Politik | Europa senza scudo

Gli USA tradiranno l'Europa?

L’Europa discute se fidarsi ancora degli USA, ma il vero nodo è la nostra dipendenza militare. Senza una difesa comune restiamo vulnerabili alle scelte altrui.
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1581 anthropomorphic map of Europe by Heinrich Bünting
Foto: Heinrich Bünting, 1581 anthropomorphic map of Europe (Wiki Common)
  • La domanda gira oggi ovunque, ma non è nemmeno il punto principale. Quella davvero utile è un’altra: perché nel 2025 un continente ricco, popoloso e tecnologicamente avanzato continua a dipendere dall’umore di Washington per la propria sicurezza?

    Gli Stati Uniti hanno garantito per decenni l’ombrello strategico dell’Europa. La NATO ha funzionato come fattore di deterrenza e stabilità nel dopoguerra. Ma un’alleanza non è una garanzia eterna: è un patto tra interessi. Quando gli interessi cambiano, cambiano anche le priorità. E se la sicurezza europea resta appaltata a un altro Paese, l’Europa resta per definizione un attore incompleto.

    Il punto non è “fidarsi” o “non fidarsi” degli americani. Il punto è che abbiamo trasformato una scelta storica in un’abitudine. E oggi l’abitudine costa.

    Non è una domanda sugli USA. È una domanda sulla nostra immaturità strategica.

    Abbiamo investito poco nel costruire una difesa europea vera, intesa come sistema integrato: industria, comando, logistica, dottrina, capacità di produzione in tempi di crisi. Non basta alzare i bilanci se ogni Paese continua a muoversi da solo con programmi duplicati, standard diversi e filiere frammentate. L’Europa spende già parecchio in difesa: il problema è che lo fa male e separatamente, ottenendo meno potenza reale di quella che potrebbe.

    Qui si incrociano due illusioni opposte.

    La prima è quella del “NATO go home”, come se la neutralità fosse una condizione che si dichiara e basta. La neutralità regge se è sostenuta da forza credibile o da un contesto geopolitico favorevole. 

    La neutralità non si proclama: si regge con deterrenza, industria e resilienza.

    Altrimenti è un invito a testare i tuoi limiti. Nel mondo reale esistono Stati e apparati che sfruttano ogni zona grigia: pressione economica, ricatto energetico, disinformazione, sabotaggi, attacchi informatici.

    La seconda illusione è quella speculare: “senza Europa staremmo meglio”. È la fantasia del bilaterale salvifico. Ma un Paese europeo da solo non tratta alla pari con USA, Cina o Russia su energia, tecnologia, difesa, standard industriali. In un rapporto asimmetrico, l’indipendenza è più slogan che realtà.

    Quindi sì: l’UE è faticosa, incompleta, spesso irritante. Ma resta l’unico moltiplicatore di potenza realistico che abbiamo. Senza una cornice comune, la frammentazione non produce libertà: produce dipendenza distribuita.

    E poi c’è un punto che spesso viene sottovalutato: nel 2025 la sicurezza non è solo carri armati e missili. È un ecosistema. È “guerra ibrida”, e la guerra ibrida è già qui.

    La guerra ibrida non è il futuro: è il presente, e noi siamo ancora organizzati come se fosse il 2005.

    Primo esempio: la propaganda via social.
    La Russia ha mostrato attraverso una macchina che da più di 10 anni funziona a pieno regime quanto sia efficace spingere narrazioni polarizzanti nelle democrazie occidentali: non serve convincere tutti, basta spaccare il campo. Si alimentano sfiducia nelle istituzioni, disprezzo per l’UE, cinismo verso la NATO, panico su energia e migrazioni. Il risultato è semplice: un continente più diviso è un continente meno capace di decidere e reagire. E quando una società litiga su tutto, anche la deterrenza diventa fragile, perché nessuno crede che la risposta sarà rapida e unitaria.

    Secondo esempio: la cybersicurezza come frontiera strategica.
    Negli ultimi anni abbiamo visto come attacchi informatici a infrastrutture critiche, sanità, logistica e pubbliche amministrazioni possano produrre effetti reali senza sparare un colpo. Non è solo criminalità comune: è un terreno dove interessi statali e gruppi proxy possono convergere. Un blackout informatico o un blocco prolungato di servizi essenziali genera pressione sociale e politica. E se la difesa cyber resta spezzettata tra Paesi con capacità molto diverse, la superficie d’attacco europea resta enorme.

    Terzo esempio: l’uso politico delle dipendenze industriali e tecnologiche.
    Supply chain, semiconduttori, software strategici, cloud, satelliti, componentistica dual use: sono tutte leve di potere. Se non hai alternative, ti adegui. E quando una crisi esplode, scopri che la tua sovranità era un foglio Excel con troppi fornitori esterni.

    Ecco perché la domanda “gli USA ci tradiranno?” è quasi secondaria. Anche ammesso che l’alleanza resti solida e prevedibile, l’asimmetria rimane. Continueremmo a essere tutelati, non autonomi. E la tutela, in politica internazionale, non è un diritto acquisito: è un equilibrio che può cambiare.

    Una difesa europea credibile non è un capriccio ideologico. È un’assicurazione contro l’incertezza geopolitica. Vuol dire un’industria più integrata, standard comuni, programmi condivisi, scorte e capacità di produzione coerenti con scenari di crisi lunga. Vuol dire un comando meno ostaggio dei veti incrociati. Vuol dire includere nel concetto di difesa anche cyber, infrastrutture critiche, spazio e resilienza informativa.

    Non è anti-americanismo dirlo. È realismo. Gli Stati Uniti fanno i loro interessi: è normale. Il problema è che noi abbiamo confuso questa convergenza con una garanzia eterna.

    La pace non è gratis. L’autonomia nemmeno. E se l’Europa non costruisce una difesa comune vera — militare, industriale e ibrida — continuerà a restare vulnerabile non solo alle scelte di Washington, ma anche alle campagne di pressione di chiunque abbia interesse a trovarci divisi e indecisi.