Politik | Guerra a Gaza

Accademici contro il genocidio

Anche Bolzano si unisce all’appello della comunità accademica contro il massacro in corso nella Striscia di Gaza: “Queste violazioni non ci possono lasciare inermi”.
Genocidio a Gaza, Palestina
Foto: Eye on Palestine
  • Conclamati crimini di guerra, massacri indiscriminati di civili, scuole, panetterie e ospedali distrutti dalle bombe. Giornalisti e mezzi di soccorso scientemente presi di mira. Interruzione dell'elettricità e del segnale internet. Blocco dell'accesso di rifornimenti umanitari, acqua e carburante indispensabile per il funzionamento degli ospedali. Le immagini drammatiche e senza precedenti che ci stanno arrivando dalla Striscia di Gaza hanno sollevato un’ondata di indignazione e protesta in tutto il mondo. L’enclave palestinese è sottoposta dal 2007 a un duro assedio illegale condannato dalla comunità internazionale, assieme all’occupazione dei territori del 1967. Israele controlla i confini di terra, lo spazio aereo e occupa le acque territoriali palestinesi. Non a caso, lo storico israeliano Ilan Pappè l’ha definita “la prigione a cielo aperto più grande del mondo”. In soli 40 chilometri vivono stipate 2,3 milioni di persone. A Gaza non si entra, da Gaza non si esce, se non con rare eccezioni. 

    Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, è in corso una violenta punizione collettiva sulla popolazione palestinese, un crimine di guerra secondo la Quarta convenzione di Ginevra. Il Governo Italiano ha mostrato il suo favore sia alla risposta israeliana, affermando che lo stato ebraico “ha il diritto di difendersi”, sia all’ambizione israeliana di pulizia etnica della striscia, svelato dalla pubblicazione di un documento dello Shin Bet, i servizi segreti di israeliani, che punta a deportare l'intera popolazione di Gaza nel deserto del Sinai egiziano.

    Stando all’ultimo report del Ministero della Salute, più di 260 mila unità residenziali sono state distrutte. Un milione e mezzo di palestinesi, il 70% della popolazione di Gaza risulta sfollata. Oltre 270 gli attacchi mirati a infrastrutture o personale medico. Al 7 novembre si contano più di 10mila morti e 24 mila feriti

    Secondo Save the Children, i bambini uccisi a Gaza in tre settimane hanno superato quelli uccisi in un anno nel mondo in zone di conflitto.

    Sono molte le condanne arrivate dalla società civile, che hanno animato piazze in tutto il mondo, spesso animate anche da diverse comunità ebraiche in tutto il mondo, che condannano senza esitazione l’azione del governo israeliano, il più estremista e fondamentalista di sempre.

    Il 19 ottobre, i rettori della CRUI, l'associazione delle Università italiane statali e non statali riconosciute, hanno espresso una generica condanna alla violenza, decidendo di esporre sui propri siti , nella giornata del 27 ottobre, la bandiera della pace a lutto osservando, per tutto il mese di novembre, “un minuto di silenzio per le vittime di tutti i conflitti all’inizio delle riunioni degli organi accademici”.

    La Libera Università di Bolzano, ha fatto sapere a Salto, condivide la linea tracciata dal CRUI, criticata invece da molti esponenti della comunità accademica,  secondo i quali la posizione dei rettorati non può limitarsi a una dolorosa impotenza, ma deve porsi di agire con tutte le azioni necessarie e possibili nei rispettivi contesti. Nei giorni scorsi, è stato pubblicato un appello (disponibile QUI) sottoscritto in pochi giorni da oltre 3300 tra docenti e ricercatori in tutta Italia, tra cui una dozzina provenienti da Bolzano, impiegati all’Eurac o all’università provinciale.

    “La situazione è a dir poco drammatica e si inserisce in uno scenario globale potenzialmente catastrofico-. Le violazioni alle quali stiamo assistendo non possono lasciare inermi: attivarsi per richiedere un’azione politica e diplomatica, credo che sia il minimo”, sottolinea Matteo Moretti, docente di Bolzano impiegato all’Università di Sassari, che ha deciso di firmare il documento.

    "Mi occupo di violenza di genere - spiega invece la ricercatrice Marina della Rocca - e sono stata in contatto con un progetto di sportelli antiviolenza a Betlemme. Sono preoccupata per l’attuale situazione".

    Di seguito l’appello completo degli accademici.

    “In quanto membri delle comunità accademiche e dei centri di ricerca italiani, scriviamo questa lettera in nome della pace e della giustizia, uniti dalla richiesta di porre un'immediata fine alla guerra in corso contro Gaza. Riteniamo sia nostro dovere individuale, comunitario e accademico, dissociarsi dalle posizioni finora intraprese dal governo del nostro Paese, ed  assumerci la responsabilità di azioni e richieste per contrastare il crescente livello di violenza al quale stiamo assistendo impotenti. Rivolgiamo questo appello al nostro ministro degli Esteri, perché si mobiliti per richiedere e sostenere un immediato cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari e la protezione delle Nazioni Unite per l’intera popolazione palestinese. Rivolgiamo questo appello alla ministra dell’Università e della Ricerca ed alla CRUI, perché possano amplificare le nostre voci e le nostre richieste, ricordando la missione centrale delle nostre istituzioni accademiche rivolta alla produzione di conoscenza e rispetto dei diritti umani.

    Come membri della comunità accademica e di ricerca italiana, da molti anni assistiamo con dolore e denunciamo ciò che accade in Palestina e Israele, dove vige, secondo Amnesty International, un illegale regime di oppressione militare e Apartheid. Ancora una volta, ci sentiamo atterriti e angosciati dal genocidio che sta accadendo a Gaza, definito a ragione dalla scrittrice Dominque Eddé come ‘un abominio che bene esemplifica la sconfitta senza nome della nostra storia moderna.

    Da tre settimane, a seguito delle brutali azioni perpetrate da Hamas il 7 ottobre che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone (la maggior parte dei quali civili) e portato al rapimento di circa 200 ostaggi, assistiamo a massicci e indiscriminati bombardamenti condotti dall’esercito di Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, che si configura come una punizione collettiva contro la popolazione inerme e imprigionata in un territorio di poco più di 360 km2. Mentre scriviamo, a Gaza il bilancio delle persone uccise supera i 9.000 morti, di cui 3.760 bambini, circa 22.900 feriti e 1.400.000 sfollati. Secondo le Nazioni Unite, allo stato attuale sono circa 2.000 le persone disperse, presumibilmente intrappolate o uccise sotto le macerie. Interi quartieri abitati, ospedali, scuole, moschee, chiese e intere università (Islamic e Al-Azhar University tra le più grandi e rinomate) sono state completamente rase al suolo.  Il governo israeliano ha intimato ad oltre un milione di abitanti nella striscia di lasciare le loro case in vista di un attacco da terra, sapendo che non vi sono via di fuga e via di uscita dalla Striscia di Gaza. Molti di questi sfollati sono stati poi bombardati nelle “zone sicure” del sud della Striscia di Gaza, rivelando un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano.

    Questa situazione ha reso ancora più grave e urgente la crisi sanitaria e umanitaria all’interno della Striscia di Gaza, già al collasso ben prima del 7 ottobre 2023 per via dei 16 anni di quasi totale embargo e assedio illegale imposto dall’esercito israeliano su Gaza. Assedio ed embargo che il governo israeliano ha inasprito dal 7 ottobre, imponendo un blocco totale di beni essenziali per la sopravvivenza quali acqua, carburante, cibo e elettricità. All’interno di questa catastrofe umanitaria e sanitaria senza precedenti, anche per le Nazioni Unite e per le organizzazioni internazionali risulta pressoché impossibile operare a supporto della popolazione civile. L’Association Jewish for Peace ha chiamato tutte “le persone di coscienza a fermare l’imminente genocidio dei palestinesi”. Già il 25 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato di non essere in grado di distribuire carburante e forniture sanitarie essenziali e salvavita agli ospedali nel Nord di Gaza per via dei continui bombardamenti israeliani. La quantità di beni di prima necessità e soccorso che Israele ha permesso di far transitare a Gaza il 21 ottobre è stata dichiarata sufficiente a mantenere in funzione solo alcuni ospedali e ambulanze per poco più di 24 ore. Secondo l’UNICEF “Gaza è diventata un cimitero per migliaia di bambini”.

    Inoltre, l’escalation di violenza si è estesa anche in Cisgiordania, con violenze e aggressioni quotidiane, numerose vittime ed espulsioni di intere famiglie dalle loro case e terre. Diversi sono i report delle Nazioni Unite che denunciano come dal 7 ottobre l’esercito israeliano abbia attaccato diverse aree della West Bank, causando la morte di almeno 96 palestinesi, e ferendone circa 1.800. Di questi, due sono bambini, e molti altri giovani adolescenti. Inoltre, 74 famiglie (circa 600 persone) sono state espulse da 13 comunità di pastori e beduini nei territori palestinesi, sei scuole e 1875 studenti sono stati colpiti durante gli attacchi.

    Tutto questo costituisce una evidente violazione del Diritto Internazionale e della Convenzione di Ginevra.

    In tutti i report messi a disposizione dalle Nazioni Unite e dalle numerose organizzazioni umanitarie (ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch), è segnalata l’importanza di considerare e comprendere le determinanti e antecedenti a questa violenza, da ricercarsi nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione raziale ed etnica. Comprendere e analizzare queste determinanti è l’unica possibilità per poterne riconoscere le radici, contrastare l'escalation e sperare e reclamare  pace  e sicurezza per tutti.

    È fondamentale ricordare come riconoscere il contesto da cui nasce quest’ultima ondata di violenza non significa sminuire il dolore e la sofferenza delle vittime israeliane e palestinesi, ma costituisce il cruciale impegno per sostenere la dignità, la salute ed i diritti umani di tutte le parti coinvolte. È possibile e necessario condannare le azioni di Hamas e, al contempo, riconoscere l’oppressione storica, disumana e coloniale che i palestinesi stanno vivendo da 75 anni. Come affermato dall’organizzazione pacifista Jewish Voice for Peace, l’escalation a cui assistiamo rappresenta l’ennesimo esempio di come gli attacchi coloniali e illegali perpetrati da Israele contro la popolazione palestinese costituiscano un rischio per la vita di tutti coloro che vivono nella regione, siano essi israeliani o palestinesi.

    In qualità di accademici e accademiche italiane riteniamo che sia nostro dovere e responsabilità attivarci e contribuire a contrastare queste escalation di violenza e sostenere i diritti umani, la salute, la dignità e il benessere. Crediamo fortemente che l’unico modo per promuovere una coesistenza pacifica sia lavorare insieme per denunciare e porre fine al prolungato assedio di Gaza e all’occupazione illegale (in ottemperanza con la legge internazionale) dei territori palestinesi.

    Pertanto,

    - chiediamo urgentemente al Ministro Antonio Tajani di adoperarsi diplomaticamente e pubblicamente per l'urgente rispetto del diritto umanitario internazionale da parte di tutte le parti e la condanna dei crimini di  guerra e l'immediato cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari e la protezione delle Nazioni Unite per l’intera popolazione palestinese.

    - chiediamo alla Ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini di farsi pubblicamente portatrice delle nostre rivendicazioni nelle apposite sedi istituzionali.

    - Ci rivolgiamo infine anche alla CRUI e ai singoli Atenei, chiedendo loro di non limitarsi a sostare in una dolorosa impotenza ma di agire con tutte le azioni necessarie e possibili nei rispettivi contesti. Come studiosi, studiose e membri del mondo universitario italiano guardiamo con preoccupazione alla diffusione di misure di limitazione della libertà di dibattito e di delegittimazione delle richieste di cessazione della violenza. Chiediamo quindi di ribadire l’impegno per la libertà di parola, di garantire il diritto degli e delle studenti delle università italiane al dibattito, e di favorire momenti di dibattito e discussione all’interno degli atenei. Chiediamo inoltre di pronunciarsi con chiarezza sulla necessità da parte dei singoli atenei italiani di procedere con l'interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale e umanitario, cessati i crimini contro la popolazione civile palestinese da parte dell’esercito israeliano e quindi fino a quando non saranno attivate azioni volte a porre fine all’occupazione coloniale illegale dei territori palestinesi e all’assedio di Gaza

    Crediamo che queste azioni siano irrimandabili sia per contribuire a ripristinare i diritti umani e la giustizia globale sia per non continuare ad essere spettatori conniventi e silenziosi  di una tragedia umanitaria e della cancellazione del popolo palestinese.