Sul carro dei perdenti
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Mi presento, anche se ormai a qualcuno il mio nome potrebbe suonare familiare: mi chiamo Jessica Tabarelli e sono una mamma e insegnante meranese.
Fino a qualche tempo, fa conducevo una vita molto tranquilla e tutto sommato un po' monotona, scandita dai ritmi che le madri lavoratrici conoscono molto bene: la solita corsa a ostacoli tra lavoro, scuola, terapia pubblica e privata di mio figlio, un bambino con bisogni educativi speciali, lavoro domestico, correzioni di compiti in classe, riunioni a scuola e preparazione delle lezioni. Poco tempo libero, strappato qua e là, che impiegavo per leggere, andare a teatro o al cinema, in montagna con la mia famiglia o per fare una chiacchierata con le amiche. Niente di speciale, ma ero contenta della mia vita tranquilla e un po' anonima.
Mai avrei pensato di essere intervistata un giorno da qualcuno, che non fosse del giornalino della mia scuola, né tanto meno di comparire su articoli o scrivere lettere sui giornali.
Poi il mio bambino ha iniziato a frequentare la prima elementare e ad usufruire del servizio di trasporto scolastico per bambini/e con disabilità, e così è iniziata la mia "avventura pubblica", perché, mio malgrado, da quel momento, il mio nome ha iniziato a comparire prima ogni tanto e poi sempre più spesso sui media locali.Nel frattempo sono anche diventata socia e volontaria dell'associazione "Greta Odv-Autismus Denkfabrik", in cui mi occupo dello sportello di prima consulenza legale. Così nel mio tempo libero, grazie al prezioso supporto di giuriste volontarie, ho iniziato a segnalare e denunciare i tanti disservizi e discriminazioni, subiti ogni giorno dai bambini con disabilità e dalle loro famiglie, comprese quelle che subisco io.
Già, perché, a dispetto delle tante celebrazioni e passerelle mediatiche, siamo ancora molto lontani dall'essere una terra inclusiva, non solo sulla carta ma nella realtà, anche nella nostra provincia, apparentemente impegnata sul tema dell'inclusione.“Ecco perché le parole sono pietre e possono ferire, e sono importanti, vanno scelte con molta attenzione”
E qui giungiamo al "Fall" Tabarelli: perché curiosamente, nel linguaggio spersonalizzato e burocratico della politica, sono un "Fall", invece di una semplice persona con diritti, dignità e sensibilità. Ma sono diventata anche, e soprattutto, una mamma scomoda, un "fiume in piena", una che deve "tranquillizzarsi" e "cambiare tono" (cito testualmente le parole che mi sono state rivolte al telefono da un noto dirigente provinciale, durante una mia recente telefonata).
Durante i miei studi di linguistica, ho imparato che ogni parola è politica, cioè nessuna parola è neutra, ma porta con sé un significato che va oltre quello letterale: in sociolinguistica si dice che è connotata. Ecco perché le parole sono pietre e possono ferire, e sono importanti, vanno scelte con molta attenzione.
Nel mio questo caso, da queste parole, emerge un vecchio adagio: tu, donna, anzi, signora mamma, devi stare zitta e buona o, al massimo puoi segnalare, sempre con il dovuto rispetto, il tuo problema agli uffici competenti e sperare che stavolta venga risolto.
Ma se alzi la voce davanti all'ennesimo disservizio o ritardo, se ti arrabbi, ricordando che anche tu hai un lavoro ed una vita che non si esaurisce nell'aspettare il bus in ritardo di tuo figlio per uno, due, tre o quattro giorno consecutivi, beh, ecco che allora non vai più bene.
Se perturbi l'efficiente immagine da cartolina dei servizi offerti generosamente dalla PAB, verrai sistematicamente accusata di: sbagliare nei toni, cercare problemi dove non ci sono, essere un' isterica, o, peggio, una bugiarda, aggressiva, rompiscatole, maleducata o perfino violenta, poiché nell'immaginario patriarcale una donna, soprattutto se è madre, deve stare in religioso silenzio, sottomessa ed obbediente ai dettami degli uomini, specialmente se questi esercitano una qualche forma di potere nei suoi confronti.
Inoltre, è sempre un uomo che, se hai un qualunque problema, può "spiegarti" come funziona il mondo, un servizio, una legge o una qualunque altra questione: non fa differenza se, come nel mio caso, ho due lauree, una specializzazione, sono una docente di ruolo, insegno da 15 anni, mi occupo di consulenze legali e conosco 4 lingue: comunque “lui” lo saprà sempre meglio di te e tu lo dovrai ascoltare, possibilmente in rispettoso silenzio.
Si tratta del "mansplaining" o, in italiano, "minchiarimento", altro elemento immancabile della retorica patriarcale: "Signora Mamma" (è molto difficile che io venga chiamata con il mio nome e cognome, per non parlare del mio titolo professionale, quando queste persone si rivolgono a me, con toni tutt'altro che gentili, che però loro si possono permettere al contrario di me), non faccia la
maestrina (altrettanto misterioso è capire cosa li renda tanto ostili verso la mia categoria, però il termine "maestrina" è molto ricorrente nei “minchiarimenti”) e soprattutto, non ne parli più sui giornali.
Avete letto bene: mi è stato intimato, proprio sotto casa e davanti al mio bambino, di non parlare più dell'accaduto con la stampa.
Può sembrare pazzesco, ed io per prima ero sconvolta, indignata e incredula: mai nella mia vita, dato che non conduco una vita ai limiti della legalita', mi era capitato di essere intimidita o minacciata, e queste cose credevo succedessero solo alle protagoniste delle fiction… ma ormai la mia vita di mamma e insegnante sembra proprio aver preso una piega decisamente avventurosa!
Scherzi a parte, fa davvero un certo effetto essere costretta a ricordate che chi mette in atto questi comportamenti, viola gli articoli 11 e 21 della Costituzione, che, è bene ricordarlo, vale anche in Adige Adige e che nessuno può intimare ad una cittadina di non parlare con la stampa di un qualsiasi vicenda, perché si tratta di un diritto basilare in democrazia, tanto più se essa riguarda la denuncia di un mancato servizio pubblico o di una discriminazione. Farlo è un reato per chiunque, ancora più grave se commesso da parte della pubblica amministrazione.“Questi diritti sono scolpiti nelle nostre anime, perché stanno alla base dello Stato di diritto, della democrazia e del nostro vivere civile”
Per concludere, esiste, in questa incredibile storia, anche e soprattutto una questione etica, oltre che legale e politica, che investe in pieno la P.A.B ed i suoi rappresentanti politici.
Noi, mamme di bambine e bambine con disabilita', siamo state pubblicamente accusate di creare problemi, di usare modi aggressivi o di raccontare falsità. Una vera e propria macchina del fango messa in atto nei nostri confronti, da chi invece avrebbe il compito di supportarci e sostenerci.
Tuttavia, i responsabili politici e amministrativi sembrano non accorgersi che stiamo combattendo una battaglia di civiltà, che pone in primo piano non gli interessi di parte, politici o economici che siano, ma la dignità e i diritti dei nostri bambini e delle nostre bambine.
Non abbiamo in mano alcuna bandiera politica o etnica, ma solo l'arma pacifica del diritto. E siamo tante e unite: siamo insegnanti, commesse, casalinghe, giornaliste, parrucchiere ed infermiere, imprenditrici e farmaciste. Siamo donne e siamo madri che lottano tutti i giorni non per i propri interessi, ma solo per i diritti e la dignità dei loro figli, che sono scritti nella Costituzione italiana, nella Dichiarazione dei Diritti dei bambini e dell'infanzia e in quella delle Persone con disabilità, oltre che nella legge nazionale 104/92. Questi diritti sono scolpiti nelle nostre anime, perché stanno alla base dello Stato di diritto, della democrazia e del nostro vivere civile.
Ed è proprio per questo che alla lunga, pur non avendo l'appoggio di lobby potenti e di politici influenti, vinceremo noi: perché siamo superiori sul piano morale e stiamo dalla parte della Legge e dei diritti dei più fragili.
È vero, al momento siamo sul carro dei perdenti, ma, nonostante le intimidazioni subite da molte di noi, non faremo silenzio, almeno fino a quando non avremo vinto questa piccola, ma grande battaglia simbolica. Dal nostro carro dei perdenti faremo rumore, disturberemo e urleremo, scriveremo lettere e articoli sui giornali locali e li condivideremo sui social-media finché qualcuno ci considerara'.
Per concludere, vorrei che queste mie parole arrivassero fino ai nostri rappresentanti politici e che smuovessero almeno un po' le loro coscienze, ricordandogli che il loro primo compito è quello di porsi con umiltà al servizio dei cittadini e delle cittadine: vorrei, per una volta, che ci guardassero negli occhi e non dall'alto in basso, e ci portassero il dovuto rispetto, mentre senza paura, proseguiamo nella battaglia per il diritto ad un trasporto scolastico sicuro, affidabile ed efficiente per i nostri bambini e le nostre bambine, non come chi vince sempre, ma come chi non si arrende mai.
Wünsche Euch viel Erfolg…
Wünsche Euch viel Erfolg beim Kampf gegen kleine und große Windmühlen. Get up, stand up, stand up for your right.
Vorrei esprimere la mia più…
Vorrei esprimere la mia più alta considerazione e stima per le sue parole. Danke! Auguro a noi tuttə che riesca nel suo intento nel più breve tempo possibile.
Complimenti Jessica - ein…
Complimenti Jessica - ein rund um gelungener Text!