Quando sei costretta a spostarti in macchina in una giornata di pioggia, i tempi di trasferimento si allungano all’inverosimile. Se poi ci aggiungi fiumi di turisti in rientro da ponti e weekend lunghi o blocchi stradali a causa del Giro d’Italia, il tuo tragitto diventa un’inaspettata occasione per dedicarti a pensieri e ascolti che nella quotidianità trovano poco spazio. Così è stato nelle ore che ho passato imbottigliata nel traffico l’altro giorno come molte e molti di voi. Fino a quel momento il Giro d’Italia non mi ha mai interessato più di tanto, l’ho percepito in fase di preparazione in correlazione al coraggioso accampamento Free-Palestine in Piazza Adriano in mobilizzazione contro la squadra israeliana sponsorizzata dal governo. Negli anni, magari mi sono interrogata sul perché di una maglia rosa per il leader di classifica. Cosa abbia motivato la decisione di un colore stereotipo femminile per una gara maschile. Che l’organizzazione di questa manifestazione sportiva sia impegnata nella lotta agli stereotipi? Sarebbe una scelta coraggiosa in una società, in cui gli sport agonistici di rilievo (in termini di finanziamento e visibilità) restano appannaggio maschile. Fu in onore del colore della carta della Gazzetta dello Sport, ahimè, a essere introdotta la maglietta rosa. Certo, dal 1988 esiste un Giro d’Italia Women, ma prima? Non esistevano forse donne con la passione del ciclismo?
Scopro che, proprio 100 anni fa, al Giro d’Italia ha effettivamente partecipato la prima e unica donna: Alfonsina Strada (nomen est omen). Nel 1924 il Giro era un percorso di 3.618 km su strade bianche da percorrere in 12 tappe su bici pesanti (almeno 20 kg) e naturalmente prive di cambio. In confronto ai 3.400 km in 21 tappe nel 2024 un’impresa davvero mastodontica! Ma questo non scoraggiò Strada che, da quando aveva scoperto la sua grande passione per le due ruote, ha percorso con determinazione una carriera sportiva in barba a chi ha cercato di ostacolarla. Quell’anno il Giro d’Italia faticava a trovare iscritti e aprì la competizione a corridori senza squadra. Ecco la chance per Strada che, sotto lo sguardo tra l’ostile e favorevole di pubblico e stampa partecipò e affrontò con successo le prime tappe, fino a una caduta che lasciò la bici con il manubrio rotto. Strada lo riparò con un manico di scopa, ma arrivò ben oltre il tempo massimo. Anziché squalificarla, l’organizzazione le propose un compromesso: Strada avrebbe proseguito il Giro pur non essendo più formalmente in gara. Così arrivò al traguardo assieme a 30 atleti (su 90 alla partenza). Negli anni successivi non le fu più accordata l’iscrizione.
Alfonsina Strada ha abbattuto il muro che vietava alle donne l’accesso alle gare di ciclismo. Sono storie come questa che ci ricordano quante lotte individuali e collettive siano state necessarie per arrivare dove siamo ora. E sono storie come queste che ci possono ispirare nella lotta quotidiana per una società in cui tuttə abbiano le stesse opportunità.