Un nuovo Salto
“Nel 2015 ero a Bolzano, ho anche visitato la redazione di Salto.bz. Mi trovavo in Alto Adige con un collega di Left per un'inchiesta sul nuovo carcere a 5 stelle in costruzione a Bolzano Sud e un giornalista della vostra testata ci ha accompagnato nella zona vicino all'aeroporto”. A tre anni di distanza (e cinque dalla nascita del “nostro” salto.bz) la giornalista Tiziana Barillà sta lavorando alla nascita di un altro salto, ovvero “il Salto”: un nuovo progetto editoriale indipendente e partecipativo che ha base a Roma – e gli occhi puntati sul resto d'Europa. Cosa bolle in pentola?
Salto.bz: Quando è nata l'idea di un nuovo media – e come è nata? In altre parole: cos'è “il Salto”?
Tiziana Barillà: L'idea è nata esattamente un anno fa: siamo un collettivo di giornaliste e giornalisti che hanno immaginato di costruire un media nuovo. Abbiamo usato come claim “modi nuovi per media nuovi”, perché siamo tutti di estrazione cartacea, giornalisti anni cinquanta che nella propria professione – anche chi era più nel digitale – pativano il mutamento esterno e sentivano di maneggiare uno strumento non più idoneo, sostanzialmente sorpassato. Abbiamo immaginato di costruire un media che tenesse conto di questo mutamento avvenuto. Moltissimi giornali, il mainstream, rincorrono il cambiamento. Rimangono strutturati sul cartaceo, su un modello di divulgazione e informazione molto vecchio, e poi rincorrono il web – spesso a suon di click. Vanno a coprire un settore che è quello del sensazionalismo, non quello dell'informazione. C'è un vuoto che si è creato, in Italia soprattutto. In Europa, in paesi come la Spagna, questo momento l'hanno vissuto e cavalcato un paio di anni fa; noi ci stiamo arrivando adesso, un po' più tardi. Notavamo questo gap tra lo strumento che realmente raggiunge la massa, ovvero il web, e l'uso che ne facciamo noi come giornalisti in generale. Per rendere chiara l'idea: mettere i “gattini” o una notizia sensazionalistica, il piccolo lancio sui social per fare click, e poi servirsi di un'informazione approfondita e fatta bene solo sul cartaceo. Questo comporta un grande vuoto tra il lettore e il giornalista, che ha la possibilità di raggiungere le persone soprattutto con il canale web. Abbiamo cercato di ribaltare questa impostazione mentale: non a caso intendiamo fare un cartaceo ma solo più avanti, ribaltando anche l'ordine delle priorità e cominciando appunto dal web.
Nella vostra “road map” è prevista la realizzazione della piattaforma web, il cui lancio avverrà tra circa un mese, e poi del primo numero cartaceo in autunno.
Un web che concepiamo in maniera diversa da quello che abbiamo praticato sinora, perché fa informazione e approfondimento, non è un blog. Abbiamo utilizzato in una prima fase un blog di transizione, adesso c'è un sito di transizione e per la fine di maggio avremo il sito vero e proprio.
E sarà un portale d'informazione a tutti gli effetti.
Per meglio definirlo abbiamo utilizzato l'espressione di “network”. In questo senso “il Salto” è un doppio network: da una parte ha la pretesa di essere il contenitore di una rete territoriale nel nostro paese, italiana, che produce quotidianamente informazione senza saperlo. Per noi le associazioni, i movimenti – tutto quel pezzo di paese che in effetti è pane quotidiano per noi giornalisti – sono la nostra fonte diretta, le nostre agenzie di stampa, e questo ci permette di staccarci dai dettami del mainstream: quelle tre o quattro agenzie di stampa che dettano legge su cosa trattare ogni giorno.
Cercate di dare voce a questioni che al momento trovano spazio solamente sui media “di nicchia”, come il Manifesto o Left?
Noi siamo molto pretenziosi e presuntuosi: nell'ambizione che attraverso il web, il canale della massa, possiamo scrollarci di dosso l'immagine del media giornalistico di sinistra relegato in una nicchia di sinistra, quella appunto di Left, del Manifesto. Anche da qui la volontà del nome stesso, che rappresenta appunto un'uscita da questo pantano. Non vogliamo assolutamente essere un giornale di nicchia e siamo quanto di più lontano dal radical chic: siamo molto popolari. L'abbiamo chiamato “media partecipato” anche da questo punto di vista: le nostre fonti dirette sono, come detto, movimenti, associazioni, studiosi, ricercatori, ovvero chi produce informazione però in una realtà estremamente frammentata. Noi ci immaginiamo come un network contenitore, che fa da filtro professionale di quanto viene già prodotto a vari livelli in Italia. Il prodotto finale sarà l'anello di un network più grande, europeo prima e per essere più precisi “euromediterraneo”.
Vogliamo uscire dal pantano, dalla nicchia di sinistra. Siamo quanto di più lontano dal radical chic, siamo molto popolari. Ci immaginiamo come un media partecipato, un network contenitore, euromediterraneo e non solo europeo.
Euromediterraneo: un'espressione che in Sudtirolo rievoca gli scritti del politico e giornalista Alexander Langer. Cosa intendete dire con questo termine?
Considerato che “Europa” nel senso comune ha spesso un'accezione mitteleuropea, abbiamo dato per scontato che la nostra percezione fosse di un'Europa che tiene al centro il Mediterraneo e non può fare a meno di andare a vedere cosa succede nell'altra sponda. Sui temi sociali, in particolare, e sulla politica siamo abbastanza fissati. È proprio una prospettiva diversa della concezione europea: non è un'Europa in cui il Sud è il Sud europeo e basta, un po' miope, ma dove tutta l'Europa è al centro e intorno a noi ci sono anche gli altri. Intendiamo guardare e osservare oltre.
In questo modello di giornalismo, ci sono degli esempi in particolare a cui vi state ispirando? Siete già in contatto con altri media che fanno un lavoro simile nello spazio euromediterraneo?
Le due domande si fondono. Siamo già in contatto con dei partner che allo stesso tempo per noi sono stati oggetto di studio. Nel nostro tentativo di essere “rivoluzionari” rispetto al nostro momento professionale, ci siamo scrollati subito di dosso l'idea che partiamo da zero, che siamo i primi a fare qualcosa, a farci delle domande. Siamo andati fuori a vedere chi altro si è già posto questo problema. E quindi abbiamo incontrato quelli che chiamiamo i nostri fratelli e le nostre sorelle de “El Salto” e non a caso noi ci chiamiamo così, perché abbiamo deciso di fare questo patto di fratellanza con un media spagnolo che ha dei punti di grande sintonia quasi sovrapponibili con noi. Siamo andati a cercare i nostri gemelli in Europa e abbiamo trovato loro. Dalla primissima nostra presentazione a Roma erano presenti, siamo andati al loro congresso, ci scambiamo molte suggestioni. Sono nostri partner sia in senso ideale – condividiamo una linea politica-editoriale – sia in una logica di economia di scala: su ilsalto.net trovi degli articoli de elSaltodiario.com in italiano, e viceversa, nella logica dello scambio. Non parto dall'Italia per raccontare la Spagna perché è come se ci fosse una redazione dislocata. Questo è l'accordo, la partnership, più rappresentativa.
E le altre?
Sul piano dei modelli monitoriamo costantemente quello che succede altrove, fuori dall'Italia. Abbiamo incrociato altri esempi: per esempio PoliticalCritique, a sua volta un network. Pubblicano materiale prodotto da una serie di giornalisti e piccoli media indipendenti dell'Est Europa, traducono in lingua inglese in modo da incanalare informazioni nel resto d'Europa. Anche loro troveranno spazio su il Salto, sperimentando lo scambi di articoli. Un altro partner molto importante per noi si trova a Parigi, cafébabel, il cui presidente è tra i promotori de il Salto. Abbiamo dei tagli diversi, ma ci ritroviamo sul piano della rete europea e anche generazionale. L'età media al Salto è di 40 anni: mi sono ritrovata dall'oggi al domani dall'essere la giovanotta controllata da qualcuno a la più anziana in un gruppo di lavoro, e riteniamo sia molto più logica e naturale questa seconda impostazione. In Francia, un mese fa è nato invece le Média: un'operazione diversa da noi, molto politica, che nasce dalla volontà di “France insoumise”. Infine c'è l'olandese De Correspondent, con i quali non abbiamo mai fatto uno scambio, ma è tra quei giornali che guardiamo con molta attenzione per la linea grafica e il taglio editoriale.
La pubblicità determina la vita e le sorti di molti progetti editoriali. Riguardo il finanziamento, avete lanciato una campagna di crowdfunding puntando molto sul discorso cooperativo.
Stiamo facendo un'operazione – e in quello sì che siamo nuovi – che cammina molto lentamente. Quando parte un giornale, di solito trova un finanziatore e nasce dall'oggi al domani. Noi invece abbiamo messo immediatamente in pubblica piazza l'inizio di questi lavori. I mutamenti sul nostro sito sono tutti in chiaro, quello che facciamo, modifichiamo, sperimentiamo. Sappiamo benissimo di avere un tempo di costruzione molto lento e non abbiamo voluto usare scorciatoie: finanziamenti e contributi privati. Una costruzione infinitamente più lenta, rispetto a quella che abbiamo vissuto in altre esperienze lavorative. In Italia – finché ce lo lasciano – abbiamo un fondo per l'editoria che ti consente un certo grado di autonomia. Andiamo a rilento, incontro ai tempi naturali e necessari.
I grandi giornali nazionali mettono in campo strategie abbastanza opinabili per i propri siti web, come i contenuti a pagamento, con un'idea a volte distorta di quale sia il valore reale del lavoro giornalistico di qualità.
La piattaforma di crowdfunding serve a mantenere trasparente, limpido l'eventuale ingresso di cifre importanti. Il primo step lo abbiamo già raggiunto, con la costituzione della cooperativa a febbraio. Il prossimo sarà tra maggio e giugno con la messa online del sito. Lavoriamo molto sulle basi, sulla progettazione: una grande inchiesta può essere finanziata anche attraverso i bandi. Contiamo moltissimo sui progetti europei, che pur non potendo finanziare l'informazione, possono fare da cornice a un'operazione informativa, rispetto all'individuazione di temi nuovi da raccontare. Quando abbiamo parlato di multi-sostenibilità intendevamo questo: usare i contributi pubblici dell'editoria non appena ne avremo i requisiti, nonché la filiera dei lettori abbonati. L'Italia è un paese che non ha mai fatto i conti con il pagamento dell'informazione online. Monitorando i nostri colleghi degli altri giornali, le possibilità sono due: lanciare il catenaccio e se vuoi continuare a leggere, compri – una cosa agghiacciante per il lettore – oppure metti tutto in chiaro e ti dai alla pubblicità. Ma i canali pubblicitari sono già risicati.
L'Italia è un paese che non ha mai fatto i conti con il pagamento dell'informazione online.
Qual è il vostro modello commerciale?
Noi stiamo cercando di tessere una struttura di finanziamenti che superi i vecchi schemi, creando una sostenibilità capace di andare oltre i meccanismi tradizionali del finanziamento dell'informazione in Italia, ovvero grossi contributi privati che condizionano la linea editoriale.
Le parole chiave de “il Salto” sono network, partecipazione e indipendenza.
Abbiamo in noi il seme della cooperazione, non quello della competizione. Siamo indipendenti per ovvi motivi – dovrebbe essere superfluo nel nostro lavoro parlare di indipendenza. E infine la partecipazione: non solo perché ci auguriamo, un domani, di avere come i nostri colleghi spagnoli di El Salto un numero tale di abbonati al cartaceo che ci consentano di progettare il lavoro, ma anche un giornale immaginato come casa aperta, in cui possano entrare i territori a gamba tesa.
I portali d'informazione – anche Salto.bz, soprattutto nella fase di lancio – hanno puntato molto sulla propria area community, con una miriade di blog collegati. Una scelta faticosa, quando il lettore medio fatica a distinguere tra contributi redazionali e quelli per così dire “di opinione”, ovvero tra la linea editoriale del giornale e l'opinione del singolo. Ma forse siamo già un passo in avanti rispetto a una certa concezione di partecipazione. Su questo vi siete fatti un'idea?
Noi in realtà abbiamo escluso praticamente dal principio l'idea di blog in stile Huffington Post, perché come struttura corrisponde più a quell'idea dei “click”: più gente scrive, mi porta altra gente che clicca. Cercando di puntare su profondità e qualità dell'informazione, abbiamo fatto un triplo salto mortale, immaginando ciò che sostituisce l'area community-blog ovvero People: la ricostruzione di un intellettuale diffuso, una cosa estremamente più organica, più dialogante. Non diecimila blogger che entrano, scrivono la loro opinione e la buttano sulla rete, ma una serie di personalità in un assetto innovativo: cerchiamo di stimolare ricercatori che hanno lasciato l'Italia e conducono le loro ricerche fuori dal nostro paese. Tante voci si incontrano all'interno di un unico spazio comune – non frammentato e sparpagliato sul web – cercando di stimolare le risposte fra di loro. Quella che è venuta a mancare in questo paese è una classe intellettuale: e se è vero da una parte che non va ricomposta una classe chiusa dentro l'accademia, che non parla con il mondo, non va bene nemmeno l'intellettuale da tastiera. Serve la ricostruzione di questo tessuto, l'intellettuale diffuso e democratico che è consapevole e sa di cosa sta parlando. Un ragionamento di profondità, la community serve a decifrare e sollecitare la creazione di un nuovo pensiero, che manca.
Nel panorama mediatico assistiamo a una strenua difesa dello status quo. Alcuni temi restano colpevolmente scoperti. Per esempio, il dibattito sul #MeToo si è spento in maniera catastrofica ed è innegabile la responsabilità del giornalismo. Quale cambiamento desiderate imprimere?
Non lo facciamo nemmeno per cattiveria, è come se la nostra macchina si fosse inceppata. Continuiamo a riproporre sempre lo stesso meccanismo, sempre lo stesso schema, nella produzione e nella diffusione delle notizie. Quello che dici vale per tutto: per fascismo e antifascismo in campagna elettorale, improvvisamente non più un problema. Vale per gli sbarchi e i morti nel Mediterraneo, apertura dei tg per una settimana intera e immediatamente dopo in secondo piano. Questo monopolizzare la notizia in cima, riprodotta in tutti i canali mainstream, secondo noi è grossa parte del problema che abbiamo. Questo è il motivo per cui cerchiamo di divincolarci dalle grandi agenzie di stampa. L'approfondimento iper-veloce e ossessivo, che molte volte sfocia nel sensazionalismo, è il nostro nemico. Noi puntiamoinvece a fare le cose con il tempo dovuto. Parliamo spesso di giornalismo lento. Inutile inondare un lettore di settecento nozioni in una mezz'ora su internet, perché non è in grado di assimilarle. È come se stessimo perdendo la natura vera del nostro mestiere. Una concezione un po' artigiana del nostro lavoro...
...un'ecologia del giornalismo. Grazie e buon lavoro!
>I portali d'informazione –
>I portali d'informazione – anche Salto.bz, soprattutto nella fase di lancio – hanno puntato molto sulla propria area community, con una miriade di blog collegati. Una scelta faticosa, quando il lettore medio fatica a distinguere tra contributi redazionali e quelli per così dire “di opinione”<
All inizio si ha anche trascurato di segnare le diverse categorie di articoli. Spero che ilsalto abbia più competenze di gestire un network e far si che chi partecipa abbia un vero riscontro come si ha in una vera community.
Salto alla fine è rimasto un media tradizionale, dove l'unico modo per avere riscontro è un atto di reazione in estremis, dove o si devono confermare retifiche di errori di contenuto di articoli o dove si devono arginare violazioni della nettiquette in un momento dove per tanto è gia troppo tardi.
Sono curioso se la mia è solo una chimera o se ilsalto sarà in grado di realizzare quello che mi aspettavo cinque anni fa da questo media.
Faccio il buon-augurio a IL
Faccio il buon-augurio a IL SALTO, affinchè possa diventare una rete di piattaforme euro-mediterranee, e non solo !