Gesellschaft | Intervista doppia

I pompieri non abitano più qui

Andrea Lazzarotto e Klaus Nicolodi del corpo permanente VVF sulla mancanza di vigili del fuoco a Bolzano, la crisi nel gruppo italiano e quelle esperienze indelebili.
Lazzarotto, Nicolodi
Foto: Salto.bz

Interno giorno. Sono passate le 11 quando scatta l’allarme sonoro tagliando in due la compatta quiete mattutina. Andrea Lazzarotto, classe 1979, vice-comandante del corpo permanente dei vigili del fuoco di Bolzano, e Klaus Nicolodi, trentenne pompiere - volontario (a Salorno, il comune in cui vive) e di professione -, seduti, durante la nostra intervista, in una sala della caserma di viale Druso, hanno un lieve sussulto. La voce dall’altoparlante scandisce in tedesco e poi in italiano: “Attenzione, esce la terza squadra per ascensore bloccato via Novacella 1N”. Non tocca a loro, ma il riflesso incondizionato è una molla che non perde mai la sua forza elastica. In meno di un minuto il team chiamato all’appello è in strada e mentre si allontana a bordo del mezzo di soccorso, Lazzarotto, ingegnere bolzanino e vigile del fuoco da 10 anni, constata con una certa fierezza: “È un bel lavoro, il nostro, molti dicono addirittura il migliore del mondo, non so, bisognerebbe provarne tanti altri prima di poterlo affermare con certezza, ma sicuramente è tra i più belli”.

… però a Bolzano non sono in molti, sembra, a volerlo fare questo mestiere.

Andrea Lazzarotto: La situazione è questa: siamo sotto di 16 unità. A regime dovremmo essere 149 e siamo solo 133. Speriamo che entro l’anno venga bandito un nuovo concorso (l’ultimo c’è stato cinque anni fa, ndr) e che si presentino in tanti.

Per quale motivo i giovani sono poco propensi ad arruolarsi?

Klaus Nicolodi: Forse per via dei rischi del mestiere. Certo fare il pompiere non è come lavorare in ufficio ed è chiaro che l’intervento pericoloso può capitare, ma facciamo formazione ogni giorno e siamo preparati per ogni evenienza, sappiamo come metterci in sicurezza su un tetto, per esempio, come comportarci durante un incendio, o anche quando fare un passo indietro. Tre anni fa, quando sono diventato vigile del fuoco, una passione che avevo fin da piccolo, è stato come essere accolto in una grande famiglia. Siamo in caserma tutto il giorno, mangiamo insieme, facciamo ginnastica insieme, facciamo formazione insieme. Parliamo di lavoro e del nostro privato, ognuno di noi conosce i punti di forza e le debolezze dell’altro, ognuno sa chi è più abile a fare una determinata cosa o un’altra.

Non possiamo certo spremere le persone, serve un’attenzione massima durante un intervento, bisogna portare a casa il risultato. Il singolo può anche avere difficoltà, ma la squadra ce la deve fare (Andrea Lazzarotto)

Il dato è significativo: ci sono 15mila vigili del fuoco volontari in Alto Adige, figure praticamente iconiche soprattutto nel mondo di lingua tedesca, mentre a Bolzano la pianta organica del corpo permanente è in sofferenza. Quanto c’entra il fattore economico con questo deficit?

Nicolodi: Io sono entrato nel corpo provinciale come autista, indennità a parte mi ritrovo con circa 1.600 euro in tasca a fine mese. Chi è specializzato in un mestiere nel settore privato guadagna di più, è questa la realtà dei fatti, ma va anche detto che noi vigili del fuoco possiamo contare su varie garanzie, la Provincia ci fornisce le stesse tutele dell’INAIL, abbiamo il congedo di paternità, i vantaggi di lavorare su turni.

 

 

Perché gli “italiani” sono scarsamente attratti da questa professione?

Lazzarotto: Prima di tutto la gente conosce poco il nostro lavoro. L’esempio del volontariato poi è indicativo. Se il gruppo linguistico tedesco ha una particolare vocazione per il volontariato nel corpo dei vigili del fuoco, al gruppo italiano non viene nemmeno in mente di considerarla una possibilità, anche perché storicamente gli “italiani” fanno volontariato in altri ambiti, in chiesa, ad esempio, nelle ACLI o in altre associazioni. Molti dei nostri vigili del fuoco (il 70-80% è di madrelingua tedesca) prestano servizio sia nel corpo volontari sia in quello permanente. Su 133 infatti una sessantina ricopre questo “doppio ruolo”, e ciò non è assolutamente mal visto. Fra gli “italiani” invece è più diffuso questo modo di pensare: c’è chi è pagato per fare quel lavoro perciò lasciamo che siano i professionisti a occuparsene. Aggiungo anche che se è vero che con i volontari c’è una sana competizione, va anche sottolineato che senza di loro le attese per gli interventi sarebbero infinite. Non sorprende dunque che la politica abbia verso di loro una grande riconoscenza. Detto questo c’è poi anche un problema legato alla lingua, si fa fatica infatti a trovare chi possiede il patentino C. La nostra intenzione è quella di occupare i posti vacanti con più professioni possibili, cuoco, magazziniere, elettricista, elettrauto, idraulico, carrozziere, eccetera, ma il tedesco un po’ bisogna saperlo.

Nicolodi: In questo mestiere vengono richieste molte cose, il patentino, le patenti di guida, una formazione conclusa in qualche mestiere, l’esperienza, e poi bisogna superare le prove scritte e orali del concorso, le prove ginniche, quella di nuoto, gli esami medici, i test antidroga. Ma il lavoro ripaga molto, e italiano, tedesco o ladino non importa, posti ce ne sono, quando sono entrato io, che appartengo al gruppo linguistico tedesco, ne prendevano 14 e ce l’abbiamo fatta in 12.

Quando torno a casa la sera sono soddisfatto di me stesso, di quello che ho fatto anche se naturalmente non sempre tutto va come dovrebbe (Klaus Nicolodi)

In che misura pesa questa assenza di personale?

Nicolodi: Facciamo gli straordinari ma non sono così facile da gestire, non tutti hanno la stessa formazione perciò non tutti riescono ad assolvere gli stessi compiti. Non tutti, per esempio, possono sostituire chi lavora in centrale, oppure gli autisti di gru e autoscale. È sorprendente come funzionano invece le cose in Germania, dove a volte andiamo per seguire dei corsi. Quello è tutto un altro mondo, hanno il triplo del nostro personale.

Lazzarotto: Non è sempre piacevole per i ragazzi dover fare gli straordinari nell’unico giorno libero a disposizione. Io, in veste di ufficiale, devo garantire il servizio e da contratto si possono imporre al personale fino a 300 ore di straordinario. Stiamo andando però in una direzione preoccupante. Un conto è venire una volta al mese in più un altro farlo in maniera costante. Non possiamo certo spremere le persone, serve un’attenzione massima durante un intervento, bisogna portare a casa il risultato. Il singolo può anche avere difficoltà, ma la squadra ce la deve fare. E il quadro generale non è confortante perché anche una volta passato il concorso la situazione non si risolverà immediatamente. Chi avrà superato tutte le prove infatti dovrà seguire un corso di 6-7 mesi e per la formazione verrà impiegato il personale attuale. In sostanza ci aspettiamo un ulteriore peggioramento prima di un miglioramento, senza contare i pensionandi, i congedi di paternità, chi deve assistere i genitori malati. E i buchi vanno coperti. Il numero minimo per coprire Bolzano è di 17 vigili del fuoco e su questo non si transige.

Cosa direbbe a un aspirante vigile del fuoco indeciso?

Nicolodi: Che se gli piace lavorare con gli automezzi, ha una certa manualità ed è una persona dinamica, non c’è un impiego più bello di questo. Varia sempre e non è mai noioso.

Lazzarotto: E dal punto di vista sociale siamo molto stimati, ben voluti. Per tutti siamo i “buoni”.

 

 

Nicolodi, comè la sua giornata tipo?

Nicolodi: Alle 7 del mattino c’è l’adunata, il capoturno assegna le mansioni interne da svolgere. Si controllano quindi gli automezzi e le attrezzature, poi si procede con i lavori che ci sono da fare in caserma, si fa formazione, e ginnastica. Alle 19 c’è il passaggio delle consegne. Questa è la giornata standard, in caso di intervento ovviamente ogni attività viene immediatamente interrotta. Quando torno a casa la sera sono soddisfatto di me stesso, di quello che ho fatto anche se naturalmente non sempre tutto va come dovrebbe.

C’è un intervento in particolare che le è rimasto impresso?

Nicolodi: Ricordo una volta un bambino di 5 o 6 anni che era rimasto incastrato con un piede in un cancello, piangeva, anche la sorellina e la sua mamma piangevano. Abbiamo subito liberato il piccolo e per distrarlo lo abbiamo fatto giocare con un casco dei nostri. In un attimo, fra le risate, tutto era già passato. Momenti come questi aiutano a sopportare anche le situazioni più brutte, come quando davanti a un incidente in autostrada non si può più far nulla per le persone coinvolte, solo tirarle fuori dalle loro auto.

Quello che più mi impressionò fu la visione dell’interno della macchina, il cd sul sedile, il pupazzo del bambino, sono immagini che rimangono dentro (Andrea Lazzarotto)

Come si affronta il “dopo”? C’è un supporto psicologico su cui potete contare?

Lazzarotto: Cerchiamo di favorire un confronto verbale dopo gli interventi. Abbiamo un gruppo, chiamato “Peers”, che si occupa di trattare quelle situazioni in cui i nostri vigili del fuoco affrontano interventi molto impattanti dal punto di vista psicologico. Il team fornisce questo servizio anche fuori dalla caserma, per i volontari, quando c’è qualche intervento drammatico, come quello di Luttago, per esempio. Da ufficiale posso contare su quei pochi metri di distanza che mi salvano dagli aspetti più cruenti del mestiere, ma vedo come certi eventi colpiscono profondamente le persone, e in particolare, ho notato, quelle con molta esperienza, forse perché a un certo punto il livello si colma.

Nicolodi: Dopo l’intervento cerchiamo di descriverne la dinamica, rielaborare tutto, capire cosa si sarebbe potuto fare e non si è fatto, per imparare un poco di più ogni volta. Capita naturalmente di svegliarsi di soprassalto la notte e avere davanti agli occhi l’immagine della persona che non si è riusciti a salvare.

Lazzarotto: Credo che la cosa più difficile sia quando in un incidente vediamo coinvolte persone della nostra stessa età, e ovviamente i bambini. Ricordo una volta un intervento per un incidente stradale mortale in cui rimase vittima una famiglia che stava tornando dal mare. Quello che più mi impressionò fu la visione dell’interno della macchina, il cd sul sedile, il pupazzo del bambino, sono immagini che rimangono dentro. Ricordo anche la notte in cui il collega Giovanni Costa perse la vita a San Martino in Badia durante la tempesta Vaia. Mi colpì la comunicazione che arrivò in centrale: per il troppo vento i vigili del fuoco volontari non uscivano più dalla caserma, era qualcosa di insolito. Scoprimmo che Costa era stato travolto da un albero. Un episodio terribile. Sono gli attimi in cui ci troviamo completamente scoperti quelli più spaventosi, come durante gli interventi per le fughe di gas, i più insidiosi perché il pericolo non si vede. In quei momenti non possiamo fare altro che rischiare, e sperare anche nella buona sorte.