Kultur | Café Philosophique

“Il capitalismo è un cancro, la filosofia una cura”

Filosofo del dissenso o ciarlatano? Diego Fusaro, cultore di certezze pseudo-rivoluzionarie, non ha in effetti lasciato spazio a soverchi dubbi.

Dopo aver assistito al primo incontro della nuova serie del Café Philosophique, sono tornato a casa accompagnato da una sensazione sgradevole: ma aver studiato filosofia non mi avrà rovinato la vita? Ok, non è certo la prima volta che vengo assalito da una sensazione del genere. L’esibizione di Diego Fusaro, però, ha sicuramente acuito la suddetta inclinazione. Di seguito cercherò quindi disperatamente di difendere la categoria (e la mia remota decisione di studiare quel che ho studiato), spiegando perché, a mio avviso, Diego Fusaro non è un filosofo del dissenso, quanto piuttosto un saccente distillatore di banalità travestite da pensiero critico.

La discussione era partita bene, cioè con un quesito che sarebbe stato opportuno (e prudente) mantenere per quanto possibile aperto: com’è possibile configurare una riflessione filosofica su un tema, come il capitalismo, che sembra piuttosto appartenere alla sfera economica? Peccato che Fusaro sia un tizio che indossa l’impermeabile del dubbio solo per rivelare con maggiore voluttà le sue nude certezze. Ecco infatti scomodare Kant e il suo concetto di “deduzione” (che vuol dire “giustificazione”) per dirci subito che, siccome l’essenza del nostro tempo è eminentemente permeata dallo spirito del capitalismo, la filosofia (che ha pur sempre il compito, bontà sua, di pensare l’essenza delle cose) è costretta ad occuparsene. Di più: nel tempo del capitalismo dispiegato (o compiuto), la filosofia o sarà filosofia del capitalismo (“del” che poi per Fusaro significa “contro”) o non sarà. Se dunque il capitalismo è un “cancro” – Fusaro l’ha affermato esplicitamente –, il filosofo è colui che deve estirparlo, o almeno circoscriverlo, magari anche solo additarlo, in ogni caso denunciarlo. Un compito in apparenza disperato? Beh, ma i filosofi sono maestri nello smascherare le apparenze (pensiamo all’impermeabile di prima), e comunque niente paura: c’è qui Diego Fusaro a mostrarci come si fa.

Già, peccato però che non sia per nulla facile da mostrare, “come si fa”. E nonostante Andrea Felis continuasse a pungolare il baby prodigio della filosofia italiana (“ecco, ma dal punto di vista della prassi, come sarebbe possibile arginare questo capitalismo onnicomprensivo, come sarebbe possibile effettivamente contrastarlo…?”), la risposta si perdeva immediatamente nella solita ridda di citazioni e fumisterie “dialettiche”, avanzando un improbabile recupero dei pensatori “inattuali” (Marx, ovviamente, ma soprattutto lo Hegel dei Lineamenti della filosofia del diritto, cioè quello che ha scritto: “Lo Stato è la sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile; la medesima unità, che è nella famiglia come sentimento dell’amore, è l’essenza dello Stato; la quale però, mediante il secondo principio del volere che sa ed è attivo da sé, riceve insieme la forma di universalità saputa. Questa, come le sue determinazioni che si svolgono nel sapere, ha per contenuto e scopo assoluto la soggettività che sa; cioè vuole per sé questa razionalità”), e giungendo insomma a spremere dalle sue lodate meningi qualcosa che riscuoterebbe un fragoroso applauso postprandiale ad un convegno di Comunione e Liberazione (per non dire di Casa Pound…).

Felis, ancora, ha provato a mettere nuovamente il dito nella piaga, cercando di spingere Fusaro a dirci qualcosa sul tema dell’attualità (parola sgraditissima al filosofo, peraltro, corrispondendo alla cifra capitalistica di un prodotto alla moda) della contrapposizione tra destra e sinistra, ma il risultato è stato quello di un prevedibile aggiramento ad effetto del problema, confondendo ancora di più le acque già abbondantemente intorbidate dai continui tentativi di sottrarsi a una definizione (“come diceva Kierkegaard – ha chiosato – se mi etichetti mi annulli”). Obtorto collo, si è così astutamente rivelato di sinistra per quanto riguarda l’economia (“più Stato, meno individualismo”) e di destra per quanto riguarda i costumi (“il capitalismo odierno è stato reso possibile dalla sconfitta della borghesia e veste i panni dell’ideologia relativista e permissiva diffusa, a partire dal 1968, dai pensatori di sinistra”). Condizione anfibia e chiasmatica particolarmente consona a un tizio che predica un ritorno a una modalità di vita orientata al neocomunitarismo, si è fatto una fama sparando alzo zero contro qualsiasi entità mercificata (la merce, si sa, è sempre marcia), e comunque continua tranquillamente ad usare i social network e altri canali mediatici intasati di pubblicità al fine di praticare un’incessante autopromozione, condita – ça va sans dire – dall’insegnamento in una Università privata. Quando gli fai notare la possibile contraddizione (come ho cercato di fare io) Fusaro non si scompone neanche un po’: “Beh, ma questo che c’entra? Se è per questo indosso anche abiti comprati in negozi che sono espressione del capitalismo e vivo in una nazione vincolata agli Stati Uniti d’America (la Monarchia a stelle e strisce, ndr): esercito il mio legittimo diritto al dissenso”.

Così, mentre tutti applaudivano, sono uscito dalla sala chiedendomi ancora una volta come faccia questo personaggio ad essere scambiato per l’alfiere di un “pensiero antagonista”. Fortunatamente la risposta c’è, e soprattutto c’è chi l’ha formulata in modo da non lasciargli scampo:

Il pubblico di Fusaro è fatto di chi, non avendo avuto modo di sentire altrove certe idee, si convince che queste siano originali e controcorrente. Si convince quindi che esista una dittatura del “pensiero unico” semplicemente perché si abbevera egli stesso alle fonti della cultura dominante e non riesce a concepire che magari è la sua concezione di destra e di sinistra ad essere caricaturale. Ogni volta che legge un trafiletto su Judith Butler e la teoria del gender, marginalissima moda intellettuale non più rilevante del balconing, invece di farsi una bella risata lo prende come indizio di un progetto mondialista che minaccia direttamente il suo uccello. Questa non è critica dell’ideologia, e nemmeno dialettica conservatrice: è retorica populista, buona solo per arringare le folle.

Fuori dal Trevi, mi sono accostato con discreta curiosità a una coppia di ragazzi che, apparentemente, sembravano accingersi a discutere quanto appena ascoltato. Magari, ho pensato, scossi dal messaggio fusariano staranno già abbozzando il progetto di una rivolta anticapitalistica. E invece, fortunatamente: “Andiamo a mangiare una pizza?” – “Va bene, vado a prendere la bici”.

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Hannes Obermair Mi., 07.10.2015 - 21:35

Besonders zynisch erschien mir Fusaros Argument, die aktuell nach Europa Flüchtenden seien vom "Kapitalismus" intentional herbeigebombtes Lumpenproletariat-LeiharbeiterInnen für den Westen. Diese verschwörungstheoretische Denkfigur könnte nun wirklich von Beppo die Grille oder Casapipi stammen.

Mi., 07.10.2015 - 21:35 Permalink
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Dr. Streiter Fr., 09.10.2015 - 19:41

Na jo, gilt das nicht schon seit Jahrzehnten? Philosophie ist was für Studenten die "get laid" werden wollen und daher irgend etwas von Marx faseln.
(tut mir leid um die andere filosofie, jehne die die schanze zu knallen verringert und trotzdem spannend bleibt)

Fr., 09.10.2015 - 19:41 Permalink