L’inizio di un nuovo anno porta con sé preoccupazioni tradizionali: fare qualche buon proposito da dimenticare a tempo di record, mettere i piedi una nuova giunta provinciale evitando se possibile il ribaltamento sul fianco destro, compulsare con attenzione il calendario storico per capire quali e quanti saranno, nel corso dei prossimi dodici mesi, gli anniversari da celebrare adeguatamente.
Il 2024, da quest’ultimo punto di vista, presenta numerosi spunti come del resto gli anni precedenti. Tra le tante ricorrenze, tuttavia, ve n’è una che spicca per l’importanza e che offre il destro di una riflessione sui caratteri e sui cambiamenti di questa nostra società.
Nel luglio prossimo cadranno infatti i sessant’anni da quando, nell’estate del 1964, fu creata la nuova Diocesi di Bolzano Bressanone. Un passaggio chiave in una vicenda le cui radici affondavano nella storia secolare della Chiesa nel Trentino Alto Adige, ma che, da decenni ormai, si era indissolubilmente intrecciata con lo scontro politico fra italiani e tedeschi in questa terra di frontiera.
Da secoli la Diocesi Tridentina estendeva i suoi confini ben oltre quello linguistico fissato alla Chiusa di Salorno. Al Vescovo di Trento erano soggetti molti decanati situati sull’asta dell’Adige. Se si sale con la funivia appena rinnovata dall’abitato di Lana sulla montagna sovrastante, si raggiunge con un sentiero una chiesetta intitolata a San Vigilio, che dà il nome tra l’altro all’intera zona. Fu edificata per segnare il confine della competenza di Trento verso ovest. A nord il vescovado di Bressanone che estendeva suo territorio anche oltre il Brennero.
Quello di un Vescovo italiano che comandasse preti e fedeli tedeschi era diventato un problema ben prima del grande conflitto e dell’occupazione tricolore. Le organizzazioni pangermaniste che si battevano furiosamente contro ogni influenza italiana che minasse quello che il Borgomastro Perathoner aveva definito come il “carattere tedesco” del Tirolo meridionale non mancarono mai di contestare aspramente il magistero del presule Trentino Celestino Endrici organizzando proteste e boicottaggi in occasione delle sue visite pastorali a Bolzano.
Il clima divenne ovviamente ancor più pesante all’indomani della guerra, quando la Chiesa divenne, assieme alla scuola, uno dei terreni di scontro privilegiati della lotta dei sudtirolesi contro l’incipiente italianizzazione. Nell’estate del 1922, a Roma, si era varato un progetto per portare i decanati di lingua tedesca sotto il controllo della Diocesi di Bressanone, ma la violenta reazione italiana fece naufragare il tutto. Sarebbero passati oltre quarant’anni prima che il progetto tornasse alla luce e fosse attuato in una delle fasi più critiche e cruciali della crisi seguita al fallimento della prima autonomia. I confini delle diocesi furono adeguati, con qualche anno d’anticipo, a quello che sarebbe stato lo scenario disegnato dal “Pacchetto”, ma l’operazione non sarebbe stata forse possibile se, a guidarla, non ci fosse stata una personalità come quella di Monsignor Josef Gargittert, ultimo Vescovo della vecchia Diocesi di Bressanone e il primo Presule di quella di Bolzano Bressanone.
L’anniversario di quest’anno potrà e dovrà essere anche l’occasione per riscoprire la figura di questo vero e proprio profeta della pacifica convivenza. Una figura che, nel corso degli anni, è stata parzialmente dimenticata.
Ci sarà anche spazio ovviamente per un’analisi su come è cambiato, in questi sei decenni, il ruolo della Chiesa delle nostre terre. Lo stesso Vescovo Muser non ha mancato, nelle interviste rilasciate poco prima di Natale, di tracciare un quadro sconsolatamente realistico della situazione. È altrettanto vero, tuttavia, che la voce della Chiesa, come magistero ma anche delle organizzazioni collaterali (si pensi alle ACLI o al KVW), di fronte ai problemi sociali che affliggono il nostro tempo sembra, a chi ascolta, tanto più flebile di un tempo. Anche questo è un tema che potrà e dovrà essere analizzato parlando di questi sessant’anni.