E ringrazio Dio per l
E ringrazio Dio per l'esistenza di Maurizio. Perché leggendolo imparo sempre qualcosa di nuovo. E nell'apprendere mi sento un po' meno solo e un po' più vivo. (alla faccia del virus)
A questo punto dubbi non possono più essercene. All’epidemia non si sfugge, non tanto dal punto di vista medico, quanto da quello dell’ossessione che riempie ogni interstizio della vita quotidiana, del tambureggiante pressing mediatico che deborda da qualunque strumento di informazione. E allora tanto vale arrendersi e provare a trasformare i cupi pensieri e le paure in un viaggio nei luoghi del nostro presente che ricordano un passato, a volte non troppo lontano, in cui le epidemie furono davvero le macabre regolatrici della storia. Mi permetto, per una volta, di invadere lo spazio del bravissimo Oswald Stimpfl e di proporre un itinerario, del tutto personale, tra alcuni luoghi che, in questa nostra terra, conservano il ricordo di tempi terribili e di umane sensazioni che forse oggi noi, confrontandoci con le nostre irrazionali paure, riusciamo a percepire con maggiore intensità.
Il punto di partenza non può che essere la Cappella di San Giovanni, nella chiesa dei Domenicani di Bolzano e cioè uno dei luoghi d’arte più importanti di tutto l’Alto Adige. Nel ciclo di affreschi giotteschi che copre tutte le pareti un vasto spazio è riservato a un Trionfo della Morte che, come molti dipinti di questo genere, raffigura la Signora con la falce sul dorso di un destriero pronta a mietere vittime. Opere di questo genere, nel medioevo, erano realizzate, non solo per dare forma a precetti religiosi e a precise formulazioni teologiche ma anche come raffigurazioni allegoriche di eventi che avevano portato ad immani stragi di persone: guerre, ma anche e soprattutto carestie ed epidemie. La particolarità del dipinto bolzanino, attribuito dagli studiosi alla mano di un Maestro che ha realizzato anche altre pitture della Cappella, è però conservata nella data in cui presumibilmente fu eseguito: tra il 1330 e il 1340 e comunque alcuni anni prima dell’arrivo in Alto Adige della micidiale Peste nera, nel 1348.
Una particolarità che ha attratto l’attenzione di uno studioso dei rapporti tra clima e avvenimenti storici. Wolfgang Behringer nella sua “Storia culturale del clima” cita diffusamente il dipinto bolzanino come una prova della sua teoria secondo cui l’arrivo della micidiale pestilenza in Europa fu preceduto da un cambiamento climatico abbastanza rilevante che provocò una notevole carestia. Quando il bacillo della peste iniziò a diffondersi ebbe degli effetti ancor più drammatici e funesti perché si trovò di fronte popolazioni indebolite dalla denutrizione e da altre malattie.
Lasciamo la chiesa dei Domenicani, non senza un invito caloroso a volerla visitare per tutti i bolzanini, e sono tanti purtroppo, che l’hanno vista solo dall’esterno. Proseguiamo verso nord, fermandoci un attimo davanti alla casa situata al numero 18 di via Portici. In alto, sulla facciata, una delle finestre è coperta da un quadro, i cui contorni, dal basso, sono in effetti poco intellegibili. Tra le figure dipinte si distinguono due santi: San Rocco e San Sebastiano. Sono tra tutti gli eletti che venivano invocati per allontanare le pestilenze i più noti e i più venerati. Il quadro è un altro segno di devozione e di angoscia al tempo stesso.
Ancora pochi passi e raggiungiamo Piazza della Madonna. Al centro del piccolo giardino che la occupa quasi interamente una colonna marmorea, recentemente restaurata dal Comune, sorregge una statua della Vergine. A molti sfugge una lapide che ricorda come nel 1836, un’epidemia di origine asiatica (die asiatische Cholera) colpisce a Bolzano ben 1191 persone, delle quali ben 216 morirono. Il monumento fu eretto qualche decennio dopo, nel 1909, per ringraziare la Madonna per aver allontanato la mortale epidemia.
Il nostro viaggio prosegue, a questo punto, al di fuori della città di Bolzano. Saliamo verso le pendici del Renon e ci fermiamo appena prima dell’abitato di Auna di Sotto. Sulla sinistra, sopra un piccolo colle che domina l’antica strada romana che per secoli permise ai viaggiatori da e per il Brennero di evitare le insidie dell’orrido di fondovalle, sorge la chiesetta dedicata per l’appunto a San Sebastiano. Una chiesa eretta secoli or sono come presidio contro le epidemie che periodicamente, prima e dopo quella tremenda del 1348, andavano a colpire le popolazioni. Se verso la chiesetta di San Sebastiano si sale nel giorno della festa del Santo, il 27 gennaio, si potrà assistere alla processione che raccoglie tutti gli abitanti della piccola località altoatesina che scendono incolonnati lungo la strada, ripetendo, forse senza rendersene compiutamente conto, una tradizione che affonda le sue radici nei secoli in cui le processioni, alle tante chiese dedicate a San Sebastiano a San Rocco che sono diffuse ovunque, in Alto Adige come in tutta Europa, erano il modo per implorare l’intercessione dei santi perché il flagello delle epidemie fosse allontanato dalle case degli uomini o per ringraziare quando la terribile malattia era scomparsa.
Il nostro viaggio, a questo punto, prosegue verso ovest e la penultima tappa che porta a fermarci alla periferia del paese di Naturno, davanti a una delle chiese romaniche che segnano da oltre un millennio quel territorio. È una delle più famose, per il ciclo di affreschi che conserva, tra i quali quello che racconta della fuga dalle mura di Verona del Vescovo San Procolo, calato dall’alto con una fune in modo tale che quasi sembra che si dondoli su un’altalena. Davanti alla chiesa oggi sorge un piccolo ma interessantissimo museo che conserva molte delle memorie dell’edificio. Tra di essi anche il risultato di alcuni scavi abbastanza recenti compiuti nell’area adiacente alla chiesetta. Qui fu trovato un cimitero, una sepoltura frettolosa di molti cadaveri. Un cimitero della peste.
Siamo quasi al termine. Il nostro percorso attraverso la storia e la memoria delle epidemie che hanno flagellato nel corso dei secoli la terra in cui viviamo finisce dove termina, quasi, anche la Val Venosta. Il grande e bellissimo convento di Monte Maria ci propone ancora una volta un piccolo tesoro di storia e arte con i stupendi affreschi della cripta. Quel che ci interessa però, questa volta, è la memoria conservata negli annali che documentano la storia di questo insediamento religioso. Ci sono, in particolare, le pagine scritte da uno dei monaci, Goswin, che ci ha lasciato una testimonianza vivida e avvincente come un romanzo, dei tempi terribili della Peste Nera del 1348. Il flagello che si abbatte e che uccide una parte consistente della popolazione, i paesi rimasti quasi deserti, le campagne abbandonate, i boschi che si riprendono lo spazio che era stato loro faticosamente strappato nei secoli precedenti. Goswin, seduto nel suo scriptorium ricorda e annota tutto: la disperazione, la paura, la speranza dei sopravvissuti.
E ringrazio Dio per l'esistenza di Maurizio. Perché leggendolo imparo sempre qualcosa di nuovo. E nell'apprendere mi sento un po' meno solo e un po' più vivo. (alla faccia del virus)
Certo che no,perché c'è un comandamento che dice di non nominarlo invano.