Alcune brevi considerazioni a margine della vicenda germogliata dal paragrafo del programma di legislatura elaborato dal pentapartito e che prevede una sorta di organo di consulenza e di sorveglianza sull’attività dei mass-media provinciali. Si tratta sicuramente di un contributo portato alla discussione dalla delegazione dei Freihetlichen ma che evidentemente non ha trovato opposizione alcuna da parte degli altri partiti, SVP in primis.
Si rinnova così uno schema politico che aveva già portato, nel 2022, l’approvazione di un ordine del giorno, sempre di matrice Freiheitlichen, che sollecitava la costituzione di un organismo assai simile ma i cui poteri di controllo sarebbero stati limitati all’attività degli enti radiotelevisivi pubblici. Una sorta di mini-commissione di vigilanza incaricata di sorvegliare l’attività dei giornalisti della Rai e forse anche, ma con qualche difficoltà in più, di quelli dell’ORF che producono il notiziario Südtirol Heute. Anche allora la proposta raccolse un consenso molto vasto, con il presidente Kompatscher ad interrogarsi sulla possibilità di arrivare allo scopo addirittura con una norma di attuazione.
Che la questione sia sempre presente nella mente nello spirito dei nostri rappresentanti politici lo dimostra il fatto che nel foglietto cavato di tasca da Arno Kompatscher in occasione della sua più recente visita a Vienna, tra gli altri “desiderata” da realizzare figurava anche il vecchio sogno di staccare dalla Rai le trasmissioni in lingua tedesca e ladina e riversava in un soggetto a controllo totalmente provinciale. La stessa idea avanzata più recentemente anche in un documento di Südtirol Freiheit.
Naturalmente, che si parli del comitato di controllo o addirittura di un nuovo soggetto da incardinare magari nella struttura già esistente della RAS, l’obiettivo resta abbastanza chiaro: determinare in sede politica le caratteristiche dell’informazione.
Progetto ambizioso a cui realizzazione, per quanto riguarda il servizio pubblico, va a scontrarsi immediatamente con il dettato dello Statuto che, al comma quattro dell’articolo otto definisce così l’ambito della potestà legislativa della Provincia: “usi e costumi locali ed istituzioni culturali (biblioteche, accademie, istituti, musei) aventi carattere provinciale; manifestazioni ed attività artistiche, culturali ed educative locali, e, per la provincia di Bolzano, anche con i mezzi radiotelevisivi, esclusa la facoltà di impiantare stazioni radiotelevisive”.
L’ultima frase è abbastanza chiara e se alla Provincia è proibito creare una propria struttura radiotelevisiva risulta abbastanza intuitivo che il divieto si estende anche alla possibilità di clonare a Palazzo Widmann una versione in miniatura della commissione parlamentare di vigilanza.
Quanto al resto del panorama informativo locale, risulta poco comprensibile come l’attività censoria di controllo potrebbe esercitarsi, collegandosi magari al sistema di sovvenzioni per l’editoria che arrivano in parte dallo Stato e in altra parte dalla Provincia ma che sono e devono restare del tutto astratte da ogni valutazione sui contenuti dell’informazione stessa.
Infine una notazione generale: è un brutto vizio della politica militante quello di confondere il concetto di un’informazione equilibrata con quello della cosiddetta “par condicio” introdotta purtroppo a suo tempo per non dover fare i conti con il berlusconiano conflitto di interessi e che, limitata inizialmente e periodi di campagna elettorale, è divenuta una specie di totem davanti al quale i giornalisti debbono sacrificare il loro diritto dovere a narrare l’equilibrio nella realtà e a favore di un sistema nel quale i vari soggetti politici si spartiscono gli spazi informativi a prescindere dai contenuti che possono o vogliono immettervi
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