Gesellschaft | Notti fuori / 9

La città ostile

Tra barriere fisiche e burocratiche le vite delle persone senza dimora rischiano di rimanere incastrate in un labirinto senza uscita, in cui i loro diritti finiscono puntualmente calpestati. Il nostro reportage.
via Sciliar Bolzano
Foto: Alessio Giordano
  • Nel 2012, Theresa May, ai tempi Segretaria di Stato per gli Affari Interni del Regno Unito, in un’intervista al Daily Telegraph dichiarò che il governo Cameron avrebbe creato “un ‛ambiente ostile’ per rendere impossibile la vita ai migranti irregolari”. Seguirono a breve politiche volte a impedire a questa categoria di persone l’accesso al mercato immobiliare e al sistema sanitario e un rigido disciplinamento degli spazi urbani. Tale approccio si è largamente diffuso, colpendo richiedenti asilo e persone senza dimora a ogni latitudine d’Europa, dai confini terrestri del continente alle piazze di molte città. Se, per esempio, le barriere fisiche che separano il Marocco dalle città autonome spagnole di Ceuta e Melilla sono funzionali per bloccare la speranza europea delle persone in movimento, sporgenze, spigoli, divisori e grate che “decorano” le città del Nord globale impediscono a gruppi sociali considerati indesiderabili l’accesso e l’utilizzo dello spazio cittadino.

  • Lo spazio non è di tutti

    L’architettura o design ostile è un termine che indica un insieme di strategie messe in atto al fine di controllare ed influenzare il comportamento delle persone all’interno dello spazio pubblico”. Cristian Campagnaro, architetto e professore di design presso il Politecnico di Torino, descrive così l’approccio architettonico nato con l’obiettivo di prevenire il crimine e mantenere l’ordine pubblico e che oggi colpisce soprattutto coloro che più di tutti usufruiscono degli spazi urbani comuni, in particolare senza dimora e giovani. In questo senso, “l’architettura ostile porta alla luce il rapporto che le amministrazioni di tante città hanno con le figure più marginali”, spiega Campagnaro, che sottolinea come “dietro queste opere c’è l’idea di un utilizzo normale e quindi accettabile della città, a cui si contrappone un uso ‛anormale’, che in quanto tale va vietato”. Questa visione, quindi, finisce per suddividere i cittadini in due categorie: i desiderabili, che devono poter usufruire dello spazio cittadino, e gli indesiderabili che invece vanno esclusi. 

  • Un esempio di Camden Bench a Londra. Foto: Wikipedia
  • L’esempio più noto di architettura ostile è la Camden Bench, una panchina diffusa nelle strade di Londra a partire dal 2012. La forma e la progettazione di quest’opera è la perfetta realizzazione degli auspici di Theresa May: struttura pesante, spigoli che impediscono di sdraiarsi, bordi che non consentono lo scivolamento degli skateboard, utilizzo di una vernice speciale per proteggerla dai graffiti e di materiali che la rendono estremamente calda in estate e fredda in inverno. “Inoltre il design ostile impiega molti altri strumenti, che vanno da elementi fisici dell’arredo urbano a dispositivi e sistemi informatici – videocamere, luci e rumori – spesso nascosti nell’ambiente urbano e per questo chiamati anche silent agents”, precisa il professor Campagnaro. In alcuni casi le funzioni per cui sono installati vengono camuffate da altri attributi, in modo da renderli socialmente accettabili.  È il caso dei braccioli, che si trovano sempre più frequentemente sulle panchine pubbliche – in particolare nelle stazioni e negli aeroporti –, il cui scopo principale è impedire alle persone di sdraiarsi. 

     

    “Il design ostile utilizza molti strumenti, da elementi fisici dell’arredo urbano a dispositivi e sistemi informatici.”

     

    Se soluzioni di questo tipo affollano le maggiori città europee – da Londra a Berlino, da Barcellona a Parigi –, prendendo in esame gli ostacoli fisici e burocratici che le persone richiedenti asilo e senza dimora devono affrontare nella loro quotidianità, si osserva come questi dispositivi siano sempre più presenti anche a Bolzano. Qualche anno fa alcune persone senza dimora trovavano un po’ di conforto grazie all’aria calda che fuoriusciva dalle grate di aereazione di un supermercato in Corso Libertà. Complice una campagna politica e mediatica che ha fatto da cassa di risonanza alle lamentele dei residenti, nel 2018 è stata montata una barriera di ferro per bloccare l’accesso a quest’area di pochi metri quadrati. Ormai tristemente celebri sono poi i blocchi di cemento posizionati sotto il viadotto autostradale a Bolzan Sud, che rendono impossibile l’insorgere di accampamenti informali delle persone costrette all’addiaccio. È dello scorso dicembre, infine, l’ultimo appello di alcuni esponenti della Lega, che hanno richiesto “divisori sulle panchine e daspo urbano” per contrastare il cosiddetto “degrado” che la presenza di pochi senza dimora causerebbe in piazza Mazzini a Bolzano. 

  • Bolzano, corso Libertà. Foto: Alessio Giordano
  • Appelli e iniziative di questo tipo trovano consenso, perché propongono soluzioni apparentemente semplici a una questione molto complessa, ma – fa notare Campagnaro – “limitandosi a spostare ‛il problema’ in un’altra zona della città, non lo si risolve in alcun modo”. L’inibizione dell’uso di una piazza ad alcune categorie di persone, infatti, farà sì che queste porteranno il loro carico di problemi sociali e sanitari in un altro quartiere, dato che, come evidenzia l’architetto e docente torinese, “chi non ha un luogo stabile dove socializzare e trascorrere il tempo ovviamente utilizza lo spazio pubblico ed è doveroso sottolineare che questi comportamenti sono indice di grande sofferenza”. 

     

    “Le soluzioni andrebbero cercate andando alla radice delle situazioni di grave marginalità.”

     

    Di fronte a questa realtà, il professor Campagnaro è convinto che “le soluzioni non vanno cercate nella repressione di alcuni comportamenti, ma andando alla radice delle situazioni di grave marginalità”.  Il “sistema-città”, quindi, dovrebbe farsi carico delle situazioni di urgenza attraverso collaborazioni tra pubblico e privato, profit e non profit, senza scaricare la responsabilità sui singoli, siano essi senza dimora o residenti che si confrontano con situazioni di vita precarie. “Una città davvero collaborativa ha il dovere di interrogarsi su quali offerte possono contare i cittadini più deboli e deve chiedersi se riesce a rispondere in maniera efficace alle loro esigenze di socializzazione ed espressione”, continua il professore. In Italia esistono esempi in cui questo spazio di cittadinanza si realizza: dal co-housing alle case di quartiere, dagli spazi pubblici aperti alla creazione di una rete di servizi differenziati che non siano solo quelli dell’abitare collettivo all’interno dei dormitori di grandi dimensioni. “Bisognerebbe avere il coraggio di sperimentare”, conclude Campagnaro.

  • Le porte chiuse

    L’ostilità delle città verso i soggetti marginali si declina anche a un livello più profondo, attraverso dispositivi meno visibili rispetto alle opere di design ostile, ma altrettanto concreti. In particolare quando affrontano la procedura di iscrizione anagrafica, molti richiedenti asilo e senza dimora restano incastrati in un ginepraio burocratico che finisce per violare alcuni dei loro diritti di cittadinanza fondamentali. 

    Nella pubblicazione “Senza tetto non senza diritti”, l'onlus Avvocati di Strada ricorda che “attraverso la residenza, l’anagrafe ha l’obbligo di restituire una fotografia fattuale della situazione e della densità abitativa del proprio Comune”, e che, come stabilito dall’articolo 2 della Legge n. 1228/1954, “l’iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo (e non concessorio) riconosciuto dal nostro ordinamento a tutti i cittadini che ne hanno facoltà e si compone di due elementi: uno oggettivo, la stabile permanenza in un luogo, e uno soggettivo, costituito dalla volontà di rimanervi”. Ciò vale per tutti i cittadini, persone senza dimora comprese.  

  • Berlino, Friedrichshain Foto: Alessio Giordano
  • Proprio per dare anche a questo gruppo sociale la possibilità di ottenere la residenza, con la circolare 29 del 1992, l’ISTAT ha definito “l’istituzione in ogni Comune di una via territorialmente non esistente, ma presente solo nei registri anagrafici con un nome convenzionale dato dall’Ufficiale di anagrafe, nella quale siano elencati e censiti come residenti tutti i senza tetto e i senza fissa dimora che desiderino eleggere il domicilio”. Chi ne fa richiesta ha l’obbligo di indicare una via fittizia – a Bolzano ha preso il nome di via della Casa comunale – e un domicilio, inteso come “luogo ove la persona stabilisce la sede principale dei suoi affari ed interessi”. Il richiedente, inoltre, è chiamato a produrre elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti per verificare la sussistenza del domicilio e la propria presenza sul territorio, per esempio attraverso contratti di lavoro, tessere doccia o mensa, la dichiarazione di frequenza di un servizio a bassa soglia, un attestato di un corso di lingua o eventuale documentazione medica. 

     

    Sebbene i riferimenti legislativi siano chiari, per molte persone ai margini l’accesso all’iscrizione anagrafica resta un miraggio.

     

    Sebbene i riferimenti legislativi siano chiari, però, a livello nazionale diverse organizzazioni del terzo settore lamentano come, a causa di alcune prassi arbitrarie degli uffici anagrafe, per molte persone ai margini l’accesso all’iscrizione anagrafica e ai diritti a esso connessi – tra gli altri il diritto all’assistenza sanitaria e ad alcune prestazioni sociali – restino un miraggio. Bolzano non fa eccezione e le vicende di M. e N. testimoniano come questa questione riguardi anche il nostro territorio.  

     

     

     

  • Bressanone, via Plose Foto: Alessio Giordano
  • M. ha vissuto in strada a Bolzano per più di vent’anni e oggi è titolare di un permesso di soggiorno per cure mediche. Alla scadenza del documento ha avviato le pratiche per il suo rinnovo e al momento è in possesso della ricevuta, il cosiddetto cedolino. Da qualche tempo gli è stato diagnosticato un tumore, a causa del quale ha subito l’amputazione della gamba destra. Alla luce delle sue condizioni di salute, l'unica prospettiva per lui è l’accoglienza in casa di riposo. Per accedere a una struttura per anziani la residenza è un requisito fondamentale, ma la sua richiesta di iscrizione anagrafica è stata bollata come irricevibile perché “priva dei seguenti requisiti essenziali e indispensabili per la sua validità: copia del passaporto e mancanza del titolo di soggiorno, in quanto le ricevuta di rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche non consente l’iscrizione anagrafica”. 

     

    Alla luce delle sue condizioni di salute, l’unica prospettiva per M. è l’accoglienza in casa di riposo.

     

    La motivazione addotta dalla pubblica amministrazione sembra però smentita dalla circolare del Ministero dell’Interno n. 42 del 2006. La direttiva, infatti, sancisce “l’iscrizione anagrafica per i cittadini stranieri extracomunitari mai iscritti nei registri della popolazione residente ovvero cancellati dagli stessi per irreperibilità e ricomparsi successivamente, a condizione che la domanda di rinnovo sia stata presentata prima della scadenza del permesso di soggiorno o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso, e che sia stata rilasciata dall’ufficio la ricevuta attestante l’avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo”. Grazie alle pressioni della sua assistente sociale di riferimento, M. è stato accolto in via eccezionale in una casa di riposo per un periodo di 4 mesi rinnovabile al massimo per due volte. Scaduti questi termini, qualora non risultasse ancora iscritto all’anagrafe, però, sarà costretto nuovamente in strada. 

  • Bolzano, Lungo Isarco Sinistro. Foto: Alessio Giordano
  • Altrettanto paradossale l’impasse in cui si trova suo malgrado N., giovane donna titolare di un permesso di soggiorno per richiesta asilo. Nata in Nordafrica, N. è arrivata in Italia da bambina. Alla maggiore età si è sposata e ha avuto dei figli. Dopo poco ha sviluppato una dipendenza da sostanze. Da quando si è trasferita a Bolzano, nel 2018, ha sempre vissuto in strada. Nel capoluogo altoatesino N. è seguita da un’assistente sociale, dai servizi per le dipendenze del territorio, dall’unità di strada dell’associazione Volontarius e, per le pratiche legate alla sua domanda di protezione internazionale, dalla Consulenza Profughi della Caritas. La scorsa estate la donna ha espresso la volontà di accedere a una comunità terapeutica. Per chi vuole compiere questo passo la residenza è un requisito fondamentale e, così, i servizi che la sostengono si sono mossi in maniera concertata, supportandola nella richiesta di iscrizione anagrafica come senza dimora. Dallo scorso luglio N. ha presentato più volte la domanda compilata in tutte le sue parti, accompagnata da una memoria integrativa, da alcune foto dei luoghi della città dove è solita dormire, la copia del suo permesso di soggiorno, il certificato storico di residenza e le relazioni del SERD, della sua assistente sociale di riferimento, della Consulenza Profughi e dell’unità di strada. 

     

    Nonostante l’ampia documentazione e la sua oggettiva condizione di vulnerabilità, all’ufficio anagrafe N. ha trovato solo porte chiuse.

     

    Nonostante l’ampia documentazione e la sua oggettiva condizione di vulnerabilità, all’ufficio anagrafe ha trovato solo porte chiuse. Dopo aver respinto in un primo momento la sua richiesta causa mancanza della copia del passaporto – pratica errata secondo la circolare del 16 agosto 2016 del ministero dell’Interno, per cui “il permesso di soggiorno è titolo valido e sufficiente per procedere all’identificazione del richiedente”, – nell’ultima email di rigetto la pubblica amministrazione ha ritenuto che nella sua domanda non sia stato indicato il “domicilio sostanziale, inteso come sede principale dei propri affari e interessi”. Una posizione che viene contraddetta da quanto indicato, con tanto di fotografie, da N. nella sua memoria. A oggi la sua situazione è ancora bloccata e il percorso in comunità per lei non è mai iniziato. La giovane è ancora dipendente da sostanze e continua a vivere in strada. 

  • Padova, stazione FS. Foto: Alessio Giordano
  • Tra barriere fisiche e burocratiche, Bolzano sembra avere molta strada da fare per garantire il riconoscimento dei diritti e della dignità della popolazione homeless. E non sembra che questo tema sia in cima all’agenda dei maggiori candidati alla poltrona di sindaco del Comune del capoluogo. Se, infatti, il candidato del centrosinistra, Juri Andriollo, nel corso dei suoi due mandati da assessore comunale alle politiche sociali ha sposato in pieno la linea dura degli sgomberi e della lotta al cosiddetto degrado, Claudio Corrarati, in corsa con la coalizione di centrodestra, nelle sue prime dichiarazioni ha affrontato la questione della grave emarginazione unicamente in termini securitari, parlando di “800 persone che ogni giorno vagano e si muovono a scapito delle aziende e delle persone”. La distanza con le maggiori città italiane sembra allargarsi ulteriormente se si prende in considerazione il Ddl 1175-Assistenza sanitaria persone senza dimora, approvato a fine 2024. Come raccontato in uno dei precedenti articoli della serie Notti fuori, questa norma ha stanziato un milione di euro rispettivamente per gli anni 2025 e 2026 per un programma sperimentale da avviare nelle 14 città metropolitane del Paese –  Bolzano non lo è –, che garantirà alle persone senza dimora prive della residenza anagrafica almeno l’iscrizione nelle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali, la scelta del medico di medicina generale o pediatra di libera scelta, nonché l’accesso alle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (LEA).

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gerhart.peintner Mo., 03.03.2025 - 09:54

N. ha un permesso di soggiorno ed è abilitata a lavorare. Forse la soluzione migliore sarebbe che si cerca un lavoro, specialmente dato la mancanza di lavoratori in Alto Adige, invece di farsi droga. L'altra domanda è da dove prende i soldi per comprarsi la droga?

Riconosco i diritti e della dignità della popolazione homeless, ma con ogni diritto c'è anche un dovere. Dato che N. ha il diritto di soggiornare nel territorio italiano e di ottenere vari sostegni dallo stato e associazioni, sarebbe il suo dovere giusto e morale di contribuire alla societa invece di stare a farsi droga.

Mo., 03.03.2025 - 09:54 Permalink
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Nico lò Mo., 03.03.2025 - 10:14

Antwort auf von gerhart.peintner

Gerhart, deve essere davvero semplice sparare giudizi a zero dalla sua privilegiata carcere d'oro rosso-bianca!
Nell'articolo si parla di esseri umani e di diritti fondamentali, che vengono spudoratamente negati dalla pubblica amministrazione: "quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito".

Mo., 03.03.2025 - 10:14 Permalink
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gerhart.peintner Mo., 03.03.2025 - 11:00

Antwort auf von Nico lò

Se vengono negati i suoi diritti puo avvalersi di un avvocato. Dato che ha i soldi in eccedenza per comprare droga ha sicuramente anche i soldi per un avvocato, altrimenti esiste l'opzione di trovarsi un lavoro.
Ogni costituzionalista sapra spiegarti che non esistono solo diritti, ma anche doveri, ma purtroppo tante persone si sentono intitolate solo ai diritti. Per esempio, il "dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società." Dal articolo non risulta che sta partecipando in "attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società." Inoltre, esiste l'obbligo di non prendere droga che non rispetta. Forse ci sarebbe piu volontà di rispettare i suoi diritti se svolge prima i suoi doveri.

Mo., 03.03.2025 - 11:00 Permalink
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gerhart.peintner Mo., 03.03.2025 - 11:26

Antwort auf von Nico lò

Il fatto che M. e N. vivono nella "privilegiata carcere d'oro rosso-bianca" rafforza ancora il mio argomento. A Bolzano hanno accesso a una vasta gamma di risorse gratuite per svilupparsi, come bibliotece, corsi di lingua, corsi di formazione etc. e un abbondanza di lavoro, allora perché vivono per strada per 20 anni? E a me puo anche andare bene che vivono per strada se è la loro scelta, ma non mi va bene se non contribuiscono alla società ma poi pretendono che i contribuenti li pagano l'ospedale, la casa di riposo, etc.

Mo., 03.03.2025 - 11:26 Permalink