C’è più di un nervo scoperto nella SVP se le parole di Günther Pallaver sono state stigmatizzate dal duo Achammer e Kompatscher e per dare loro man forte è scesa in campo anche Martha Stocker, la “storica” organica alla Stella Alpina, che ha voluto impartirgli una lezione di metodo.
Pallaver è un accademico, il cui interesse non si è limitato alla Heimatkunde: i suoi studi hanno riguardato i sistemi politici in chiave comparata, con particolare riferimento al sistema politico italiano e austriaco, la comunicazione politica, i partiti (etno)regionali, il federalismo e i rapporti italo-austriaci.
Da studioso ha dunque inserito la composizione della giunta altoatesina, per come che si va delineando, nel quadro storico di scelte compiute da partiti di ispirazione cristiano democratica che, nell’illusione di “normalizzare” il sistema, hanno in realtà aperto le porte alle destre razziste e xenofobe non solo in passato, ma anche nell’Europa odierna.
E in tal senso ha messo in luce cosa significhi la brusca sterzata a destra della SVP che non è solo (e non tanto) l’aver chiamato a bordo della propria barca Fratelli d’Italia (la Lega c’era già), ma anche la destra tedesca dei Freiheitlichen. Non ci sono i valori cristiani democratici nei messaggi che lanciano questi partiti, non ci sono di certo in tema di immigrazione e integrazione, di rispetto della diversità e diritti, di partecipazione ai processi democratici.
La SVP il 22 ottobre non ha subito un tracollo elettorale perché l’hanno votata quei cittadini che volevano che non si inseguisse la “pancia” dei sudtirolesi. Inoltre a ben guardare il profilo politico degli eletti, pur nella cospicua presenza delle destre, la maggior parte è di altro segno.
Se la destra tedesca conta 8 seggi, altrettanto ne contano i partiti “liberal-progressisti” e interetnici. Se gli eletti italiani di destra sono tre, gli italiani di centro/centrosinistra sono due a cui si assommano i voti dei candidati italiani non eletti nei partiti interetnici, Sabine Giunta una per tutti.
La SVP quindi poteva (e può) ancora costruire una maggioranza di governo in linea con il voto espresso dai cittadini e nel solco della propria storia e tradizione.
Non è sufficiente sbandierare il terzo Statuto per giustificare la svolta, è semmai la sindrome di Stoccolma a farle scegliere la destra pensando di domarla, ossia di farla diventare/ritornare proprio bacino elettorale: ma la storia, se conosciuta, dice altro.
Ecco dunque il monito contenuto negli appelli e nelle manifestazioni: “a giocare con il fuoco si finisce con il bruciarsi”.
Un’ultima annotazione sulle dichiarazioni del già senatore Karl Zeller (Tageszeitung, 14 dicembre) che, per giustificare l’alleanza con Fratelli d’Italia, li paragona impropriamente al PCI, quasi che nel partito comunista italiano ci fosse stata una conversione tardiva ai valori della democrazia e della libertà.
Purtroppo a Zeller, nel proprio viscerale anticomunismo, difetta la conoscenza della storia italiana.
Il PCI, fin dalla sua nascita nel 1921, fu dalla parte dei più deboli e degli oppressi. Fiero oppositore del regime fascista conta tra le vittime di torture, carcere duro, confino, efferato assassinio molti suoi uomini e donne. Il PCI fu poi spina dorsale nella lotta di liberazione che portò alla sconfitta del nazifascismo. Uomini e donne del PCI, eletti a suffragio universale, fecero parte dell’Assemblea Costituente, scrissero ed approvarono la Costituzione ed il Primo Statuto. Solo dopo il 1948 il PCI divenne partito di opposizione e, fedele ai propri principi, fu parte determinante della maggioranza qualificata che nel 1970 approvò il secondo Statuto di Autonomia.