddetto libero mercato per affittare o per comperare.
È una semplice questione di reddito. Chi non può contare, per la propria storia lavorativa e familiare su una consistente riserva di denaro liquido o sul frutto della vendita, sempre al libero mercato, di un altro alloggio, non avrà la benché minima speranza di superare il gradino che lo separa dalla piattaforma di chi può permettersi di pensare ad un acquisto. Anche la stipula di un mutuo, a tassi crescenti tra l’altro, è interdetta a chi non offra garanzie più che robuste come ad esempio un reddito notevole derivante da un lavoro a tempo indeterminato.
Per l’affitto la situazione è più o meno la stessa i prezzi di mercato sono tali da inibire anche solo il pensiero di stipulare un contratto a tutti coloro che non superino abbondantemente certi livelli di retribuzione.
È perfettamente inutile, inoltre, parlare, a questo proposito, di aumenti salariali commisurati alla particolare situazione altoatesina. L’ipotesi è più che ragionevole, ma in relazione al costo della vita a quella particolare “tassa Bolzano” che si applica con iniqui effetti su tutti coloro che vivono da queste parti e che ne scontano gli effetti quando bevono un caffè, quando fanno benzina, quando comprano un chilo di pane o un litro di latte, incassando a fine mese uno stipendio uguale a quello dei loro colleghi di altre città dove quel caffè, quella benzina, quel pane e quel latte costano sensibilmente di meno.
Questi aumenti, che in taluni casi come si affrettano a precisare gli imprenditori, esistono già, non avrebbero tuttavia nessun effetto per quanto riguarda l’accesso di queste persone a mercato immobiliare.
Esse sono tagliate fuori e fuori resteranno, a meno che non ci sia un forte, fortissimo intervento dal punto di vista delle politiche sociali per la realizzazione di case alle quali accedere senza quegli sbarramenti economici di cui sopra.
In sostanza a Bolzano non c’è nessun bisogno di preoccuparsi perché i privati possano costruire altri alloggi. Nei decenni passati hanno ricevuto fette sostanziose di terreno nelle nuove zone di espansione e si sono visti girare nelle tasche i contributi pubblici dati a coloro che volevano comprare una casa e trasformati d’incanto in aumenti del prezzo al metro quadro.
Adesso, ammesso e non concesso che vi sia una vera volontà politica, tutti gli sforzi dovrebbero essere concentrati sul costruire un numero notevole di appartamenti di edilizia sociale e nel mettere a disposizione del sistema cooperativo aree sufficienti a permettere a coloro che sul libero mercato, come si diceva, non ci possono stare e nel contempo hanno un reddito superiore a quello ammesso per entrare in un alloggio IPES di affrontare il percorso per avere una casa propria.
Naturalmente per fare questo occorreranno molti soldi e una solida scelta di politica sociale, laddove sia chiaro che una buona parte di coloro che andranno ad occupare queste case saranno i “nuovi altoatesini”, immigrati qui da altre regioni o dall’estero per coprire un’offerta di lavoro che sta a sua volta diventando un’emergenza economica.
Non vi è dubbio che a molti, in questa Alto Adige che vive sé stesso come un compiaciuto paradiso turistico, la presenza a titolo definitivo di questi nuovi arrivati suona sgradevole, appena un po’ di meno degli orsi e dei lupi che mangiano il miele e predano le greggi. L’immigrato ideale, da queste parti, continua ad essere quello che arriva per la raccolta delle mele, si accontenta di dormire per qualche notte su una branda e poi se ne ritorna a casa, così come fanno molti camerieri e lavapiatti alla fine della stagione.
Purtroppo però le categorie di lavoratori che mancano all’appello non sono solo quelle degli stagionali. La situazione sta diventando critica in molti settori, dal commercio alla ristorazione, dall’assistenza ai trasporti. Se, con un cinismo forse eccessivo, c’è chi afferma che in fondo la Libera Università può sopravvivere arruolando nei suoi ranghi sono studenti di famiglie benestanti, che magari, alla sera, producono anche meno rumore in Piazza delle Erbe, lo stesso comodo ragionamento non si può fare in molti altri casi. I primi segnali, per chi vuol coglierli, si stanno già iniziando ad avvertire: residenze per anziani che tagliano drasticamente i posti letto, servizi di autobus che stentano a coprire tutte le linee, caffè che anticipano l’orario di chiusura che moltiplicano i giorni di riposo.
In Cina: 30 mila condomini.
Ed è solo l’inizio.
Ci sono servizi, anche in una città di dimensioni medio piccole come Bolzano, di cui non è semplicemente possibile fare a meno. Se vi affacciate sulla città verso le cinque del mattino vedrete molte donne che si avviano per dare inizio al lavoro di pulizia degli ospedali, dei luoghi di lavoro, dei locali pubblici. Ci sono tutti i servizi di sicurezza e sorveglianza. C’è chi si occupa dei bambini o degli anziani in una città dove forse i primi non sono più quanti erano una volta ma i secondi sono solida maggioranza degli iscritti all’anagrafe. Ci sono le fabbriche e tutto il cosiddetto terziario. Per mandare avanti la macchina in maniera decente servono lavoratrici e lavoratori che però hanno questa colpa imperdonabile di voler avere una casa decente dove allevare i loro figli.
Una casa che, ripetiamolo ancora, il cosiddetto libero mercato e l’iniziativa privata non saranno mai disponibili ad offrire.
Premesso questo occorrerebbe innanzitutto essere molto chiari sulla questione che agita in questo momento le pensose menti degli amministratori comunali e provinciali: quella delle aree su cui costruire, una volta recuperati i fondi necessari, gli alloggi di cui sopra. Bisognerebbe ad esempio avere il coraggio civile di decidere una volta per tutte che, in una situazione come quella di Bolzano, tutti gli spazi disponibili verranno d’ora in poi riservati, per lungo tempo, all’edilizia sociale e alle cooperative. I privati hanno fatto i loro affari, ed hanno un immenso patrimonio inutilizzato sotto forma di uffici che nessuno occuperà mai più come tali. Ricostruiscano sulle loro proprietà, ma tutto quanto si potrà rendere disponibile nei prossimi anni, a cominciare dal mitico areale ferroviario, dovrà essere riservato alle case per chi sul mercato privato non ci può stare: caserme, ex zone artigianali, fazzoletti vari. Si comincino a spendere monete sonanti per ristrutturare e rendere di nuovo abitabili tutti gli alloggi sociali attualmente vuoti. Il ragionamento sulla costruzione di alloggi nelle zone produttive è complesso e presenta luci e ombre. Anche qui però si dovranno fare delle scelte prioritarie. Infine, sullo sfondo, il dogma, quasi l’undicesimo comandamento scritto sulle tavole di pietra, secondo il quale non un solo centimetro quadrato di verde agricolo dovrà mai essere toccato nella conca di Bolzano. Forse sarebbe il caso di ragionarci su con calma, partendo dal presupposto che, dopo mezzo secolo, anche le tavole di pietra risentono dell’usura del tempo.