Niente spesa di domenica
Non a caso le aperture domenicali dei negozi in questi giorni richiamano maggiormente l’attenzione dei media e dei cittadini. Nonostante le proteste del sindacato, delle critiche da parte della chiesa e delle associazioni dei commercianti, ma anche di molti politici, non si intravedono passi concreti nella direzione auspicata. Forse, oltre alle discussioni ideologiche e politiche, sarebbe opportuno fare anche qualche riflessione sugli obiettivi che erano alla base di certe decisioni. A distanza di qualche anno dalle liberalizzazioni del settore, volute dal Governo Monti, possiamo provare a ragionare sui risultati ottenuti. Se l’intenzione era di incrementare il Pil e rilanciare un settore in difficoltà qualche dubbio permane. Visto poi, che l’inflazione rimane bassa nonostante la massa di denaro immesso nell’economia dalla Bce, si può concludere,che la domanda di beni di consumo è ancora ridotta. Non a caso dalle indagini statistiche la fiducia dei consumatori si muove tra alti e bassi.
Dal punto di vista più in generale si può rilevare invece lo spostamento delle strutture commerciali dal negozio sotto casa verso la grande distribuzione. Se il potere d’acquisto ristagna, anzi, se rischia di ridursi, il consumatore si orienta verso chi può allargare gli orari di lavoro, aumentare l’offerta, razionalizzare sul personale e le strutture per abbassare i prezzi, nonché offrire altre comodità come il parcheggio. Se non risolviamo il problema centrale degli stipendi e delle pensioni, di fatto fermi da anni, non ultimo per la precarietà in crescita, la gente non aumenterà i consumi. Dai dati rilevati recentemente dalla Cgia di Mestre, lo spostamento verso le strutture grandi è un dato di fatto. Così come risulta chiaramente la perdita di numerosi negozi e di botteghe artigiane, con effetti negativi soprattutto in periferia.
Per questo lasciare mano libera alla grande distribuzione e sostenere contemporaneamente il negozio di vicinato è inutile. Se la politica locale punta realmente sulla sopravivenza dei negozi periferici deve intervenire anche sugli orari di apertura, ovviamente tenendo conto delle possibili implicazioni che potranno nascere dalla logica di libera concorrenza, che rimane una scelta prioritaria della Comunità europea.
Non convince neppure la scusa che il commercio elettronico imponga aperture più lunghe. Questo tipo di distribuzione si allargherà comunque e spesso sono le grandi catene stesse che incominciano a operare in parallelo sul web, sfruttando tra l’altro i vantaggi fiscali derivanti dalla tassazione molto diversa tra i singoli paesi. I prezzi bassi su queste piattaforme sono in parte frutto di queste scelte e aumentano le difficoltà del piccolo commerciante locale. Con le aperture festive si potrà, infine, soddisfare la voglia di divertimento legato allo shopping di molti cittadini, ma non sono strategie o scelte determinanti per rispondere alle sfide lanciate dalla rete.
L’Alleanza trasversale per la domenica libera, nata quasi dieci anni fa, ha ora ripreso nuovamente a operare. E’un fatto positivo perché un fronte allargato potrà esercitare una pressione maggiore sulla politica e coinvolgere maggiormente l’opinione pubblica. Due sono gli interventi che devono però proseguire di pari passo: il cittadino va invitato a rinunciare alla spesa nei giorni festivi e nelle domeniche (sarebbe la soluzione definitiva) e dall’altro canto va ridotta la possibilità di fare acquisti in determinati giorni con regole più restrittiva sulle aperture.
Richtig. Machen wir es anders
Richtig. Machen wir es anders als überall anders dank der Autonomie!
Io credo che noi tutti
Io credo che noi tutti abbiamo con 6 giorni/settimana tempo abbastanza per fare la spesa. Domenica e giorni festivi i negozi e centri commerciali devono restare chiusi come giá in Austria, Germania o in Svizzera.