"L'intesa? Così è troppo"
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Alessandro Urzì è ormai del tutto a proprio agio nei panni del presidente della Commissione dei Sei, l’organismo paritetico che concretamente sviluppa l’autonomia. Fino a due anni fa in pochi lo avrebbero potuto prevedere, ma giovedì il deputato di FDI è stato riconfermato nel ruolo senza che nessuno fiatasse. Miracoli della Realpolitik. La prestigiosa carica che riveste farà sì che Urzì, il paladino degli italiani che per decenni è stato lo spauracchio dell’Svp sui banchi dell’opposizione, diventi il “gran cerimoniere” della riforma dell’autonomia in discussione tra Roma e Bolzano. Onere e onore mica da poco. E il leader della destra altoatesina oggi fa capire quale sia il suo orientamento rispetto ai temi più delicati. C'è da scommettere che, fatalmente, la sua posizione coinciderà con quelle assunte dal governo: il principio dell’intesa, che Urzì preferisce chiamare “diritto di veto” dovrà essere edulcorato, mentre sull’inserimento delle competenze direttamente nel testo dello Statuto (misura che secondo il professor Francesco Palermo potrebbe di fatto esautorare la Corte Costituzione in tutti quegli ambiti, ndr) il deputato sembra possibilista. Improbabile, invece, che passi la misura in cui si vorrebbe assegnare alla Commissione dei Sei il compito di definire l'attribuzione delle competenze. Del resto, pure l’ex parlamentare Karl Zeller, estensore del testo della riforma consegnato da Arno Kompatscher a Giorgia Meloni, nel confronto con Francesco Palermo presso SALTO, ha ammesso di aver "sparato in alto" e che quella misura potrebbe essere la prima delle “sacrificabili”.
SALTO: Presidente Urzì, come previsto è stato riconfermato alla presidenza della Commissione dei Sei. Come è andata?
Alessandro Urzì: “Non direi che la cosa fosse scontata, nel senso che dell’ipotesi di una mia riconferma abbiamo parlato con i componenti della Commissione solo qualche ora prima di ritrovarci. Dal confronto è emerso che si è costruito un clima e un rapporto di fiducia reciproca e si è manifestata un'esigenza di garantire una sorta di continuità rispetto al lavoro fatto finora. E questo è per me un motivo di soddisfazione, perché si è riconosciuto che dall’insediamento del governo Meloni è iniziato un percorso e questo percorso ha necessità di proseguire con continuità.
Sorrido di fronte a chi ha definito il percorso fino ad oggi ed ora, perché c'è al governo un'altra maggioranza, dice: “Oddio qui si vuole la secessione e l'indipendenza”.
A proposito di collaborazione con il governo Meloni, da qualche mese oramai è in corso un confronto sulla riforma dello Statuto di autonomia. Cosa ne pensa? Si va, come sostiene il professor Francesco Palermo, verso un “eccesso di autonomia” che porterà l’Alto Adige ad essere un “villaggio di Asterix” totalmente separato da Roma?
Devo essere sincero che un po' l’osservazione mi fa sorridere, perché noi arriviamo dopo un impegno pluridecennale della sinistra che nello sviluppo dell’autonomia è andata in una direzione univoca senza porsi delle domande, come ad esempio è avvenuto nella riforma che ha del tutto svuotato di competenze la Regione, trasformando il consiglio regionale, definizione dell'Avvocato Zeller, in una sala da tè. Il Consiglio regionale non dico che sia una sala da tè, perché ho rispetto dell'istituzione, ma oggi spesso si occupa di questioni veramente marginali in rapporto a quelle che invece avrebbero potuto essere, se all’atto della riforma, si fosse ragionato su quali potessero essere le tematiche comuni da portare avanti in ambito regionale. Quindi sorrido di fronte a chi ha accompagnato tutto questo percorso e oggi, perché c'è al governo un'altra maggioranza, dice: “oddio qui si vuole la secessione e l'indipendenza”. Oggi in realtà stiamo affrontando con pragmatismo e consapevolezza una fase politica che è figlia di tutto quello che c'è stato in passato e nella quale noi dobbiamo poterci inserire in maniera molto disincantata, ma anche non ideologica, per cogliere tutte le opportunità che da questa riforma dello Statuto possono derivare.
Dico: calma, il lavoro deve ancora iniziare. La proposta non fu delle Regioni ma dei Presidenti delle Regioni, che non hanno mai coinvolto nessuno tanto che in Val d'Aosta c'è stata una violenta polemica
Detto questo, qualche mese fa anche lei sembrava perplesso per alcuni passaggi un po' “spinti” della proposta di riforma.
Facciamo un passo indietro: tutto è iniziato con il presidente Kompatscher che a nome dei Presidenti delle Regioni del Statuto speciale ha consegnato il documento che tutti conosciamo a Giorgia Meloni, la quale ha dichiarato che sarebbe stato valutato senza pregiudiziali. Il documento è finito sul tavolo del Ministero per gli affari regionali e ora è in corso di valutazione sul piano tecnico. Il gruppo di lavoro, coordinato da Daria de Pretis, Vicepresidente emerita della Corte costituzionale, lavora ad un testo figlio di quella proposta e compatibile con il nostro ordinamento. Finito questo passaggio, il tutto verrà trasferito ad un tavolo politico. Quindi dico: calma, il lavoro deve ancora iniziare. Ribadisco poi che la proposta non fu delle Regioni ma dei Presidenti delle Regioni, che non hanno mai coinvolto nessuno nell'elaborazione tanto che in Val d'Aosta, per esempio, c'è stata una violenta polemica su questo aspetto. Quindi è evidente che siamo di fronte ad una proposta che deve essere valutata dal punto di vista tecnico e politico e che va “scremata”. Il tema dell'Autonomia oggi va affrontato con gande distacco emotivo e pensando a cosa sia il meglio per le popolazioni che risiedono nel territorio. Credo che solo questa maggioranza possa affrontare la tematica in maniera libera dai vincoli e dalle limitazioni politiche che hanno imbrigliato per molti anni l'azione politica della sinistra.
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Una delle critiche più forti che il professor Palermo fa a questa riforma è proprio il fatto che, con queste modifiche, lo sviluppo dell’autonomia si legherebbe a doppio filo con le maggioranze che la governano di volta in volta. Poi c’è l’aspetto dell’esautoramento della Corte costituzionale e l’eccessivo peso dato alla Commissione dei Sei. Lei come la vede?
Il dibattito tra Zeller e Palermo è stato in un certo senso accademico, perché si basa su un testo che di fatto non sarà il testo sul quale discuteremo.
D’accordo. Proviamo a riformulare la domanda. Fingiamo che i tecnici dicano di sì a tutto. Condivide le preoccupazioni di Palermo?
Nel confronto lo stesso Karl Zeller esprime un concetto che suona come: “abbiamo chiesto la Luna, dobbiamo essere realisti rispetto a quanto riusciremo ad ottenere". Se devo basarmi sul testo consegnato da Kompatscher, a livello personale posso fare delle valutazioni. Il ruolo che viene immaginato per le Commissioni paritetiche nella interpretazione e nella distribuzione delle competenze, e lo dico pur essendo io ora Presidente della Commissione dei Sei, mi sembra che rsia scoordinato rispetto all’impianto istituzionale che abbiamo. Francamente mi sembra una misura estrema, poco utile e non coerente rispetto all’ordinamento. Ma, comunque, aspettiamo di vedere cosa ne dicono i tecnici.
Ha ragione chi dice che senza intesa tra 70 anni potrebbe teoricamente arrivare un governo che decide di riscrivere completamente l’autonomia, ma non si può immaginare che la sovranità del Parlamento sia tolta solo un aspetto?
Su questo, quindi, è d’accordo con Palermo. E sul principio dell’intesa?
Voglio prima ricordare che l’esigenza di “ripristino delle competenze” nasce da problemi connessi alla riforma costituzionale della sinistra varata nel 2001. Il dibattito attuale va inoltre allineato a quello che è in corso sull'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, perché queste rispetto alle attribuzioni delle competenze, potrebbero teoricamente superare quelle a Statuto speciale. Ma anche la mancanza di limitazioni in questo senso è dovuta a quanto previsto nella riforma del 2001.Per il resto, essendo abituato a parlare schiettamente, ho sempre definito il principio dell'intesa come un potere di veto rispetto all'esercizio della sovranità parlamentare e che va quindi visto dalle due diverse angolazioni. Ha ragione chi dice che senza una misura di questo tipo tra 70 anni potrebbe teoricamente arrivare un governo che decide di riscrivere completamente l’autonomia come la Russia nel Donbass. E questo non può essere. D’altro canto si può immaginare che il Parlamento possa legiferare su tutto tranne che su un aspetto? Ecco che allora forse va prevista una definizione di intesa la più elastica possibile, che tenga conto degli interessi oggettivi delle rappresentanze sul territorio, e quindi anche dei diversi pesi dei gruppi linguistici. Penso ad esempio a quanto già previsto in certe circostanze per il voto separato per gruppi linguistici perché riconosce esplicitamente i gruppi linguistici come gruppi costituenti del sistema dell'autonomia. Immaginare qualcosa che proietti l’intesa anche in questa dimensione può avere una sua fondatezza e ragionevolezza. Finora se ne è parlato evidenziando che in questa materia non può bastare una maggioranza semplice, ma serve una maggioranza “molto” qualificata che preveda la partecipazione dei consiglieri di più gruppi linguistici. Questo è un tema che riguarda l'assetto costituzionale, la sovranità del Parlamento, e ovviamente sarà uno dei principali temi da discutere al tavolo politico. Il testo così come è stato presentato dal Presidente subordina il tutto alla volontà esclusiva di un gruppo linguistico, quello maggioritario, e quindi credo vada rivisto.
Quanto all’inserimento di tutte le nuove competenze nel testo dello Statuto vede anche lei un possibile esautoramento della Corte Costituzionale?
Io sono totalmente favorevole al fatto che si definiscano con chiarezza nello Statuto gli ambiti di competenza, affinché si possano superare molte delle conflittualità emerse con le sentenze della Corte Costituzionale. Fatemi aggiungere una considerazione.
Prego.
Voi mi direte "ma non ti dimentichi di quello che dicevi in passato?". Non dimentico affatto di essere stato estremamente critico quando dicevo che noi venivamo estromessi pregiudizialmente dalla possibilità di intervenire nella gestione dell'autonomia, subendola e non potendola governare. Nel frattempo, da quando Giorgia Meloni guida il governo, c’è stato un passaggio politico epocale. La nostra presenza si è normalizzata e questo lo ritengo un fatto di straordinaria responsabilità da parte di tutte le comunità, ovviamente con un approccio da parte nostra estremamente collaborativo e un approccio molto pragmatico da parte della Volkspartei che si è fidata delle parole della Meloni all'inizio della legislatura. Noi ora dobbiamo mettere mano ai disastri che ci ha lasciato la sinistra. Riscrivendo gli ambiti dentro i quali ciascun ente svolge le proprie prerogative, l’obiettivo che ci deve prefiggere è che non ci sia più confusione sulle competenze, vogliano che la Corte costituzionale si occupi di altre questioni.
Per anni le opposizioni si sono lamentate del fatto che la Commissione dei Sei lavora in modo poco trasparente e la sua attività diventa pubblica quando ormai le norme non possono essere modificate. Zeller ha un po’ irriso il Consiglio provinciale dicendo che c’è sempre stata la disponibilità ma è sempre stato il Consiglio provinciale ad essere poco interessato. Si può fare qualcosa per rendere il lavoro maggiormente condiviso?
Oggi, grazie alle insistenze del passato, è previsto un passaggio dei commissari di nomina territoriale in Consiglio provinciale. Una volta all’anno questi fanno una relazione sui lavori in corso e in consiglio c'è la possibilità di confrontarsi e fare tutte le domande che si vogliono fare.
Una volta all’anno è pura formalità. Diverso sarebbe se il presidente Kompatscher illustrasse in aula di volta in volta i testi delle norme di attuazione prima della loro approvazione, in modo da discutere in un organo legislativo e dare il diritto di parola alle opposizioni prima che le misure diventino legge.
La Commissione paritetica, si chiama paritetica, perché deve trovare una sintesi tra due interessi, quello della Provincia e quello dello Stato, e della Regione nel caso della Commissione dei Dodici. Io sono un membro di nomina governativa e devo rendere conto ai miei referenti diretti. Le paritetiche potrebbero svolgere una funzione strategica molto interessante, cosa che magari non sempre nel passato è stata, di cuscinetto fra i due interessi. In passato, per fare un raffronto, avevo presentato una mozione, poi bocciata, in cui chiedevo che prima di concludere il percorso di approvazione delle leggi provinciali si avviasse un confronto preventivo con lo Stato per evitare che ci fossero poi elementi di criticità costituzionale. Una cosa simile potrebbero farla di volta in volta i membri di nomina provinciale e regionale in consiglio con le norme di attuazione. I documenti riservati non si possono ovviamente divulgare ma io non credo che la Commissione dei 6 debba lavorare in segreto. Dopo la conferma alla presidenza ho diffuso un comunicato in cui ho fatto l'elenco di tutto quello che è sul nostro tavolo nostro, senza misteri e senza imbarazzi.
Ma oltre a quanto è previsto nel documento non sarebbe ora di pensare ad una vera riforma dello Statuto?
Non c’è dubbio. L’Alto Adige di oggi non è quello del 1972, alcune riflessioni potremmo avviarle. Il tema della rappresentatività dei gruppi linguistici nelle sedi istituzionali, è un tema che forse vale la pena di essere così approfondito? Per esempio penso a Lana, dove gli italiani hanno eletto un solo consigliere e quindi non possono avere un assessore in Giunta. E’ ragionevole? E’ ragionevole che se ci fosse la volontà politica di farlo comunque un assessore italiano non si potrebbe in quanto è vietato dallo Statuto? Se il gruppo italiano ha una consistenza del 24%-25 e in consiglio abbiamo una consistenza inferiore, si può immaginare un esecutivo con un solo assessore italiano? Trovo che abbia senso, come avviene in altri paesi, che vi siano quote obbligatore e fisse per garantire la rappresentatività. Allo stesso modo si potrebbero prevedere meccanismi diversi per evitare che, per eleggere un deputato europeo, un partito territoriale debba obbligatoriamente andare in cerca di un soggetto politico disposto ad accoglierlo e a fare un collegamento di lista. Oppure chiedo: è ancora attuale il tema dei 4 anni di residenza per poter votare, mentre in Trentino si vota dopo un anno? Non sto dicendo che tutti questi temi debbano entrare nella riforma, ma che un domani sarà necessario parlare anche di questo. Credo che dovrebbe iniziare una nuova stagione politica, dove di tutto questo si possa discutere col sorriso, alla ricerca delle soluzioni migliori nell'interesse di tutti i cittadini della nostra terra.
Nell'agenda dei SeiAl Dipartimento affari legislativi della presidenza del Consiglio dei Ministri, ha fatto sapere all'atto dell'insediamento Alessandro Uzì, c’è ancora in posizione di attesa la norma che prevede la possibilità di deroga alla proporzionale per periodi limitati di tempo e in casi eccezionali per gli uffici dello Stato in provincia di Bolzano oggi in particolare sofferenza. Ma sul tavolo c'è anche la ridefinizione degli organici dell’archivio di Stato, degli uffici veterinari, dell’ex genio civile, del ministero degli interni in provincia di Bolzano nonché la dotazione organica di magistrati presso la corte d’appello e la procura generale di Bolzano. Fascicoli aperti accanto a quelli che riguardano la caccia e la formazione iniziale degli insegnanti.
"Oggi in realtà stiamo…
"Oggi in realtà stiamo affrontando con pragmatismo e consapevolezza una fase politica che è figlia di tutto quello che c'è stato in passato e nella quale noi dobbiamo poterci inserire in maniera molto disincantata, ma anche non ideologica, per cogliere tutte le opportunità che da questa riforma dello Statuto possono derivare." (s.o. Urzii)
Klingt fast nach Ankündigung einer postkolonialen Zeitenwende für das Südtirol.
Der Zustand lässt sich bekanntlich an der Umsetzung der grundlegenden Volks- und Bürgerrechte, am Bürgerservice in der eigenen Sprache bzw. eben an der noch immer bestehenden gruppenbezogenen Ungleichwertigkeit der (dt./lad.) Bürgerschaft im Alltag und an den realen Zuständigkeiten festmachen. Nicht an Statements der Beliebigkeit bzw. an einer Ankündigungs- und Schaufensterpolitik.
Selbst nach über 77Jahren hat man nicht das völkerrechtliche Schutzübereinkommens des Pariser Friedensvertrages von 1946, wie die völlige Gleichstellung, Gleichwertigkeit des Deutschen mit dem Italienischen in Amtsbeurkundungen (z.B. in Akten, Normsetzungen), aber auch in der Toponomastik, umgesetzt.
Es wurden (1992) auch keine Rechts- und Schutzgarantien vereinbart, noch wirksame Mechanismen, wie z.B. ein bilaterales Monitoring, eine int. Schiedskommission (vgl. Kreisky-Saragat 1963) bzw. ein Schiedsgericht implementiert.
Vielmehr sieht man seit langem zusehends eine gezielte Aushöhlung und Beschneidung der tatsächlichen Kompetenzen von 50% im Vergleich zu 1992. (Vgl. Dissertation des preisgekrönten Juristen Dr. Matthias Haller — mit dem Titel „Südtirols Minderheitenschutzsystem. Grundlagen, Entwicklungen und aktuelle Herausforderungen aus völker- und verfassungsrechtlicher Sicht.“)
Wohl kaum jemand kommt heute an der Erkenntnis vorbei, dass das innerstaatliche Klein-Kein des Minderheiten- und Autonomieschutzes mit seinen Unwegsamkeiten in der Praxis mehr als brüchig ist und von nationalpolitischen Entwicklungen in Italien selbst abhängt.
Vgl. a.: https://www.brennerbasisdemokratie.eu/?p=86098
Es gilt sich ehrlich zu machen. Auch im Südtirol zählt letztlich, was am Ende rauskommt. Ein schwerer Stand, heute mehr denn je, jedenfalls für „ein kleines Europa in Europa“ (Kompatscher).
Wenn ich Urzi höre,dann…
Wenn ich Urzi höre,dann sieht es um die Wiederherstellung unserer ausgehöhlten Autonomie konkret sehr schlecht aus. Vonwegen bis Ende Juni 2024,wie VOR den Wahlen von Kompatscher versprochen" HEISSE LUFT"wie immer!