La fine delle edicole
Lunedì scorso c'è stato uno sciopero nazionale passato completamente sotto silenzio, quello degli edicolanti rappresentati dal SI.NA.GI. CGIL. Il motivo è semplice: parlarne, nei quotidiani e nei media in genere, significherebbe ammettere la colpa. La colpa è quella che nasce da un DDL proposto dal sottosegretario all'editoria Luca Lotti, delfino di Renzi, concernente la liberalizzazione delle rivendite di quotidiani e periodici, andando a intaccare la legge 170 del 2001.
Tale legge stabilisce un diritto e un dovere, riguardo le edicole: il diritto di esclusività come punti vendita di merce così sensibile e il dovere, tramite il principio di parità di trattamento, ad accettare qualsiasi pubblicazione inviata dagli editori tramite i distributori locali. Qualsiasi, senza possibilità di rifiuto. Un'edicola non può insomma ordinare la merce, che dunque viene imposta, finendo col non godere di una regola fondamentale nel commercio, l'autodeterminazione, sia nel gestire i propri contenuti di vendita e di magazzino sia dal punto di vista finanziario. In parole povere: un edicolante non sa quanto spenderà domani.
Esiste il falso mito del "ciò che non si vende si rende"; falso, in quanto molta parte della fornitura viene pagata anticipatamente, è scalata solo al momento della resa (che è gestita dagli editori e dai distributori), ossia nel momento in cui arriva altro materiale, creando una situazione di perenne debito. In più, molto spesso l'invio è eccessivo, e questo comporta che un'edicola è in realtà un bancomat per editori e distributori.
Il Governo vuole stralciare il principio di esclusività, intendendo liberalizzare solo il terminale ultimo della filiera editoriale, mantenendo la parità di trattamento. Questo apre uno scenario di una violenza inaudita su più fronti: il valore delle licenze delle edicole crollerà a zero come diretta conseguenza della perdita del principio di esclusività perché, di fatto, chiunque potrà aprire una rivendita e lo scenario più probabile è che lo facciano gli editori, saltando i costi della filiera, aprendo temporary shop con assunzioni di tre mesi in tre mesi, vendendo solamente la loro merce, e di questa, quella più appetibile.
In questo modo 40.000 edicole in Italia non varranno più niente, non solo perdendo l'investimento medio di 150.000 euro per l'acquisto della licenza, ma anche commercialmente, perché, dovendo sottostare sempre al principio di parità di trattamento, sarebbero ingolfate di merce invendibile, ristampe in quarta edizione, materiale usurato e “gadgettistica” infima, perdendo così quello che invece è vendibile. Ci troveremo quindi a fronteggiare una debacle culturale, dato che sensazionalismi e gossip costituiscono ormai il motore trainante del settore. Chi aprirà nuovi punti vendita vorrà vendere solo quella tipologia di merce, a scapito di pubblicazioni che in un'edicola, invece, potrebbero ancora trovare spazio e fare cultura.
Toccare le edicole non creerà solo 40.000 famiglie sul lastrico, ma impoverirà molto, e inesorabilmente, tutto il comparto culturale che oggi (ma per quanto ancora?) trova voce nei chioschi.
Simone Luti, edicolante
Tieni duro Simone!
Tieni duro Simone!