Tra le molte cose dette o da dire sulla "convention" del Partito Democratico altoatesino di sabato scorso vorrei provare a concentrarmi su un aspetto particolare che, a mio parere, è in fondo quello più rilevante da cogliere tra le cronache dell'intero avvenimento.
Inizio, come al solito, con un breve riassunto delle puntate precedenti. Questa volta non occorre andare troppo indietro nel tempo. Basta tornare all'inizio degli anni 90, quando il sistema politico italiano, e quello altoatesino di conserva, passano, con la cosiddetta seconda repubblica, dal sistema proporzionale a quello maggioritario e quindi all'organizzarsi delle forze politiche attorno ad un sistema bipolare. Diviene a questo punto ancora più radicale la scelta del centro-sinistra altoatesino, costruito sui due piloni fondamentali del Partito Popolare, erede di una parte della vecchia Democrazia Cristiana, e del PDS scaturito a sua volta dalle ceneri del PCI, di rifiutare nel modo più drastico ogni forma di collaborazione politica con il centrodestra. Se nei decenni precedenti la politica di centro-sinistra aveva portato a allargare l'area di governo sino ai confini della destra liberale, ora il muro che viene alzato, specialmente a Bolzano, è alto ed invalicabile. Il centro sinistra si propone come unica, autentica forza autonomista, in grado di rappresentare il gruppo italiano nel governo della provincia e dei comuni accanto alla Suedtiroler Volkspartei. Ogni forma di contatto e di collaborazione con quel che si muove al centro verso destra è severamente proibita.
Così dunque negli ultimi vent'anni, senza cambiamenti di rilievo ad onta del passare del tempo, del variare delle sigle politiche, del mutare dei protagonisti. Chiunque, nel variegato campo del centro-sinistra altoatesino, provi anche solo ad ammiccare a chi sta nelle trincee opposte viene scomunicato a tempo di record e condannato alla "damnatio memoriae".
Sotto traccia, però, qualcosa sta cambiando e chi osserva con un minimo di interesse le cose della politica altoatesina ha colto i primi sintomi di questo cambiamento in una vicenda compiutasi con grande clamore mediatico. Quando, il 5 luglio del 2014, Matteo Renzi arriva a Castel Presule per la sua prima visita ufficiale in Alto Adige come presidente del consiglio dei ministri, trova ad attenderlo assieme al neo presidente della giunta provinciale Arno Kompatscher e al gotha del mondo politico ed economico altoatesino anche una vispa e sorridente Elena Artioli che, fuoruscita da poco dall'abbraccio elettorale di Lega Nord e Forza Italia, proclama proprio in quelle ore di aver fatto il suo trionfale ingresso nel movimento "Liberal PD", fondato proprio per catturare nell'area del partito renziano esponenti provenienti dal fronte opposto.
Inutile ripercorrere ancora una volta le vicende di quei giorni, con i democratici altoatesini che gridano allo scandalo e liquidano la questione con qualche frettolosa purga. Il fatto è che l'operazione appare subito benedetta e coordinata da chi nel partito, a Bolzano come a Roma, vuole creare i presupposti per un allargamento della base elettorale verso il centro e verso la destra, in perfetta sintonia, peraltro, con quel che il giovane presidente del consiglio sta attuando sul terreno politico nazionale. Intuizione che si conferma esatta quando, con l'avvicinarsi delle elezioni comunali a Bolzano, l'operazione-Artioli partorisce, con qualche innesto di tipo farmaceutico, una lista civica che ha come scopo dichiarato proprio quello di raschiare voti nell'area di un centro destra disastrato dalle faide interne. In parallelo si provvede a liquidare, anche se senza proclami, vent'anni di alleanza con la sinistra ecosociale. Il destino tuttavia, come ebbe a lamentare un celebre leader socialdemocratico, può essere cinico e baro e il responso delle urne non gratifica affatto, come ben sappiamo, gli ideatori di questa mossa. Seguono settimane di grande confusione, con la prevedibile conclusione del commissariamento del comune.
Il Piano B. L'idea di abbattere, in qualche modo, quella storica muraglie e di portare all'interno del recinto del governo bolzanino una parte almeno del centrodestra deve però essere rimasta comunque chiodo fisso nella mente di alcuni almeno tra gli strateghi del PD altoatesino. Non si spiegherebbero altrimenti alcuni passaggi del discorso più importante tra tutti quelli pronunciati sabato alla Leopoldina: quello del sottosegretario Gianclaudio Bressa. Il passaggio chiave è quello in cui Bressa si riferisce come possibili interlocutori politici ai rappresentanti delle molte liste civiche operanti sul territorio. Ora sarebbe un grave errore e un torto fatto all'intelligenza politica e alla perfetta informazione sulle cose altoatesine di Bressa pensare che egli non sapesse, parlando, che le liste civiche operanti con maggiore o minor successo a Bressanone, Merano in altri comuni sono costituite da ex appartenenti al PD o ai partiti che gli diedero vita e che ne sono stati o se ne sono allontanati. Quanto a Bolzano, alle ultime elezioni, di liste civiche vere e proprie, ovverossia di formazioni che nascono dalla base, al di fuori del sistema partitico, c'era solo quella di Dado Duzzi. Tutte le altre mascheravano sotto denominazioni diverse un'appartenenza politica ben precisa. Molte testimoniavano semplicemente quella diaspora del centrodestra di cui si diceva poc'anzi.
È chiaro, a questo punto, che l'apertura di Bressa si rivolge proprio a questo mondo variegato e irrequieto. Potremmo sintetizzarla così: se la parte più moderata del centro destra bolzanino, quella sganciata dai fondamentalismi leghisti o di Casapound vuole provare a costituire una una lista civica che sia guidata da personaggi possibilmente nuovi e meno compromessi col passato, lasciando nei cassetti vecchi simboli di partito, il PD potrebbe far cadere gli antichi veti associando questa nuova realtà al governo cittadino e aprendo così una nuova e si suppone duratura fase politica.
Può darsi ovviamente che noi si vaneggi e che questa interpretazione sia del tutto destituita di fondamento. Per saperlo basterà aspettare con calma. Se l'apertura al centro destra e il definitivo abbandono delle vecchie alleanze sono cosa reale i primi effetti si vedranno proprio all'interno del PD dove probabilmente la novità darà da pensare a due almeno tra le componenti organizzate del partito. Una è quella più di sinistra, storicamente agganciata al mondo del sindacato impersonata dalla deputata Luisa Gnecchi. L'altra, paradossalmente ma non troppo, è quella di origine popolare guidata dal vicepresidente del consiglio provinciale Roberto Bizzo, la cui rendita di posizione politica potrebbe essere messa a serio rischio da un simile capovolgimento di strategie.
C'è poi, ovviamente, l'incognita di come il centrodestra possa reagire ad un simile invito. La presenza alla Leopoldina di Giorgio Holzmann non basta certo a stabilire, da sola, un affidabile canale di trattativa politica, anzi potrebbe divenire controproducente in un ambiente dominato da astio violento, dure contrapposizioni personali e antichi rancori come quello del centrodestra altoatesino, sul quale, tra l'altro, si riaffaccia, dietro le mentite spoglie dell'ex soubrette televisiva Elisabetta Gardini, il fantasma di Michaela Biancofiore.
Infine, convitato di pietra, c'è la Suedtiroler Volkspartei che osserva e attende. Il mondo di lingua tedesca, stampa compresa, ha pressoché ignorato l'avvenimento Leopoldina. Anche questo significherà pur qualcosa.