Morte all'alba della Liberazione
La morte violenta di otto partigiani meranesi, la mattina del 30 aprile 1945, è stata al centro di un processo penale ma, nonostante quattro condanne, alcuni degli assassini sono sfuggiti alla giustizia: i soldati tedeschi che quel giorno a Merano aprirono il fuoco su due cortei che, separatamente, uno giungendo da piazza Mazzini, l'altro da piazza della Rena, procedevano lungo corso Libertà verso piazza Teatro, non furono mai identificati né puniti. Quella mattina, all'indomani della firma dell'armistizio, svariate decine di partigiani con fasce tricolori al braccio credevano di festeggiare la conclusione della guerra e del terrore nazista ma furono risucchiati dal vuoto che intercorre tra il cessare delle operazioni belliche e l'installazione della pace. Nell'eccidio morirono in otto: sei manifestanti persero la vita nella parte inferiore di corso Libertà, all'incrocio con quella che allora era via Volta e oggi, in ricordo della strage, porta il nome di via XXX aprile, altri due rimasero uccisi nella parte superiore di corso Libertà. Morti senza senso, commenta Paolo Bill Valente. Lo scrittore che da due anni dirige la Caritas altoatesina, nell'ambito dell'incontro "30 Aprile e dintorni - episodi di Resistenza in Alto Adige Südtirol" svoltosi nella serata di ieri (29 aprile) sera a Palazzo Mamming, ha raccontato la storia dell'eccidio: “In una guerra succede di tutto e quasi niente ha una spiegazione razionale.”
La lapide sulla facciata del Teatro Puccini che ricorda la strage del 30 aprile 1945
“Le truppe tedesche si erano già arrese, si era in una fase di transizione”, spiega Valente. Sebbene i manifestanti non fossero armati, i tedeschi che ancora presidiavano la città presero quei cortei per un tentativo di insurrezione. “Sempre quel giorno, poco prima, vi era stato, da parte dei vigili urbani italiani, un tentativo di occupare il municipio, fermato dall'intervento della Schutzpolizei che in un batter d'occhio riprese possesso dell'edificio.” I tedeschi, insomma, non erano pronti a ritirarsi in buon ordine e lasciare libero il campo ai partigiani. Non per niente, in quei giorni in Alto Adige si verificarono altri scontri violenti tra CNL e Wehrmacht: a Bolzano, in una vera e propria battaglia urbana, il 3 maggio persero la vita 36 partigiani, questi sì armati, e 112 soldati tedeschi.
Uno dei protagonisti dei fatti di Merano fu Bruno de Angelis, un industriale milanese inviato in Alto Adige dal Comitato Nazionale di Liberazione alla fine del 1944 che ebbe un ruolo importante nelle trattative per la resa dei tedeschi in provincia e successivamente fu nominato primo prefetto del Dopoguerra. Poiché la moglie risiedeva già a Merano con i figli, de Angelis si stabilì in riva al Passirio. Il 30 aprile, di fronte allo scalpitare dei partigiani che, convinti che il municipio fosse ormai tornato in mano italiana, premevano per riprendersi altri punti chiave della città, de Angelis non autorizzò interventi armati ma dette agli uomini il permesso di sfilare disarmati per le vie del centro. Molte famiglie, avuto sentore dell'imminente resa tedesca, nelle settimane precedenti si erano messe a confezionare dei bracciali tricolori da indossare nei festeggiamenti per la liberazione, racconta Valente. Cento, forse duecento persone si dettero appuntamento in piazza del Grano, poi il corteo si divise: una parte risalì i portici e raggiunse piazza della Rena, l'altra si diresse verso la stazione ferroviaria.
Un disegno tratto dagli atti del processo per i fatti del XXX aprile
Nella parte superiore di corso Libertà, poco prima che il corteo raggiungesse piazza Teatro, una crocerossina, tale Herta Maringgele, incitò i soldati tedeschi che osservano la scena da un balcone di intervenire con le armi contro i manifestanti. Partirono dei colpi, e due partigiani rimasero uccisi. Nella parte inferiore di corso Libertà, dove il secondo corteo si stava muovendo a sua volta verso piazza Teatro, gli spari partirono da un ospedale allestito nell'allora Hotel Esperia. In questo secondo episodio fu coinvolta una famiglia locale: assieme alla crocerossina Maringgele, resasi colpevole di collaborazionismo, il tribunale di Bolzano condannò anche Hugo, August e Karoline Knoll. Poiché il tribunale non aveva potere di giurisdizione sui cittadini tedeschi, i soldati che avevano sparato ai manifestanti la fecero franca.
Ma perché i tedeschi aprirono il fuoco su quella manifestazione sostanzialmente pacifica? “Volendo dare una lettura superficiale, si potrebbe dire semplicemente che dei tedeschi hanno ucciso degli italiani”, osserva Valente, che ha ricostruito i fatti del 30 aprile nel suo libro “Porto di mare”. “Ma sostanzialmente, secondo lo scrittore, l'eccidio si deve a una difficoltà di comprendere la situazione e di comunicare. De Angelis non seppe valutare il rischio di quella manifestazione, e i tedeschi fraintesero le intenzioni dei manifestanti.
La strage del 30 aprile, dunque, si inserisce in un contesto caratterizzato dalla violenza della guerra e dalla confusione che precede la pace, ma anche da una sorta di incomunicabilità tra culture. Su questo secondo aspetto verteva ieri, alla conferenza di Palazzo Mamming, l'intervento dello storico Leopold Steurer. Il quadro della resistenza antinazista, in Alto Adige, era composito: da una parte i Dableiber, i patrioti sudtirolesi che non avevano optato per la Germania, dall'altra i partigiani italiani. “Mentre l'opposizione tedesca era di carattere rurale, di cultura contadina e di mentalità conservatrice e cattolica, quella italiana era urbana, proletaria e orientata a sinistra”, spiega Steurer. Due mondi molto diversi tra loro che però, nell'immediato Dopoguerra, si tendono la mano. Lo dimostra, ad esempio, un articolo scritto da Hans Egarter, capo dell'Andreas-Hofer-Bund, l'organizzazione antinazista dei Dableiber sudtirolesi, per Il nuovo Ponte, giornale dell'ANPI di Bolzano, in occasione del secondo anniversario della Liberazione, e pubblicato - in lingua tedesca - in prima pagina.
L'articolo di Hans Egarter pubblicato da Il nuovo Ponte il 25 aprile 1947
“La vostra lotta - scrive Egarter – era rivolta contro il fascismo, al pari della nostra. La vostra lotta era rivolta contro il nazismo, al pari della nostra. Se oggi in qualità di responsabile dell'Andreas-Hofer-Bund accolgo il vostro invito a contribuire al numero commemorativo di questo giornale, l'intento è quello di concorrere alla reciproca comprensione e alla pace.” Ma la pubblicazione dell'articolo di Egarter sul giornale dell'ANPI, fa notare lo storico Steurer, “era espressione di una posizione minoritaria da entrambe le parti”. Ben presto subentra la guerra fredda e con essa la divisione tra le forze di sinistra, italiane, e il mondo conservatore, di cultura tedesca. La scintilla dell'unione in nome della libertà si spegne, e ha inizio il lungo periodo della polarizzazione etnica.
Sulla Foto e mancano gli
Sulla Foto e mancano gli Schuetzen. Che gia allora erano antinazisti? o le autorita germaniche o sudtirolesi come si vuol dire non vedevano di buon occhio i tirtatori scelti?