Vladimir Michajlovič Jurovskij (Владимир Михайлович Юровский, nato a Mosca il 4 aprile 1972) è un direttore d’orchestra russo. È il figlio del direttore d'orchestra Michail Jurovskij, e nipote del compositore di musica da film (sovietici) Vladimir Michailovič Jurovskij.
Il giovane maestro, capelli lunghi ma non ribelli, impeccabile vestito da sera, diverrà, speriamo, uno dei grandi protagonisti della stagione musicale autunnale. Motivo: è un direttore d’orchestra galantuomo. E che mantiene le promesse.
Vediamo perché. Alcuni giorni fa due attivisti per il clima appartenenti al gruppo Renovate Switzerland (lo riferisce l’agenzia giornalistica Lapresse) sono saliti sul palco durante il festival musicale Kultur und Kongresszentrum Luzern di Lucerna in Svizzera. Lucerna, si sa, è una delle grandi capitali, non solo europee, della grande e della bella musica. Così, giusto per ripristinare le proporzioni tra Berlino, Salisburgo, Lucerna, Monaco, Lipsia, Londra e città italiane non solo come Milano e Roma con le loro istituzioni musicali mirabili, ma anche come Siena e perfino Bolzano.
L’episodio di Lucerna è però il più emblematico e paradigmatico di tutti, in una parola: unico. Perché i due manifestanti hanno interrotto il concerto (era appena terminato il penultimo movimento) e si sono messi a fissare la platea, muti. Poi, bravissimi, hanno denunciato le emergenze climatiche del pianeta. Il maestro Vladimir Michajlovič Jurovskij ha chiesto al pubblico di lasciar parlare i ragazzi nonostante i fischi e le lamentele. «Abbiamo raggiunto un accordo - ha detto ancora sul podio - ho promesso, dando la mia parola d'onore, che non ci saranno commenti. Li lasceremo finire e loro ci lasceranno suonare il quarto atto. Altrimenti lascerò il palco”. Solo allora si è accovacciato sulla sua postazione di direttore come un giovane esploratore davanti al fuoco. Dando la parola, in silenzio, ai due attivisti.
La serata musicale ed ecologista a sorpresa di Lucerna ci ricorda come la bella musica e la difesa dell’ambiente possano e anzi debbano viaggiare insieme, provando a convivere in occasioni da organizzare insieme. Lo pensava anche il grande maestro Claudio Abbado, molto citato a Bolzano. Il quale, quando accettò di dirigere per l’ultima volta l’orchestra del Teatro alla Scala di Milano chiese come compenso che venissero piantati 30mila nuovi alberi in città.
Una richiesta meravigliosa e coraggiosissima che non può proprio essere confrontata con lo stupore retroscenista di chi nota che il vincitore del concorso Busoni 2023 sia, ohibò, russo: è stato il più bravo e il merito è suo, il concorso lo ha solo selezionato insieme con altre centinaia di candidati. Oppure con chi scopre alla Chigiana opere come Didone ed Enea ed Elissa in un unico allestimento salvo scoprire che l’ideazione, il merito e l’esprit non conformista appartengono ad allieve, allievi e docenti (in prima linea la rettrice Elisabeth Gutjahr) del Mozarteum e non a teatri e musicisti italiani.
Così, giusto per ripristinare le proporzioni, dicevamo. E per non credere più, se possibile, di essere l’ombelico del mondo solo perché quell’ombelico è il nostro.