Sarà dunque benevola l'astensione dei deputati e dei senatori SVP nei confronti del secondo governo Conte. L'aggettivo è sfuggito di bocca alla senatrice Julia Unterberger quasi per segnalare un disagio dovuto al suo personale desiderio di dare un voto favorevole, bloccato però dalla disciplina di partito per tutta una serie di motivi, più o meno nobili, che già nei giorni scorsi Christoph Franceschini ha delineato con molta chiarezza e che non vale qui la pena di riprendere.
È invece il caso di notare come la formula suggerita dopo il colloquio del Quirinale rappresenti in un certo senso una piccola novità nella storia pluridecennale dei rapporti tra la Südtiroler Volkspartei e Roma. Novità, invero, piuttosto bizzarra e non del tutto convincente. Ci si domanda in che cosa si differenzi un'astensione "benevola" da una "malevola" oppure da un'astensione priva di emotive aggettivazioni. Il discorso vale soprattutto per un voto, come quello di fiducia ad un nuovo Governo, che propone in sostanza scelte abbastanza secche e decise: o si è a favore, o si è contro, o ci si astiene o, infine, si esce dall'aula per non influire con la propria presenza fisica sul conteggio del quorum. La questione, va precisato, è particolarmente delicata al Senato, dove la nuova possibile maggioranza formata dall'opposizione di centro-sinistra e dal Movimento 5Stelle non gode di un vantaggio troppo netto nei confronti dell'opposizione di centro destra. È proprio al Senato poi che le astensioni acquistano il significato di un voto negativo dato che vanno a sommarsi, nel computo finale, ai voti contrari. In questo quadro politico le scelte dei senatori aderenti al Gruppo delle Autonomie, che comprende anche i tre eletti della SVP, diventano cruciali. La loro astensione potrà anche essere benevola quanto si vuole, ma probabilmente non sarà accolta con soddisfazione da coloro che stanno provando a varare la nuova maggioranza. Anche la precisazione, fatta dei deputati e dei senatori della Südtiroler Volkspartei, secondo la quale, se il nuovo Governo dovesse prendere il largo. i suoi atti verranno giudicati di volta in volta e potranno anche essere votati dalla Stella Alpina, nulla toglie e nulla aggiunge ad una prassi parlamentare che risale ancora ai tempi della Prima Repubblica. Da sempre, a prescindere da quale fosse stato il loro voto sulla fiducia ai vari governi, deputati e senatori SVP hanno sempre voluto tenersi le mani libere per votare a favore o contro i vari provvedimenti a seconda di come essi venivano valutati soprattutto il rapporto agli interessi dei sudtirolesi e della loro autonomia.
È un discorso che ci porta diritti ad un piccolo excursus storico sulla fiducia accordata o negata dalla SVP ai vari esecutivi che si sono succeduti nella storia repubblicana. Occorre partire dal fatidico 1948, con le elezioni che videro per la prima volta, nel dopoguerra, la partecipazione dei sudtirolesi. Erano i mesi nei quali nasceva la prima autonomia regionale e, nonostante il percorso accidentato attraverso il quale essa era stata completata, i rapporti tra Bolzano e Roma erano ancora buoni. La SVP votò così la fiducia ai governi presieduti da Alcide Degasperi, da Giuseppe Pella e da Mario Scelba sino al giugno del 1955. Unica eccezione, ma significativa, quella dell'ultimo esecutivo presieduto da Degasperi, dal luglio del 1951 al giugno del 1953, al quale gli esponenti sudtirolesi negarono la fiducia assentandosi dall'aula. Erano già gli anni nei quali autonomia regionale mostrava i primi sintomi della grave crisi che sarebbe precipitata di lì a poco.
Quindici anni esatti dovranno passare, dal luglio del 1955 allo stesso mese del 1970, perché la Südtiroler Volkspartei possa tornare a dare un voto favorevole al Governo. Sono gli anni del grande gelo con Roma, del "Los von Trient", del ricorso all'Onu, delle grandi ondate terroristiche, della difficile e complessa trattativa per dar vita al secondo Statuto di autonomia. Solo quando esso ormai è incardinato in una legge costituzionale presentata in Parlamento, i deputati e i senatori della Südtiroler Volkspartei si risolvono a pronunciare di nuovo il fatidico "sì". In tutti quegli anni hanno espresso in alcuni casi il loro "no", molte altre volte si sono astenuti o non erano presenti in aula al momento della fiducia.
Inizia a questo punto un terzo periodo che ci porta direttamente al 1992, data tra l'altro significativa perché sancisce la fase di attuazione del "Pacchetto" e la chiusura della vertenza internazionale con l'Austria, ma anche la fine sostanziale della Prima Repubblica. In oltre vent'anni la SVP vota quasi sempre la fiducia ai governi che si susseguono via via, con un'unica rilevante eccezione. In uno dei momenti più critici della fase di attuazione, quando i rapporti tra Roma e Bolzano appaiono congelati e i lavori nell'ambito della Commissione dei sei sono paralizzati dai contrasti politici, deputati e senatori della SVP tornano, per meno di un anno, dall'aprile 1987 al marzo del 1988, al voto negativo. Poi la situazione diventa più chiara e la fiducia viene di nuovo accordata.
Con l'inizio della Seconda Repubblica e con il passaggio dal sistema sostanzialmente proporzionale a quello maggioritario, basato sulla contrapposizione frontale tra uno schieramento di centro destra e uno di centro-sinistra. Il fatto che nel primo di essi figuri sin dall'inizio un partito come Alleanza Nazionale, diretto erede della tradizione missina, blocca irrimediabilmente ogni forma possibile appoggio della SVP a tutti i governi presieduti da Silvio Berlusconi. Per quanto riguarda invece gli esecutivi di centro-sinistra l'atteggiamento non è ovviamente quello di una preclusione aprioristica, ma è comunque abbastanza cauto. È in questo periodo che viene coniato il concetto di posizione "Blockfrei" per indicare una sostanziale estraneità della Südtiroler Volkspartei alla contrapposizione frontale tra i due schieramenti politici. Ciò non toglie che, in specie in questi ultimi anni, vi sia stata una più marcata identificazione con alcuni esecutivi di centro-sinistra, anche a seguito dell'alleanza elettorale organica che si è venuta realizzando tra SVP e Partito Democratico. Una politica che, tuttavia, non ha mancato di suscitare forti resistenze all'interno del partito di raccolta, nello schieramento di coloro che non hanno mai visto di buon occhio l'adesione ad alleanze troppo inquinate, a loro giudizio, da elementi politici di sinistra.
È uno scontro che ora torna di attualità e che rischia di aprire una fase nuova nella lunga e complicata storia dei rapporti tra la Stella Alpina e i governi di Roma.