La non accoglienza
Il punto d’incontro è il parco di fronte alla stazione: Qui “approdano”, si ritrovano le persone in movimento. Bolzano, città di confine, rappresenta da oramai più di un anno uno anello di congiunzione tra Nord e Sud, come già è stata in passato e come la sua posizione le permetterà di continuare ad essere in futuro.
Nel parco si trovano, verso mezzogiorno, una cinquantina di persone e un centinaio la sera, quando si spostano in piazza Verdi. In questo microcosmo ci si imbatte in storie diverse e uniche, ma anche simili tra loro, visto che la burocrazia italiana è per tutti la stessa. Chi sono però questi uomini e donne? Molti di loro sono richiedenti asilo che hanno fatto domanda a Bolzano. Per legge, avrebbero diritto ad essere accolti in un centro, ma in realtà dormono in strada. Provengono dal Nord Europa dove la loro domanda di asilo non è stata accolta, mentre alcuni arrivano direttamente dalla rotta balcanica.
Un’altra parte del gruppo è composta da “diniegati”, neologismo che indica chi ha ricevuto un esito negativo alla propria domanda di asilo. Malgrado un “diniego” in mano e un ricorso in atto in Tribunale, moltissimi hanno dovuto abbandonare le strutture in cui erano accolti e ora sono in cerca di un luogo dove stare. Per legge avrebbero il diritto di rimanere nel centro, ma sempre più spesso accade che i regolamenti interni divengano più aspri e che quindi si possa venire espulsi dalla struttura per un nonnulla.
Infine tra loro c’è anche chi ha il permesso di soggiorno, ma è privo di passaporto o titolo di viaggio, perché le Questure non li hanno rilasciati. Molti hanno tentato di attraversare il confine al Brennero, ma senza successo, mentre altri sono stati rimandati in Italia (il loro Paese di ingresso in Europa) dopo aver tentato la fortuna in Nord Europa. È per questo che si trovano bloccati da settimane o mesi a Bolzano, che funge da imbuto per tutte le loro storie. Il numero delle persone che si trovano in queste condizioni e che pertanto sono costrette a vivere per le strade della città, aumenta di giorno in giorno. È una situazione non nuova, infatti si ripete ormai dal 2015.
La storia di Abdu
Abdu ha 19 anni, ma il suo sguardo è decisamente più maturo. Quando aveva tre anni, suo padre è morto. Abdu e suo fratello hanno dovuto lavorare come costruttori, fin da bambini, poiché era l’unico modo di portare soldi a casa. Ci mostra, orgoglioso, una foto di quando lavorava: “Questo è mio fratello e questo sono io”, dice Abdu. Non aveva più di dodici anni. A soli 13 anni ha dovuto lasciare il Gambia, suo Paese di origine, abbandonando lì sua madre e suo fratello. A quell’età, Abdu ha dovuto affrontare un viaggio che lo ha portato fino in Libia, dove si è fermato per quattro anni. “In Libia lavoravo come muratore, così riuscivo a mandare i soldi a casa”, racconta Abdu. Pur consapevoli di quanto fosse banale la domanda, gli abbiamo chiesto “Perché te ne sei andato dalla Libia?”. È bastato uno sguardo come risposta. A 17 anni è salito su un gommone per fuggire dalle barbarie libiche, pagando circa 6.400 euro, una cifra enorme guadagnata in condizioni di quasi schiavitù, per cercare di raggiungere l’Italia. Abdu e i suoi 119 “compagni” di viaggio sono stati fortunati. Dall’inizio del 2017 ad oggi, infatti, si stima che siano già più di 905 le persone scomparse nelle acque del mar Mediterraneo. Il barcone sul quale viaggiava Abdu è arrivato sulle coste siciliane il 25 dicembre 2015. Dalla Sicilia, Abdu viene trasferito in un centro di accoglienza in Puglia, a Lecce, dove ha dovuto aspettare nove mesi per la convocazione in Commissione Territoriale, organo che stabilisce chi tra i richiedenti asilo ha diritto a ricevere una tra le tre forme di Protezione: asilo politico, protezione sussidiaria o protezione umanitaria. A dicembre 2016, esattamente un anno dopo l’arrivo di Abdu in Italia, è arrivata la risposta alla sua domanda di asilo: NO. La commissione ha stabilito che Abdu non ha diritto a nessun tipo di Protezione, e lui ha fatto ricorso all’esito della Commissione. Ora sta aspettando la convocazione in Tribunale, dove potrà raccontare nuovamente la sua storia. Lo scorso gennaio Abdu ha dovuto lasciare il suo centro di accoglienza, nonostante avesse diritto a rimanervi, perchè ha ricevuto pressioni da parte degli operatori affinché abbandonasse la struttura. Questa pratica probabilmente è da ricondurre al fatto che vi sono molti nuovi richiedenti asilo in attesa di un posto in accoglienza e pertanto si provano a liberare posti per loro nei centri. È chiaro quindi che vi è un ingolfamento totale del sistema, che produce violazione dei diritti e, in ultima istanza, disagio sociale.
Abdu è arrivato a Bolzano a febbraio, con la speranza di poter trovare un lavoro, in attesa che la procedura di ricorso volgesse al termine. In questi mesi in Alto Adige ha dormito all’Emergenza Freddo “Ex Alimarket” solo per due settimane e, adesso che questo servizio è chiuso, dorme per strada, all’addiaccio. Di notte, sotto il ponte, le Forze dell’Ordine passano due, tre volte a verificare la situazione e a controllare i documenti e spesso invitano i ragazzi a spostarsi in altri luoghi. Ora il suo documento di soggiorno deve essere rinnovato. “Devo andare alla Questura di Lecce per il rinnovo, ma non ho i soldi per arrivarci”, afferma Abdu. Sono in molti, infatti, a doversi rivolgere alle Questure di diverse città italiane per rinnovare il loro documento, ma non avendo le possibilità economiche per affrontare le spese del viaggio, si trovano bloccati sul territorio altoatesino. Un permesso di soggiorno non ancora rinnovato è fonte di grossi problemi: è indispensabile, infatti, per l’accesso a quasi tutti i servizi di base. “Fa molto freddo per dormire in strada”, dice Abdu. Quando era piccolo ha subito un’operazione allo stomaco “ora mi fa male, soprattutto la notte quando fa freddo. Dovrei prendere delle medicine, ma non ho soldi per comprarle”. Inoltre Abdu non potrà rinnovare il libretto sanitario sino a che non avrà rinnovato il permesso di soggiorno. L’unica possibilità per lui sarebbe andare al Pronto Soccorso, dove dovrebbe pagare il ticket, che però non si può permettere.
Per di più senza il rinnovo del permesso di soggiorno, non si può accedere ai servizi docce per senza dimora e per questo il martedì e il giovedì Abdu si reca al campo da calcio sul Talvera dove, in situazioni eccezionali, persone che non hanno altra occasione per lavarsi possono almeno fare una doccia. Infine, sempre a causa del mancato rinnovo del permesso, Il ragazzo non può nemmeno frequentare una scuola e questo rende naturalmente più difficile una possibile integrazione sociale. Abdu ci racconta inoltre che a Lecce non aveva amici né alcuna possibilità di lavoro. A Bolzano la situazione non è migliorata: non conosce nessuno, se non persone in situazioni simili alla sua o i volontari che incontra quotidianamente al parco. Affronta le giornate grazie alla colazione e alla cena che riceve dai Cappuccini. Ora ha anche la possibilità di pranzare alla mensa di piazza Verdi, dopo essere stato per mesi al parco con i volontari. Descrive le sue giornate come monotone, sempre uguali a se stesse: Abdu trascorre molto tempo in biblioteca, perché lì si sente sicuro, protetto, e può avere accesso ad internet per comunicare con la madre e il fratello in Gambia e anche per cercare lavoro.
Un sistema fallimentare
La vicenda di Abdu è un esempio del fallimento nell’attuale gestione della problematica dell’integrazione per richiedenti asilo. L’obiettivo, infatti, dovrebbe essere quello di promuovere l’autosufficienza e permettere così alle persone di divenire autonome. Ciò che si può osservare nelle strade di Bolzano è, però, l’esatto contrario. Ora Abdu ha tre possibili scenari di fronte a sé e il primo fra tutti è che la risposta del Tribunale al suo ricorso risulti negativa. In questo caso Abdu avrebbe diritto a fare ancora appello al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale). Questo gli permetterebbe di avere un’altra chance. Il secondo scenario vedrebbe una risposta positiva del Tribunale e quindi Abdu avrebbe diritto a qualche tipo di protezione. In tal caso il ragazzo farebbe un passo avanti nella sua vita e potrebbe trovare lavoro e alloggio. Tuttavia, se non è stato così sino ad ora, cosa dovrebbe cambiare nel futuro affinché possa avere una reale chance di integrazione e autonomia? Il peggiore scenario possibile consisterebbe in una decisione negativa, questa volta definitiva, che lo vedrebbe costretto a tornare in Gambia. Lo Stato avrebbe il compito e la responsabilità di organizzare il rimpatrio. Allo stato attuale, invece, al migrante viene consegnato un foglio di espulsione col quale viene invitato a lasciare l’Italia in modo autonomo. Ovviamente, Abdu non avrebbe né i soldi né i documenti necessari, quali un passaporto gambiano, per tornare autonomamente in patria. Si ritroverebbe quindi clandestino sul territorio ed impossibilitato a fare qualsiasi mossa. Uno scacco matto.
Futuri possibili
Lo scenario che si apre è tutt’altro che roseo. In Italia lo scopo dell’accoglienza nei centri non è mai stato quello dell’integrazione. L’Italia era vista, dai richiedenti asilo e da chi gestiva l’accoglienza, come un Paese di transito, dove fermarsi se si era bloccati, ottenere eventualmente i documenti e ripartire per altre destinazioni. La maggior parte delle richieste di asilo otteneva inizialmente una risposta positiva. Dal 2016 la situazione è cambiata. La maggior parte delle richieste si conclude ora con un esito negativo, nonostante le persone si trovino oramai da un anno e mezzo o due sul territorio e abbiano, in alcuni casi, trovato lavoro. Sempre più persone si riverseranno in strada, impossibilitate ad andarsene legalmente dall’Italia, spesso senza il permesso di lavorare o senza avere nemmeno accesso ad una banale doccia.
Sì. A volte mi chiedo se un
Sì. A volte mi chiedo se un percorso di rimpatrio volontario sia così tragico per un gambiano. E non lo dico a cuor leggero. Lo so anch'io che questo ragazzo avrebbe potuto ricevere e dare un contributo migliore alla nostra società. Ma noi non investiamo in questo giovani, spesso nemmeno in quello europei di bassa estrazione sociale.
Arrivati all'ultimo livello, anche se ha poca colpa, forse è meglio abbandonare il sogno, lui che ha ancora una madre e un fratello.