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Fenomenologia dei negozi di vicinato

Ovverossia: "pagherete caro, pagherete tutto".

Non mi appassiona particolarmente, a dire il vero, la diatriba sui centri commerciali, ma l'acritica esaltazione che ho colto ultimamente  in parecchi interventi  sui cosiddetti "negozi di vicinato", oggetto di una venerazione senza confini, ha finito per stimolare il mio senso critico, inducendomi ad alcune riflessioni che ripropongo in ordine sparso.

La metafora furba. In realtà questa storia dei negozi di vicinato è cosa piuttosto recente. Non ricordo di averne sentito parlare se non negli ultimi vent'anni. Prima c'erano semplicemente i negozi al dettaglio o il piccolo commercio. Nel mondo tedesco si parla di "Tante Emma Laden" per indicare una cosa assai  diversa: quei piccoli esercizi commerciali sparsi nella periferia più remota dove si vende un po' di tutto, dallo speck, ai quaderni, ai gomitoli di lana grossa e che restano incisi nella mia memoria, associati ad un profumo indefinibile, misto di spezie e di dolciumi.

Poi arrivarono i negozi di vicinato. Non so neppure se si tratti della traduzione di un termine straniero o di una trovata autoctona, ma comunque l'idea è stata sicuramente azzeccata. Una perfetta metafora manipolativa con la quale si è furbamente associato il concetto di piccolo esercizio commerciale a quello della vicinanza, del vicino di casa, dell'amico fedele che si presta a dare una mano, a risolvere un problema, ad aiutare senza limiti di orario. Tutto il contrario evidentemente delle grandi cattedrali del consumismo, dove invece tutto è freddo e impersonale.

La fregatura, ovviamente, sta proprio nel concetto di vicinanza. A parte il fatto che, come può testimoniare chiunque abbia frequentato anche sporadicamente un'assemblea condominiale, il vicino è un po' come un parente, non te lo puoi scegliere e rappresenta non di rado una scocciatura incredibile, il semplice concetto di vicinanza non è affatto garanzia di tutte le cose meravigliose che la metafora sembra promettere. E ' cosi' un po' ovunque ma a Bolzano in particolare. Sarebbe carino, tra l'altro, che coloro che sostengono che non può esservi vita in un quartiere senza negozi ci spiegassero contemporaneamente come mai, nel capoluogo altoatesino così come in ogni altra città grande e piccola, più i quartieri sono orientati a ospitare abitazioni di lusso e meno prevedono la presenza di negozi.

Queste però possono essere archiviate alla voce divagazioni oziose. Il punto centrale è quello che riguarda il fenomeno del caro prezzi che affligge Bolzano ormai da diversi decenni.

Bolzano oh cara! Sul fatto che il capoluogo altoatesino detenga almeno da settant'anni il poco invidiabile record di essere la città più cara d'Italia credo ci sia poco da discutere. In passato qualche volta le organizzazioni che raccolgono i commercianti o le istituzioni ad esse collegate come la camera di commercio hanno tentato con ricerche da loro stesse commissionate di smentire l'assunto, ma a cancellare i loro poco lodevoli sforzi arrivano ogni mese le statistiche elaborate in loco o a livello nazionale o europeo. Bolzano è sempre in testa a tutte le graduatorie  per il costo della vita e per quello degli alloggi. Altrettanto inevitabile concludere che questo fenomeno vada attribuito in gran parte proprio alla politica praticata dai commercianti bolzanini. Questi ultimi, per giustificarla, hanno prodotto nel tempo una serie di motivazioni tra le più incredibili. C'è stato un periodo nel quale andava di moda sostenere che i prezzi erano alti, nei negozi di Bolzano, perché i commercianti dovevano pagare stipendi molto più alti ai loro dipendenti. Ricordo bene la risata di un sindacalista del settore quando gliene feci cenno. D'altronde, se così fosse, non riuscirei a capire come mai sulle vetrine dei negozi bolzanini compaiono molto spesso richieste di ricerca di personale, che restano esposte a lungo. Sarebbero ben sciocchi i giovani aspiranti commessi che preferiscono fare la coda per farsi assumere presso la grande distribuzione, dove, notoriamente, i contratti  e gli stipendi non sono certo invidiabili.

L'ultima trovata, per giustificare il caro prezzi, è quella di attribuirlo semplicemente al fatto che in Alto Adige esiste un diffuso benessere e che quindi è più che giusto alzare al livello massimo possibile il prezzo di un paio di scarpe, di una tazzina di caffè o di un litro di benzina. Una spiegazione che, di primo acchito, parrebbe quasi ragionevole, se non fosse che il record italiano costo della vita non è cosa di questi giorni. Risale, come potrebbe agevolmente constatare chiunque si prendesse la briga di sfogliare le annate dei giornali locali, a molti decenni addietro, agli anni duri del secondo dopoguerra, quando a Bolzano di denaro ne circolava molto poco. I prezzi erano già alti allora. In pratica siamo passati dalla borsa nera al carovita senza soluzione di continuità.

Sarebbe quindi naturale concludere attribuendo il fenomeno solo all'avidità dei commercianti, se non vi fosse un fattore, quello sì reale e costante nel tempo, al quale possiamo attribuire una parte essenziale  nel determinare l'alto costo della vita nel capoluogo altoatesino: il caro affitti.

Oro al metro quadro. La storia, con ogni probabilità, comincia proprio negli anni del secondo dopoguerra in contemporanea, guarda caso, col fenomeno dell' aumento dei prezzi. In una Bolzano semidistrutta dai bombardamenti e meta di un'immigrazione sempre maggiore le abitazioni e i negozi disponibili diventano merce rara. I proprietari si rendono conto che possono giocare al rialzo quanto vogliono. Poi, nei decenni successivi lo sviluppo urbanistico è bloccato da una contesa etnico-politica che si protrae a lungo e che finisce per favorire indirettamente proprio coloro che possono disporre del bene prezioso di qualche metro quadro da mettere all'asta tra chi vuole trovare una casa o impiantare un commercio. Per questi ultimi ovviamente l'unica soluzione è quella di ribaltare sugli acquirenti il maggior onere dell'affitto che devono pagare i proprietari. Poi, trovato l'accordo politico, la situazione degli alloggi va pian piano normalizzandosi, grazie anche alla pioggia di contributi provinciali che, transitando velocemente nelle tasche dei cittadini, passano quasi direttamente dalle casse provinciali a quelle dei costruttori e dei proprietari. Per i negozi però non sono previste agevolazioni e quindi gli affitti restano alti e restano alti i prezzi. Una tensione che ha raggiunto vette altissime rispetto alle medie nazionali solo qualche decennio fa. Più di recente la crisi e la comparsa sul mercato della grande distribuzione hanno imposto di moderare, in qualche maniera, la corsa dei prezzi, ma Bolzano è rimasta città carissima, nella quale la deflazione ormai conclamata a livello europeo non gode comunque di alcuna cittadinanza.

Nel corso del tempo la potentissima lobby dei proprietari ha perfezionato un sistema di alleanze non scritte che permette di far fronte anche al fenomeno più recente: quello delle vetrine vuote, dei negozi lasciati liberi dai titolari schiacciati nella morsa tra i canoni di locazione troppo alto e gli affari che vanno maluccio. In centro e in periferia i negozi vuoti restano tali anche per mesi o per anni, fino a quando non si riesce a trovare un nuovo affittuario disposto a pagare quanto richiesto. È una tenaglia che tra l'altro ha finito per decretare la  scomparsa di molti esercizi di commercio tradizionale.

Tradizione tradita. Alla comparsa dei centri commerciali, fatto piuttosto recente a Bolzano, è stata addebitata dagli aficionados dei negozi di vicinato anche la progressiva scomparsa del cosiddetto "commercio di tradizione". Nulla di più falso. Il killer dei tanti simpatici negozietti che si affacciavano un tempo sulle vie principali del centro storico di Bolzano è sempre lo stesso: il caro affitti. Man mano che i termini di contratto scadevano, i proprietari, allettati dalle offerte delle grandi catene nazionali e internazionali, hanno imposto affitti tanto alti da costringere il commercio tradizionale a chiudere le serrande o a trasferirsi altrove nei casi migliori. E così anche il centro bolzanino si è trasformato in un luogo assolutamente anonimo, o in un "non luogo" come piace dire a qualcuno. Ti guardi intorno e non sai bene dove sei visto che le insegne sono uguali a quelle che troveresti nel centro di Glasgow o di Bangalore. Se passi davanti ad una birreria tipica puoi confonderla con quella che hai visto a Barcellona o magari nel quartiere coloniale di Shanghai, con delle simpatiche cinesine in Dirndl che ti invitano a entrare.

Ovviamente di fronte a questi capi d'imputazione i proprietari, che di rado escono allo scoperto e preferiscono mandare avanti qualcun altro a difendere i loro interessi, replicano dicendo che viviamo in un'economia di mercato e che queste sono le piacevolezze del capitalismo e della libertà. Peccato però che se ne dimentichino subito quando qualcosa o qualcuno rischia di mettere in pericolo i redditi sontuosi che ricavano da tempo immemorabile dai loro immobili, senza neppure la fatica di alzare un dito. Allora si precipitano nelle stanze del potere, con le quali hanno solidi ed antichi contatti, e chiedono, e impongono norme che proteggano il loro esclusivo interesse.

Dimenticato invece, in questa furiosa rissa tra avidità e opposte ideologie l'interesse dei bolzanini. Non tanto di quelli che in un modo o nell'altro oggi riescono ad approfittare del benessere e dei vantaggi connessi al vivere in questa terra, ma sopratutto di coloro che invece l'esistenza e l'età inchiodano a condizioni economiche di pura sussistenza. L'unica cosa che hanno vicina è la loro povertà.

 

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Alberto Stenico Sa., 27.02.2016 - 19:58

Ai cosiddetti "negoziato di vicinato" serve solo che molte persone ci vadano a fare la spesa. A partire da quelle che inneggiano a loro nelle discussioni sui centri commerciali.

Sa., 27.02.2016 - 19:58 Permalink
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Massimo Mollica Sa., 27.02.2016 - 20:11

Gentile Sig. Ferrandi, io non la conosco, ma mi permetta di offrirLe un caffè se avrò l'onore d'incontrarLa. Il Suo articolo è perfetto ed è una sintesi acuta di tutto ciò che ho sempre pensato e ho detto/scritto, senza che alcuno mi abbia mia ascoltato (in buona parte per mio demerito). La Sua analisi è in sostanza IL PRIMO VERO PROBLEMA delle mia città, Bolzano Bozen. E quanto da Lei scritto rappresenta una sentenza di "morte" per questa città, e da bolzanino, mia città natale, questo mi fa molto male. Prova ne è che in tutta la provincia noi siamo la città più vecchia e con la minore natalità. Dopo quello che Lei scrive si intuisce meglio il perché vi sia una campagna contro Benko, che andrebbe a sparigliare la situazione attuale.
Ma c'è un aspetto di cui non mi capacito ed è come praticamente tutte, e sottolineo tutte, le forze politiche non abbiamo ma fatto nulla per debellare questo CANCRO. E' assente la sinistra come la destra, e purtroppo anche il mio partito. Lei, un giorno, magari in occasione di quel caffè, mi saprà dare una risposta a questo quesito che mi attanaglia.
Grazie ancora per quello che ha scritto.

Sa., 27.02.2016 - 20:11 Permalink
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Sepp.Bacher So., 28.02.2016 - 10:52

Wir haben neben den Supermärkten auch die Wochenmärkte, Bauernmärkte und Biomärkte in den verschiedenen Stadtteilen, Die Märkte waren einmal ein Ort zum billiger einkaufen. Warum sind sie das nicht mehr? Obst und Gemüse ist meisten an den Wochenmärkten noch teurer. Sonst wären die Märkte in den Stadtvierteln eine gute Ergänzung in der Nahversorgung. Gerade weil es in Bozen viele alte und oft auch gebrechliche Menschen gibt, ist die Nahversorgung wichtig aber zu einem annehmbaren Preis. Gerade Rentner müssen oft jeden Cent umdrehen. Ich glaube nicht, dass die Senioren gute Kunden des Twenti sind oder des Kaufhauses Bozen wären, deshalb widerspricht sich das Eine nicht mit dem Anderen. Günstig einkaufen und eine große Auswahl haben, interessiert eben die Mehrheit der Verbraucher.

So., 28.02.2016 - 10:52 Permalink
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Filippo Turati So., 28.02.2016 - 15:41

dal programma elettorale del PD Bolzano 2015:

"il perseguimento con ogni mezzo legittimo del sostegno al commercio di vicinato e del contrasto alla nascita incontrollata di nuove grandi superfici di vendita al dettaglio lontane dalle zone residenziali, che inducono la popolazione a usare l’automobile propria per gli acquisti ordinari, appesantendo la mobilità cittadina, creando difficoltà di vita alle fasce deboli
degli anziani e dei meno abbienti, ed impedendo le relazioni sociali di quartiere che rendono coesa la comunità; a tale scopo saranno individuati in accordo con la PAB nuovi strumenti di pianificazione per impedire il proliferare di centri commerciali nelle zone dove la liberalizzazione in essere li renderebbe possibili"

Il problema è l'ipocrisia. Se il "commercio di vicinato" è un concetto poco valido e ora la cosa più importante è il progetto Kaufhaus, basterebbe non usare il "commercio di vicinato" per fare campagna elettorale, no?

So., 28.02.2016 - 15:41 Permalink