Ancora una volta, nei giorni scorsi, la tivù nazionale si è occupata di Alto Adige e, ancora una volta, tra Salorno e il Brennero ci si lamenta del fatto che tutto si sia esaurito in qualche colorito scambio di insulti e in una generalizzata gazzarra. Inutile meravigliarsi. Sino a quando l'argomento resterà in mano ai conduttori dei cosiddetti talkshow non ci si potrà attendere nulla di diverso. È la natura di questi programmi che lo impone.
Basta tradurre il sostantivo dall'inglese: uno spettacolo costruito sulle parole. Inventato, come tutti i formati televisivi, oltre oceano, arriva in Italia negli anni 80, sulle ali della riforma della Rai, con invenzioni sapientemente distillate da due dirigenti molto sagaci, Angelo Guglielmi e Stefano Balassone, che puntano a creare nuovi prodotti per lanciare la loro Raitre. Due, soprattutto, sono le trasmissioni, molto diverse tra loro, che lanciano nell'etere il nuovo modo di comunicare: il "Processo del lunedì" per lo sport e, qualche anno più tardi, "Samarcanda" con la quale Michele Santoro debutta nel ruolo di conduttore/demiurgo incaricato di sciorinare davanti al pubblico italiano il nuovo che avanza con la cosiddetta Seconda Repubblica. Progetti diversi, si diceva, ma uniti da un comune denominatore: la riduzione per l'appunto a show, spettacolo, dramma, farsa o tragedia che dir si voglia di ogni qualsiasi argomento inserito nella scaletta di una puntata. È una scelta che nasce evidentemente per un motivo preciso: quello di conquistare il pubblico e ascolti nell'epoca in cui l'Auditel inizia ad essere l'unico strumento più o meno oggettivo di valutazione di un programma televisivo, l'unico aggancio per decretarne il successo o il fallimento.
Il processo ha le sue regole precise che sono poi quelle che governano qualunque forma di drammatizzazione. La puntata televisiva, così come una messinscena teatrale o una qualsiasi commedia, deve tenere lo spettatore avvinto senza che mai possa calare la tensione, giocosa o tragica che essa sia. Il ritmo della narrazione, come un aspirante regista impara appena si siede sui banchi di un'accademia, è essenziale e non va mai perso.
Regole auree, ma in palese e totale conflitto con altri comandamenti: quelli sul buon giornalismo, sull'informazione che spesso, per essere completa, deve scendere nei dettagli, sulla necessità, per chi legge un saggio o per chi assiste ad un programma di fare uno sforzo, ancorché modesto, per impadronirsi di tutti gli elementi di un problema, a rischio, infine, di sperimentare un po' di noia e un po' di fatica.
Tutto questo, dalla tv dei talk show, è assolutamente bandito.
Immaginatevi, tanto per fare un esempio, se, durante la scena culminante dell'Otello di Shakespeare, il Moro, Desdemona e magari anche Jago, invece di procedere con l'abominevole progetto omicida, iniziassero a intrattenere il pubblico con tutta una serie di elucubrazioni, statistiche, riferimenti scientifici al problema dei rapporti di coppia nella società veneziana del medioevo. Rischierebbero continuare a recitare di fronte a una platea vuota o, nel migliore dei casi, di vedere il pubblico diviso tra sbadigli e colpi di sonno.
È il rischio terribile che nessun conduttore televisivo di talkshow intende correre. Per questo ogni volta che un poco avveduto ospite inizia ad approfondire i termini del problema in discussione, il conduttore interviene con la fatidica frase: "non entriamo troppo nei dettagli", e prosegue cambiando rapidamente intervistato e, se del caso, anche argomento. L'essenziale, infatti, è non perdere spettatori e si sa dai tempi dei giochi celebrati al Colosseo che un vivace battibecco, una lite con minaccia di passare alle vie di fatto, qualche strillo e un abbandono plateale dello studio conquistano sicuramente più attenzione dell'esposizione, magari monotona, dei dati di fatto, dei precedenti, degli elementi in chiaroscuro di uno dei mille problemi che affliggono la nostra vita quotidiana.
Nel costruire a tavolino e poi nel guidare, durante la messa in onda, queste commedie umane, i conduttori seguono, come fosse il vangelo, la griglia degli indici di ascolto, minuto per minuto, che lo strumento Auditel rileva e diffonde. Quello è il Verbo. Se un ospite fa calare l'indice probabilmente non vedrà più, a meno di non essere veramente un Big, l'obiettivo di una telecamera. Ci sono invece i "prezzemolini" che poco di sensato hanno da dire, ma che spuntano a tutte le ore su tutte le reti per il semplice fatto che, con la loro facilità nel perdere le staffe, nell'insultare gli interlocutori, nel cercare sempre comunque la rissa verbale e a volte anche fisica, garantiscono un sicuro risultato.
Tutto questo, è bene ribadirlo ancora una volta, poco ha a che fare con una comunicazione giornalistica efficace, con l'impegno ad informare in modo approfondito su temi delicati importanti, ma sino a quando l'unico criterio con il quale vengono giudicati i programmi di tipo giornalistico e perfino i telegiornali sarà quello degli indici di ascolto, ben pochi sono i cambiamenti che ci potremo attendere.
Tornando all'esempio iniziale, la trasmissione di un'emittente nazionale che volesse oggi affrontare le particolarità della situazione altoatesina, dovrebbe partire innanzitutto da un grosso lavoro preliminare compiuto sul campo (cioè in Alto Adige) da giornalisti esperti, conoscitori della materia, incaricati di selezionare temi e personaggi dell'attualità politica, economica, sociale, per costruire delle schede informative sulle questioni di maggior rilievo. Su questi contributi, in studio, potrebbe aprirsi un dibattito nel quale le opinioni qualificati esperti a livello nazionale e internazionale finirebbero per dare degli spunti all'intervento dei protagonisti politici, scelti non certamente per la loro attitudine ad abbandonarsi ad estremismi verbali, ma per l'autorevolezza dei ruoli ricoperti.
Un prodotto complesso, costoso, difficilmente digeribile, forse, per un pubblico che ormai è abituato, nei dibattiti televisivi così come in quelli egualmente convulsi scomposti che si svolgono sui social media, ad assimilare la politica solo attraverso gli slogan, le frasi fatte, i concetti elementari, gli insulti.
A parziale consolazione di chi si lamenta, il dubbio che, anche nel migliore dei mondi possibili, giornalisticamente parlando, l'immagine attuale dell'Alto Adige non sarebbe probabilmente molto migliore di quella che emerge dal circo dei talkshow.