“Andrà tutto bene!” Lo diciamo più che altro contando sul potere evocativo delle parole. Se sarà davvero così non lo sappiamo con certezza. E inoltre stiamo già pagando un prezzo (anzi un acconto) che nessuno, poche settimane fa, avrebbe immaginato. Se però anziché al futuro decliniamo la frase al passato, possiamo affermare che sì, finora è andata bene!
Non per tutti, intendiamoci. Non per la generazione che ha vissuto l'ultima guerra mondiale e ne ha riportato traumi pesanti. E neppure per i giovani, intendendo per “giovani” coloro che hanno ancora gran parte della vita davanti: non possiamo dire quale futuro li aspetta e dunque meglio astenersi da un bilancio. Se non un bilancio, possiamo tentare una previsione per chi vive, poniamo, in Nigeria, in Irak, in Bangladesh, in Venezuela o in altri paesi devastati da fame, malattie, disastri ambientali, carestie, violenza, dittature e altre calamità: ha scarse probabilità che gli vada bene. Così l'aborigeno in Australia, il tibetano in Cina (e la stessa gran parte dei cinesi), il senegalese in Italia e via dicendo. L'elenco è lungo...
Noi figli dell'Europa occidentale nati nel dopoguerra una prova capace di rivoltare l'esistenza non l'avevamo vissuta. E dunque, fino al Covid-19 è andato tutto bene! Possiamo dirlo, a questo punto. Per la maggior parte della nostra vita abbiamo avuto pace, libertà e benessere. Guardiamoci intorno, limitandoci all'Europa e al suo mare: in Siria infuriano bombardamenti e scontri da nove anni; dura da sei anni il conflitto tra Ucraina e Russia nel Donbass; nei Balcani, sull'altra sponda dell'Adriatico, venticinque anni fa accadevano cose che fa orrore ricordare, né l'area si può dire, ad oggi, pacificata. Insieme alla pace noi figli dell'Europa occidentale abbiamo avuto la libertà, condizione risparmiata a tanti paesi martoriati da regimi corrotti e sanguinari, ai cinesi e ai tanti popoli dominati da quella che fu l'Unione sovietica, apparentemente senza conflitti dalla fine della seconda guerra – salvo correre in soccorso di paesi “amici”, come il Tibet, l'Ungheria e la Cecoslovacchia.
Noi figli dell'Europa occidentale nati nel dopoguerra una prova capace di rivoltare l'esistenza non l'avevamo vissuta. E dunque, fino al Covid-19 è andato tutto bene! Possiamo dirlo, a questo punto
Di libertà ne abbiamo avuta in tale misura, da permettere a una parte minoritaria della società (ma con grande forza d'agitazione) di tramare contro di essa, teorizzando rivoluzioni e dittature: per fortuna senza successo. E infine abbiamo goduto di una lunga fase di crescita economica che ha permesso, se non a tutti, alla grande maggioranza della popolazione di migliorare le proprie condizioni di vita, grazie a uno stato sociale che ti segue, assiste e sostiene dalla culla alla bara: privilegio risparmiato per esempio ai cittadini degli Stati Uniti, che pure hanno avuto libertà e crescita economica – la guerra l'hanno per così dire esportata in altri paesi.
Noi abbiamo vissuto se non nel migliore dei mondi possibili, nel migliore dei mondi che si siano storicamente dati. Che quella condizione non potesse durare ancora a lungo era evidente già da tempo. In questo senso, il Covid-19 è interpretabile come segno dell'interdipendenza e della fragilità dei sistemi. Il nostro modello di produzione e consumo causa cambiamenti climatici; l'agricoltura industriale distrugge biodiversità, che a sua volta è un fattore di stabilità degli ambienti; lo sfruttamento e il saccheggio dei paesi “terzi” spinge milioni di persone a migrare; la rivalità economica tra gli stati porta a guerre e conflitti per il controllo delle risorse.
Il migliore dei mondi storicamente dati poteva esistere grazie ad altri mondi che ne garantivano l'ordine e ad altri ancora che contribuivano a pagarne i costi. Sicché non è che possiamo vantarci poi tanto, noi figli dell'Europa del dopoguerra. Limitiamoci a riconoscere che abbiamo avuto una gran fortuna, finora.