Chronik | Stellungnahme

Perché non una foto “normale”?

Die Präsidentin des Vereins GEA Kontaktstelle gegen Gewalt, Christine Clignon, begehrt die Veröffentlichung folgenden Schreibens vom 21. März auf salto.bz.
Polaroid
Foto: Pixabay

Gentile Signora Gasser, gentile Signora Tappeiner,

la settimana scorsa sono stata intervistata da salto.bz in qualità di presidente di GEA Centro Antiviolenza di Bolzano. E’ per me e l’Associazione GEA importante contribuire ad una sensibilizzazione attraverso i media sulla condizione difficile delle donne che vivono una situazione di violenza domestica in questo particolare momento storico.

L'articolo scaturito mi è piaciuto, mentre invece a metà pagina, con molto sgomento, ho trovato una mia foto decisamente fuori contesto per la quale non mi è stata chiesta la necessaria autorizzazione. Nonostante la mia disponibilità a fornire una foto ritratto, salto.bz ne ha scelta una arbitrariamente dal mio profilo Facebook.

Mi vedo quindi sollecitata a portare alla vostra attenzione quanto segue:

1. La diffusione di contenuti multimediali senza il previo consenso dell'autore costituisce reato e deve essere sanzionata. Sul punto è intervenuto il Tribunale di Roma [Trib. Roma sent. n. 12076/2015], il quale ha chiarito, anzitutto, che la pubblicazione di contenuti multimediali coperti da proprietà intellettuale, come foto e video, non comporta la cessione integrale dei diritti d’autore. Si incorre nel rischio di violare le norme in materia di tutela del diritto d’autore [Artt. 87-88 L. n. 633/1941], nonché le norme in materia di tutela della privacy [Art. 96 L. n. 633/41], con la conseguenza di poter essere chiamati anche a risarcire il danno patrimoniale, per il pregiudizio arrecato al prestigio dell’autore ed un uso improprio della foto comportante un danno all’immagine professionale dello stesso.

2. La scelta di salto.bz di individuare arbitrariamente e pubblicare una foto del genere (privata, “ammiccante”, leggera, estetica, carina) per corredare una intervista ad una esperta donna su un tema serissimo che tocca non solo le donne, ma tutta la società, è purtroppo e in modo molto deludente rappresentativa di un giornalismo e in senso più lato di una società  che ancora oggi è intrisa di stereotipi che portano a prediligere una immagine “carina e simpatica” di una donna esperta che parla, che ha un’opinione importante, che  punta il dito su un aspetto della nostra  società molto inquietante, ovvero la gravità della violenza maschile sulle donne.

Mi chiedo in nome di tutte le donne: C’era bisogno di “stemperare” questo messaggio serissimo, non scegliendo – come sarebbe professionalmente corretto – una “normale” foto, magari anche un po’ seria? Un’ immagine di donna seria professionale è forse troppo minacciosa o addirittura noiosa? Immaginiamo una situazione identica con un esperto uomo. Davvero avreste scelto una foto privata totalmente fuori contesto a discapito di una foto in giacca e cravatta?

Trovo molto allarmante il fatto che anche salto.bz, che reputerei comunque un mezzo d'informazione più attento di molti altri (p.e. con la buona inchiesta sui fatti del TC Rungg), in questo modo si renda complice di quella cultura sessista e stereotipata, anche un po’ misogina, che continua a essere la base delle varie forme di violenza maschile sulle donne.

 Rimango pertanto molto perplessa rispetto alla scarsa consapevolezza di un obbligo professionale della vostra categoria ma certa che la mia proposta possa rappresentare un’occasione di crescita per tutte le persone coinvolte e come segno del mio desiderio di una buona collaborazione futura, non farò valere i miei diritti di cittadina offesa da un reato con danni da risarcire economicamente.

Come strada alternativa che sia un risarcimento non tanto per me persona singola, ma simbolicamente per tutte le donne indirettamente offese, chiedo la pubblicazione integrale di questa mia lettera che prima di tutto ricostituisce il mio decoro professionale e in secondo luogo spero possa aprire all’ interno della redazione e pubblicamente una riflessione costruttiva su una possibile narrazione non stereotipata e una maggiore consapevolezza sul ruolo dei media che devono finalmente scegliere se essere “complici” di questa cultura sessista o se attivarsi per svelarla e contrastarla.

In attesa di vostro cortese riscontro invio distinti saluti.

Christine Clignon – Presidente Associazione GEA Bolzano

 

....Fehler sind immer möglich, den Fehler bedauern und sich entschuldigen ist notwendig und richtig. Mehr ist nicht möglich und auch nicht notwendig. Reue und Buse ist überflüssig, dieses Ritual überlassen wir der Kirche

Di., 31.03.2020 - 17:12 Permalink

“Non tutte le donne hanno questa sensibilità”, dice Gasser. Ma non tutte ce l’hanno perché la rappresentazione standard delle donne (carine, simpatiche, ammiccanti anche quando parlano da esperte su temi seri) è talmente radicata nella nostra cultura che la sensibilità su questo tema, semplicemente, non c´è o ce n’è pochissima.
La “normalità“ purtroppo rappresenta le donne con gli occhi della cultura maschilista e patriarcale, che le vuole carine e zitte, cioè innocue. Questa rappresentazione è stata introiettata anche dalle donne stesse, ed é proprio per questo che la sensibilità a cui fa riferimento Gasser non è merce facile da reperire, purtroppo. (Segnalo a questo proposito l’ancora validissimo documentario „Il corpo delle donne“ di Lorella Zanardo del 2009, http://www.ilcorpodelledonne.net/documentario/ )
La prova del nove per disinnescare queste trappole di misoginia di cui sono vittime anche le donne è proprio quella cui fa riferimento Clignon: se fosse stato un uomo, avreste messo lo stesso tipo di foto? Datevi una risposta sincera, come donne e come giornaliste, e avrete scoperto uno strumento che d’ora in poi vi permetterà di smascherare il sessismo embedded anche nelle cose che vi sembrano più innocue e normali. Proprio come la foto di una donna sorridente, simpatica e disinvolta a fianco di un articolo che tratta della violenza sulle donne.

Di., 31.03.2020 - 20:41 Permalink

Sehr geehrte Frau Bottani,
Sie schreiben: "Proprio come la foto di una donna sorridente, simpatica e disinvolta a fianco di un articolo che tratta della violenza sulle donne."

Dieser Artikel und dieses Foto sind mit Einverständnis von Frau Clignon am 15. März 2020 auf STOL erschienen.
Das selbe Thema - dieselbe Interview-Partnerin.
Darf ich mir erlauben zu fragen, ob Frau Clignon und Sie auch bei der Athesia mit derselben Vehemenz interveniert sind?
Oder gibt es bei Ihre Anklage "medialer Genderstereotypendarstellung" unterschiedliche Wahrnehmungen?
Wer mit der Moralkeule winkt - vor allem gegenüber einer jungen engagierten Chefredakteurin - der oder die sollten wenigstens im eigenen Handeln konsequent sein.

Mi., 01.04.2020 - 15:34 Permalink

Einem konservativen Medium kann man so was noch verzeihen, aber doch nicht einem links-grünen pro-feministischen Medium wie salto. Anscheinend kann man sich stückweise gegen Kritik und Angriffe immunisieren, wenn man herausstreicht man sei eine Frau und das gegenüber - ich umschreibe es mal - eben eine Nicht-Frau ist. Doch kommen die Militanten und jene die reine Lehre bis aufs letzte Komma beherrschen, müssen die Moderaten dran glauben.
Die Geschichte hat zig Beispiele, doch möchte ich wohl Pierre Vergniaud nennen, der die Hinrichtung seiner politischen Weggefährten miterleben konnte, bevor er selbst an der Reihe war, um auf das Schafott zu steigen und seine letzten Worte sprach:
"Bürger, es steht zu befürchten, dass die Revolution wie Saturn nach und nach all ihre Kinder verschlingt und am Ende den Despotismus mit allem seinem Unheil gebiert."
Mal sehen wie es hier weitergeht.

Mi., 01.04.2020 - 19:51 Permalink

Gentile Franceschini,
a me a tantissime altre donne la differenza tra la foto Salto e la foto Stol salta agli occhi anche senza avere fatto corsi di educazione all’immagine. Provo a schematizzarne alcune caratteristiche: A) foto Salto: figura intera, colori caldi, figura dinamica (gesto sbarazzino del piede sul muro), gonna al ginocchio e stivali, sorriso simpatico (denti visibili), tema dell’intervista: violenza sulle donne; B) foto Stol: figura mezzo busto, colori freddi, figura ferma (nessun gesto visibile), scialle che copre le spalle, sorriso “di cortesia” (denti non visibili), tema dell’intervista: violenza sulle donne, professione, vita privata.

Proseguo rispondendo punto per punto alle sue osservazioni, che riporto in tedesco e virgolettate:

“Dieser Artikel und dieses Foto sind mit Einverständnis von Frau Clignon am 15. März 2020 auf STOL erschienen”.
Come dice lei stesso, per la foto Stol, Clignon ha dato espresso consenso alla pubblicazione: per la foto su Salto, invece, no. Questo basterebbe a chiudere la questione perché ognuna è evidentemente libera di dare consenso alla pubblicazione delle foto personali che preferisce.

“Das selbe Thema - dieselbe Interview-Partnerin”.
Ma i temi Salto e Stol non sono gli stessi: il tema dell’intervista Salto era esclusivamente sull’aumentato rischio violenza domestica sulle donne in tempi di reclusione forzata. I temi dell’intervista di Stol vertevano, oltre che sul ruolo di Clignon come presidente Gea, anche sulla sua professione e vita privata.

“Darf ich mir erlauben zu fragen, ob Frau Clignon und Sie auch bei der Athesia mit derselben Vehemenz interveniert sind?”
Athesia who?

“Oder gibt es bei Ihre Anklage "medialer Genderstereotypendarstellung" unterschiedliche Wahrnehmungen?”
L’unica differenza nella percezione della rappresentazione delle donne nei media è tra chi la vede perché ci ha riflettuto e chi no (ma può sempre iniziare a farlo).

“Wer mit der Moralkeule winkt - vor allem gegenüber einer jungen engagierten Chefredakteurin - der oder die sollten wenigstens im eigenen Handeln konsequent sein.”
Non è assolutamente una questione di morale, perché la morale non è mai stata dalla parte delle donne. È solo una questione di sguardo, di abitudine alla decostruzione delle rappresentazioni stereotipanti e discriminanti. Tutto questo può partire solo ascoltando quello che le donne hanno da dire su loro stesse per intavolare una discussione costruttiva. Che è quello che tutte noi ci auguriamo.

Mi., 01.04.2020 - 21:02 Permalink
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gorgias

Wir brauchen ein Komitee für unfeministische Umtriebe nach dem Vorbild von Senator Joseph McCarthy, um patriarchales Gedankengut aufzuspühren und zu tilgen. Dieses Komitte könnte man beim Landesbeirat für Chancengleichheit für Frauen installieren und all jenen Medien, die deren Auflagen nicht erfüllen die öffenltichen Förderungen streichen. Aber bevor das geschieht, gibt es öffentliche Anhörungen, die Live im Internet gestreamt werden, wo Beschuldigte sich rechtfertigen können oder wenn man sich als schuldig bekennt gleich Buße tun. Denn so uneinsichtig wie man hier auf salto ist, kann es wirklich nicht weitergehen.

Mi., 01.04.2020 - 02:33 Permalink

Schade, ich finde es eine vergebene Chance und die Antwort von Lisa Maria Gasser hinterlässt einen bitteren Beigeschmack.
Es ist zwar lobenswert, dass sich Salto für den Faxbau entschuldigt hat - gehört ja auch zur guten Kinderstube dazu. Jedoch sollte gerade Medienschaffenden klar sein, dass Medien ein Bild von der Welt schaffen und vermitteln.
Das E-Mail von Clignon wäre eine Möglichkeit gewesen sich diesem Thema auf verschiedenen Ebenen zu widmen, beispielsweise genderstereotypen Frauendarstellungen in Werbung, Nachrichten und Entertainment. Dies ist mit Sicherheit bereits in Vergangenheit passiert, da wir jedoch alle immer wieder in dieses Fettnäpfchen treten, hätte die Salto-Redaktion einen kleinen Beitrag zur Minderung der medialen Genderstereotypendarstellung beitragen können.

Mi., 01.04.2020 - 09:07 Permalink

Manifesto la mia piena vicinanza e solidarietà con le parole di Christine Clignon che ha sollevato un aspetto molto importante seppur evidentemente sottovalutato, il che è piuttosto preoccupante, soprattutto da parte di chi fa giornalismo. E sono rimasta sopresa nel leggere la risposta della direttrice Lisa Maria Gasser relativamente al fatto che tali parole non rispecchiano la sensibilità di tutte le donne e che per questo motivo sia stato pretenzioso da parte di Clignon voler parlare a nome di tutte. Qui emerge a mio avviso un errore fondamentale. Si parla a nome di tutte le donne perchè la discriminazione sessista che passa anche attraverso le immagini (e ne sono purtroppo uno dei veicoli più classici, più subdoli e per questo più pericolosi) riguarda TUTTE LE DONNE. Non si tratta di riconoscersi o meno in una foto sul piano personale, soggettivo, che può accadere come anche no, ma si tratta del messaggio che una specifica foto vuole trasmettere e che in questo caso riproduce uno stereotipo vecchio quanto la discriminazione di genere. A taluni può sembrare un'immagine innocua, tra tante, e può anche esserlo, nel privato. Non quando viene scelta a rappresentare un ruolo pubblico. Il fatto che il tema trattato sia la violenza di genere desta maggiore sorpresa, ma la questione di fondo non cambierebbe anche se si fosse parlato di un altro argomento. Rimane il fatto che quando si guarda la foto di una donna, tanti e tante purtroppo ancora preferiscono vedere confermato il proprio sterotipo perché, più o meno inconsciamente, li e le rassicura. Ed è proprio su questo aspetto che abbiamo la responsabilità di metterci in discussione.

Mi., 01.04.2020 - 13:20 Permalink

Care colleghe e cari colleghi,
quanto sollevato dalla presidente della Gea Christine Clignon, che ringrazio, è tema assai serio e dirimente.
Come categoria dovremmo augurarci di essere sempre sollecitate e sollecitati a riflettere su come raccontiamo la violenza contro le donne e le donne in generale. Soprattutto quando a sollevare interrogativi sono professioniste impegnate quotidianamente nel contrasto del fenomeno.
E nel racconto intendo comprendere anche l'uso che facciamo delle immagini. L'aspetto iconografico del nostro lavoro non è affatto secondario. Foto e filmati hanno una potenza comunicativa molto forte e immediata e se usati male rischiano non solo di perpetrare contenuti sessisti ma anche di vanificare, o indebolire, articoli ben scritti, come nel caso in questione.
La commissione pari opportunità della Federazione Nazionale della Stampa è impegnata da tempo a promuovere l'uso corretto di immagini e parole quando si parla e scrive di donne, soprattutto attraverso la formazione professionale. Ci siamo dotate come giornaliste e giornalisti di uno strumento come il Manifesto di Venezia che indica in modo puntuale come raccontare la violenza di genere.
Non si tratta di mettere in discussione la libertà di espressione. Piuttosto utilizziamo questa occasione come spunto di riflessione sul senso del nostro lavoro e sulla responsabilità che ci compete nel contrastare un fenomeno drammatico come quello della violenza contro le donne.
Monica Pietrangeli
Coordinatrice Commissione pari opportunità Fnsi

Mi., 01.04.2020 - 18:42 Permalink