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Quando arriva la notte

Continua la grave emarginazione di chi vive in strada in Alto Adige, tra la chiusura del dormitorio “ex-Inpdap”, l'emergenzialismo delle istituzioni e la deriva securitaria delle forze dell'ordine.
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Foto: (c) Ludwig Thalheimer
  • A fine aprile la chiusura del dormitorio di emergenza “ex-Inpdap” ha riacceso il dibattito sul fenomeno della grave emarginazione in Alto Adige. Il Comune del capoluogo e la Provincia propongono da anni soluzioni di carattere emergenziale, spesso ignorando le buone pratiche e le alternative già presenti sul territorio. Nel frattempo, chi vive in strada deve fare i conti con l’ostilità burocratica e la deriva securitaria delle forze dell’ordine.

  • Inaugurato lo scorso novembre, fino a fine aprile il dormitorio “ex-Inpdap”, gestito dalla Croce Rossa Italiana, ha ospitato circa duecento persone, rispondendo a un bisogno che l’“ex-Alimarket” (affidato sempre alla Croce Rossa) e l’“Accoglienza Notturna Temporanea” gestita dal Gruppo Volontarius – entrambe con una disponibilità di 95 posti letto per uomini adulti – non riuscivano a soddisfare. In Alto Adige il dibattito sui posti letto per le persone senza dimora si presenta puntuale in questo periodo dell’anno, per assopirsi durante l’estate e tornare di attualità solo con l’arrivo dell’inverno, quando le temperature scendono sotto lo zero e si rischia di ripetere la stessa catena di errori che nel dicembre 2022 causò il decesso di Mostafa Abdelaziz Mostafa Abouelela, morto assiderato a 19 anni mentre dormiva in un rifugio di fortuna sotto un viadotto ferroviario a Bolzano.

  • Vite in strada

    “Dopo la chiusura dell’'ex-Inpdap' di via Pacinotti, a Bolzano sono circa 150 le persone che si trovano loro malgrado a vivere all’addiaccio”. A restituire una fotografia precisa del numero dei*lle senza dimora del capoluogo è Romina Ciafardone, referente di “Oltre la strada”, progetto gestito dall’Associazione Volontarius ODV, che da 25 anni ascolta, assiste e accompagna le persone in situazioni di grave vulnerabilità sociale, provando – attraverso una costante attività di monitoraggio diurno e notturno e interventi individualizzati – a costituire un ponte tra la strada, le istituzioni e i servizi sociosanitari. “Oggi in strada incontriamo persone in situazioni giuridiche e individuali diverse”, continua Ciafardone, “senza dimora 'storici' italiani ed europei, cittadini extracomunitari – in particolare giovani nordafricani e cittadini dei Paesi dell’Africa Occidentale e del continente asiatico –, titolari di una protezione che lavorano ma non riescono a trovare un alloggio e richiedenti asilo”.

    “Il generale impoverimento della società ha spinto molte più persone ai margini.”

    Rispetto a una decina di anni fa il team di “Oltre la strada”, inoltre, rileva che “il generale impoverimento della società ha spinto molte più persone ai margini” e osserva l’aumento della presenza femminile in strada, “soprattutto giovani autoctone con problemi di dipendenza, e tante persone con patologie psichiatriche, già traumatizzate dal percorso migratorio, che una volta qui vivono un disorientamento culturale e non hanno un servizio specifico a cui fare riferimento”. E che, quando il servizio esiste, si scontrano spesso con l’ostilità della burocrazia. Nonostante la Legge n. 1228/1954 abbia definito l’iscrizione anagrafica un “diritto soggettivo (e non concessorio) riconosciuto dal nostro ordinamento a tutti i cittadini che ne hanno facoltà”, infatti, molto spesso l’accesso alla residenza è lo scoglio che impedisce a diversi percorsi di inserimento di prendere il via. È questo, per esempio, ciò che è successo ad Aisha, che Romina Ciafardone e le colleghe di “Oltre la strada” seguono da tempo. “Nata in Nordafrica, Aisha è arrivata in Italia da bambina. Alla maggiore età si è sposata, ha avuto dei figli e ha poi sviluppato una dipendenza da sostanze”. A Bolzano, dove si è trasferita nel 2018, la donna ha sempre vissuto in strada, trovando riparo in una tenda sul lungofiume. “Lo scorso inverno Aisha ha espresso la volontà di accedere a una comunità terapeutica, quindi l’abbiamo accompagnata al Servizio per le dipendenze (Ser.d)”, spiega la referente di “Oltre la strada”. Le pratiche necessarie per il suo ingresso in comunità, però, si sono presto arenate. Per Aisha è stato impossibile ottenere la residenza, anche quella fittizia per le persone senza dimora, “dato che l’anagrafe senza il certificato di nascita o il passaporto non intende procedere”, conclude Ciafardone. Il percorso in comunità, quindi, è saltato. Al momento Aisha continua a vivere in strada ed è ancora dipendente da sostanze.

  • Foto: (c) Ludwig Thalheimer
  • Tra percezione e realtà

    Oltre al labirinto burocratico dai tratti kafkiani in cui si devono districare, in questi ultimi mesi le persone marginalizzate sono vittime della decisa repressione da parte delle forze dell’ordine, riportata con enfasi positiva da molti media locali. Peccato che tra le persone colpite da DASPO urbano, foglidi via e invio nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, vi siano in diversi casi persone che non hanno commesso alcun reato. Tra queste c’è Ousmane, che ha ricevuto un foglio di via da Bolzano perché “bivaccava”. “In realtà stava solo mangiando un panino all’aperto, ma dove altro avrebbe potuto farlo visto che vive per strada?”, si chiede Federica Franchi, attivista di Bozen Solidale, associazione che ha recentemente avviato una raccolta fondi per coprire le spese di chi decide di ricorrere contro queste sanzioni. Per l’attivista bolzanina i controlli effettuati con un dispiegamento di forze quasi coreografico e i dispositivi messi in campo dal questore Paolo Sartori mirano unicamente a ottenere il facile consenso della cittadinanza, facendo leva sulla percezione del pericolo, più che sui dati reali. Proprio Sartori, infatti, in un’intervista rilasciata al portale di informazione Salto ha dichiarato che “anche se quasi tutti i fenomeni criminali sono in decrescita, il divario tra percezione della sicurezza e sicurezza reale è più ampio” e per questo “la gente vuol vedere i lampeggianti”. 

    Le persone marginalizzate subiscono la decisa repressione da parte delle forze dell’ordine.

    “Considerare la marginalità un problema di ordine pubblico, però, non fa altro che spingere le persone ancora più nell’invisibilità e, di conseguenza, rende più complicato il lavoro di supporto delle organizzazioni del terzo settore”, sottolinea Federica Franchi. Oltre a distribuire sacchi a pelo e tende, uno degli obiettivi dell’attività volontaria di Bozen Solidale è esercitare pressione sulle istituzioni. Ora che a Bolzano le persone per strada sono centinaia, è facile prevedere nuovi sgomberi degli insediamenti informali dei*lle senza dimora da parte del Comune di Bolzano e della Polizia Municipale, che da anni attuano questo tipo di operazioni. Per questo Franchi e compagni*e hanno inviato a Provincia, Comune e Polizia Municipale “la richiesta di indicare dove potranno recarsi le persone per recuperare i propri effetti personali e uno spazio in cui potrebbero stabilirsi, creando meno 'disturbo' ed evitando al tempo stesso pericoli per la propria incolumità”. L’unica risposta pervenuta al gruppo è quella della Polizia Municipale, che ha specificato “di non essere in grado di dare indicazioni su posti dove mettere le tende, né può rilasciare autorizzazioni in tal senso”.

  • Un fenomeno urbano

    Secondo i dati del Censimento permanente della Popolazione al 31 dicembre 2021 dell’ISTAT,

    le persone senza dimora in Italia sono 96.197. La metà di loro si concentra in sei città: Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova e Foggia. Sebbene la rilevazione pubblicata dall’Istituto di statistica, basandosi su criteri esclusivamente amministrativi, non fornisca un quadro del tutto esaustivo del fenomeno della grave marginalità, appare però evidente come questo fenomeno si

    concentri principalmente nei centri urbani, dove sono presenti maggiori servizi. Questa tendenza contraddice l’auspicio del Sindaco di Bolzano Renzo Caramaschi e dell’Assessore alle politiche sociali Juri Andriollo, che da tempo chiedono alla Provincia di “organizzare l’accoglienza dei senzatetto attraverso una ripartizione dei posti letto a livello territoriale”. 

    Limitarsi ad aprire dei piccoli dormitori nei Comuni periferici non sembra una misura sufficiente, se questi non sono inseriti in una rete più ampia di servizi e interventi sociali individualizzati. Di questo è convinta Jasmin Fissneider, operatrice sociale di Haus Maria Hueber a Bressanone, centro mattutino e mensa della Caritas. Al servizio afferiscono ogni giorno tra le 20 e le 30 persone, che qui curano i propri bisogni primari e possono fare riferimento allo sportello di consulenza, dove Fissneider sostiene gli*le utenti nella stesura dei curriculum, nella ricerca lavoro e alloggio e nel disbrigo delle pratiche burocratiche legate alla procedura di richiesta asilo. Almeno la metà delle persone che frequentano il servizio non riesce ad accedere al dormitorio, che a Bressanone offre dieci posti. “Senza un tetto sulla testa, a un certo punto le persone rischiano di crollare”, puntualizza l’operatrice Caritas. “In quei casi vederle 'spegnersi' senza poter fare nulla fa male”. Molto spesso chi varca la soglia di Haus Maria Hueber dichiara di essersi spostato in Alto Adige unicamente per trovare un’occupazione. Quando Fissneider – supportata da Claudio Gandini che qui svolge il Servizio sociale per adulti – riesce a instaurare con loro una relazione di fiducia, però, emerge in molti casi una multi-problematicità legata all’abuso di sostanze. “Riusciamo a scorgere questi aspetti anche perché i numeri del nostro servizio sono contenuti”, afferma l’operatrice sociale, certa che “se avessimo più utenti da seguire tante fragilità rimarrebbero nell’ombra e si acuirebbero”. Una peculiarità del servizio fornito dalla Caritas a Bressanone è proprio l’atmosfera quasi familiare che si respira al suo interno, fondamentale, secondo Jasmin Fissneider, “per garantire un lavoro di qualità, favorire l’inserimento sociale delle persone, rispettarne la centralità e, soprattutto, la dignità”.

  • Foto: (c) Ludwig Thalheimer
  • Sentirsi a casa

    La dignità e il rispetto reciproco sono anche i principi cardine di dormizil, progetto nato nel 2020 e gestito da alcuni*e cittadini*e riunitesi nell’associazione "housing first bozen ODV", che a Bolzano propone da tre anni un’idea diversa di accoglienza. “Dal 2021 a oggi – i primi due anni in via Renon e il terzo in via Vintler – abbiamo garantito 25 posti letto alle persone senza dimora,

    suddivisi in una stanza tripla, tre singole e nove camere doppie”, afferma Paul Tschigg, tra i promotori dell’iniziativa. Così come accade ad Haus Maria Hueber a Bressanone, “qui si creano relazioni sociali tra ospiti e volontari*e: questo ci permette di vedere se qualcuno vive un periodo difficile e di intervenire a supporto”. Anche se per ora la casa ha chiuso i battenti e riaprirà le sue porte il prossimo autunno, il lavoro di dormizil prosegue tutto l’anno. Sette persone seguite da Tschigg e compagni*e vivono in completa autonomia in un appartamento in affitto. “Si tratta di persone senza dimora da lungo tempo, che conosciamo e supportiamo da anni”, spiega il 68enne di San Genesio. “I costi dell’affitto e le spese accessorie sono a loro carico, perché è importante che siano responsabili in prima persona della loro abitazione”. 

    La dignità e il rispetto reciproco sono i principi cardine di dormizil.

    L’iniziativa dell’associazione "housing first bozen ODV" è possibile grazie a finanziamenti privati e donazioni e si fonda sull’impegno di più di cento volontari*e. Le istituzioni, invece, non hanno ancora riconosciuto pubblicamente il valore del contributo di dormizil. “Il Landeshauptmann Arno Kompatscher e l’allora assessora Waltraud Deeg sono venuti in visita e l’assessore comunale Andriollo ci ha fatto i complimenti per il nostro sforzo, ma tutto questo è avvenuto in forma privata”, dice Tschigg, che non si lascia certo scoraggiare ed è pronto per una nuova avventura. Da poco l’associazione ha prolungato il contratto di affitto del “dormizil 2” in via Vintler. Inoltre, entro un paio di settimane dovrebbero iniziare i lavori di ristrutturazione del “dormizil 1” in via Renon. Messo a disposizione a titolo gratuito per i prossimi trent’anni dalla “Haselsteiner Familien-Privatstiftung”, l’edificio – circa 900 m² su sei piani più un seminterrato – verrà riconvertito in nove piccoli appartamenti per un progetto di Housing First, un alloggio di transizione con cinque posti letto di emergenza, oltre a docce e lavatrici per i*le senza dimora della città e una sala per eventi pubblici. Una sfida ambiziosa che Paul Tschigg spera possa rappresentare “il punto di partenza per Bolzano, ma anche per altre città del territorio. La nostra esperienza in fin dei conti mostra che con umanità e rispetto cambiare rotta è possibile”.

  • Un altro paradigma

    Il sostegno alle persone senza dimora declinato secondo il modello “a gradini”, che vede la casa come la ricompensa finale mostra da tempo i propri limiti. Come proposto da dormizil, per affrontare in maniera strutturale la questione dell’homelessness sul territorio un primo passo importante potrebbe essere l’avvio di diversi progetti di Housing First, sistema di supporto che si fonda e sul diritto all’abitare e sul presupposto che per risollevarsi da una condizione di grave marginalità si debba partire da una situazione abitativa stabile e confortevole. Per quanto riguarda possibili soluzioni a breve termine, Federica Franchi reputa “sicuramente necessario aumentare il numero di strutture per lavoratori*rici”. L’attivista pensa per esempio all’ex-Cohousing Rosenbach, dismesso dalla fine del 2020, “che garantirebbe subito una trentina di posti da mettere a disposizione, a pagamento, per i lavoratori usciti dall’ 'emergenza freddo'”. 

    “Il terzo settore si è guadagnato sul campo la possibilità di poter incidere anche nella pianificazione sociale.”

    Da anni professionisti*e del settore e società civile richiedono poi l’apertura a Bolzano di un centro diurno per cittadini uomini adulti di tutte le provenienze – UE ed extra-UE –, progettato secondo criteri che favoriscano la socialità e che preveda attività volte alla riattivazione di risorse e competenze personali e progetti educativi personalizzati. Secondo Franchi, inoltre, “andrebbe promossa un’attività di sensibilizzazione più efficace sul tema, con una narrazione che porti alla luce anche gli esempi virtuosi e i percorsi di successo delle persone”. Il Gruppo Volontarius, in questo senso, lo scorso gennaio ha dato alle stampe “La casa è un diritto di tutti”. La pubblicazione mette in dialogo esperti*e del settore, streetworker, artisti*e, designer e fotografi*e e raccoglie riflessioni, esperienze e proposte costruttive sul tema del diritto all’abitare. In un’ottica a lungo termine, infine, Diana Seyffarth, responsabile dell’area “Persone di strada e grave emarginazione” del Gruppo Volontarius, ritiene fondamentale “puntare su un grande investimento ora, che ci consentirebbe di essere più lungimiranti e risparmiare risorse in futuro. Per riuscire ad andare oltre all’'emergenza', potremmo guardare a realtà estere, come Vienna, o italiane, per esempio Bologna e Torino, per dare vita a progetti che vedano coinvolti in rete IPES, Servizi sociali, altri Comuni della provincia, l’Ufficio del Lavoro e il terzo settore, che in questi anni si è guadagnato sul campo la possibilità di poter incidere anche nella pianificazione sociale”.

  • Questo articolo è uscito nel numero di giugno del giornale di strada zebra.

    Foto: zebra
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Andres Pietkiewicz Sa., 06.07.2024 - 12:42

Complimenti per l'articolo. Finalmente si parla chiaramente di un argomento tabù per la politica e le società di profitto. Uscire dall'emergenza e pianificare nel tempo la realtà che non si vuol vedere è l'unica soluzione ragionevole e che porterebbe anche quei risultati che la cittadinanza tutta desidera: essere migliori persone, vivere serenamente senza l'angoscia della sicurezza, giovani lavoratori che attraverso lavoro e imposte paghino le nostre pensioni. Ma occorre che la rete dei Servizi, le FF.OO e le ODV preposte arrivino ad operare in armonia e avendo come unico e fondamentale obiet
tivo la persona.La politica ahimè rimarrà al margine perché incapace anche di pensare.

Sa., 06.07.2024 - 12:42 Permalink