“Il potere logora chi non ce l’ha”, sentenziava l’arguto Belzebù rendendo immortale un aforisma da altri coniato. Vero nella gran parte dei casi, dove chi non ha il potere rosica. Ma il potere può anche logorare chi ce l’ha, se questo potere non è stato conquistato ma ereditato senza combattere per averlo.
Prendiamo il potere della giunta provinciale targata Svp, ad esempio. Con una maggioranza relativa più che rassicurante, un partner di coalizione giocoforza ininfluente – destra o sinistra è uguale – un budget da amministrare che il resto d’Italia può solo sognare, e una popolazione dal senso civico superiore alla media, è alquanto semplice portare avanti la normale amministrazione. È nell’emergenza invece, che si vede lo spessore di un politico. Messi sotto pressione, presidente e assessori della Stella Alpina hanno mostrato i loro limiti. Il che ci può stare, sono essere umani. Il problema è che non hanno mai ammesso di avere dei limiti, reagendo con la classica arma di quei politici (a tutte le latitudini, sia chiaro) che, inadeguati ad affrontare una situazione complicata, vanno in confusione e non vogliono ammetterlo: l’arroganza.
Senza disseppellire – sono stati scritti autorevoli volumi al riguardo – le varie vicende che hanno coinvolto gli integerrimi amministratori della Svp, prima, durante e dopo Kaiser Luis, che hanno interpretato – e continuano a farlo – l’autonomia come il diritto di fare ciò che si vuole e di considerare questa terra alla stregua di un feudo, credo che il picco della presunzione, della faccia tosta e dell’arroganza sia stato raggiunto durante questa emergenza da Covid-19, caratterizzata da una montagna di strafalcioni, passi falsi, omissioni e contraddizioni che in altre realtà avrebbero portato come minimo alle dimissioni. Qui invece non è mai arrivata che dico una parola di scuse, un’ammissione di colpa, ma neanche il minimo dubbio, il coraggio di dire forse ci siamo sbagliati. Mai. Ecco qualche esempio, giusto per capire meglio di cosa stiamo parlando.
Inizia il festival delle ordinanze “confuse”
Cominciamo dall’ordinanza n. 8 del 12 marzo, quella che ordinava ai non residenti di tornarsene a casa perché non avevano diritto al medico di base e quindi rappresentavano un peso per il sistema sanitario altoatesino. Dopo la bufera mediatica e i primi sindaci che già andavano casa per casa a cacciare gli “stranieri”, Kompatscher prima nega l’innegabile – ovvero dice che si tratta di una semplice raccomandazione quando nell’ordinanza c’è scritto chiaramente che si “ordina” – e poi procede alla doverosa rettifica senza ritenere necessario scusarsi o ammettere l’errore, suo o di chi gli scrive i testi.
I 32 decessi “dimenticati”
Un fatto decisamente più grave dal punto di vista umano accade il 31 marzo. Nei bollettini quotidiani della Provincia improvvisamente appaiono i decessi nelle case di riposo, e così il conteggio delle vittime schizza da 78 a 110. Trentadue persone morte nel silenzio più assoluto, mentre la Provincia si vantava già di aver contenuto il numero delle vittime (di cui peraltro non sapremo mai il numero esatto). Nella conferenza stampa del 1° aprile ci si aspetta almeno un’ammissione di colpa da parte dell’assessore alla sanità. Thomas Widmann invece si limita a leggere freddamente un comunicato con le cifre e spiega che c’è stato un problema tecnico nella comunicazione dei decessi tra ufficiale sanitario e comuni. Parla di un gap di 24-48 ore, peccato che i dati non fossero stati comunicati da settimane… Scuse nei confronti dei parenti delle vittime ignorate? Non pervenute.
Mascherine sì, no, forse
Il giorno dopo viene fuori un caso analogo a quello dei non residenti, anzi più clamoroso: ma le mascherine sono un obbligo o dovere civico? Tra il 2 e il 7 aprile il grado di confusione di Kompatscher tocca il picco con la bellezza di quattro ordinanze nel giro di cinque giorni, sempre sullo stesso argomento. Succede che il 2 aprile in conferenza stampa il Landeshauptmann raccomanda alla popolazione di indossare una protezione naso-bocca, ma nell’ordinanza scrive che “si ordina”. In tanti glielo fanno notare ed ecco che il 3 aprile esce la rettifica: non più obbligo ma raccomandazione. Ammissione di colpa? Macché, solo errata interpretazione da parte del popolo. Passano due giorni e il 6 aprile altra marcia indietro: le protezioni tornano ad essere obbligatorie, stavolta veramente. Però nell’ordinanza c’è un’aberrazione: si impone l’uso a partire da due anni… Anche stavolta qualcuno gli fa notare che è un po’ complicato imporre un bavaglio a un pargoletto e quindi, il 7 aprile, altro dietrofront: l’obbligo vale dall’età scolare. Ammissione di errore? Scuse? Figuriamoci.
Scoppiano gli scandali
Facendo un piccolo passo indietro, andiamo al vasto capitolo riguardante mascherine e dintorni. Si inizia il 21 marzo con l’articolo su salto.bz che porta a galla la vicenda dei 300mila scaldacollo acquistati senza gara dalla Provincia presso l’azienda dei cugini dell’assessore Widmann. Si continua il 6 aprile con l’altro filone, ben più corposo, sul materiale acquistato in Cina tramite l’intermediazione della Oberalp. Vi risparmio la storia: leggetevi gli articoli, anzi le inchieste, di Christoph Franceschini, il quale scoperchia una serie di errori e di omissioni impressionanti che richiamano l’attenzione non solo della popolazione e dei partiti di opposizione ma anche di carabinieri, Finanza e Procura, tuttavia Kompatscher e Widmann continuano imperterriti a difendere se stessi e il direttore generale Zerzer. Mai il sospetto di un errore, mai una possibile ammissione di responsabilità: sono gli altri che sbagliano, che non capiscono, che ci vogliono fare fuori.
Già, sono gli altri che sbagliano. Il governo italiano, in primis. Prendiamo la questione della passeggiata genitori-figli. Mentre il premier Conte autorizza un solo genitore, nell’ordinanza del 2 aprile Kompatscher dice che possono uscire entrambi i genitori, in quanto conviventi. Il ragionamento non fa una grinza, peccato che le ordinanze provinciali e sindacali – per legge – possono discostarsi da quelle nazionali solo se più restrittive. Ma chi se ne frega, noi siamo autonomi.
Un’altra testimonianza del grado di confusione arriva con l’ordinanza n. 20 del 13 aprile, dove si legge che è “consentito lo spostamento all’interno della provincia per raggiungere il proprio nucleo familiare”. Ma la felicità legata alla prospettiva di riabbracciare fratelli e nonni dura poco, giusto il tempo per sfornare l’ennesimo chiarimento: macché parenti, ci riferiamo a coniugi che vivono in posti diversi e coppie non sposate, che possono ricongiungersi ma poi non devono più muoversi. Chiaro, no? Al solito la colpa è di chi non sa leggere le ordinanze…
Qui comandiamo noi!
Il 16 aprile, con la gente esasperata tra normative nazionali, provinciali e comunali, e le forze dell’ordine sull’orlo di una crisi di nervi perché non sanno quali applicare, Kompatscher diffonde un comunicato stampa dal tono che fa impallidire il celodurismo di bossiana memoria: “In modo inequivocabile, nel corso della videoconferenza odierna con il commissario del governo e i responsabili di tutte le forze dell’ordine a livello provinciale, è stato chiarito che in provincia di Bolzano le ordinanze del presidente della Provincia devono essere applicate prima di ogni altra disposizione”. Capito il messaggio? Qui comandiamo noi.
L’insostenibile voglia di essere i primi della classe
La conferma arriva dalla famosa legge dell’8 maggio, varata in fretta e furia – a dispetto della normativa nazionale che imponeva di aspettare il 18 maggio prima di procedere agli allentamenti – più per il gusto di fare i primi della classe che per una reale necessità. La dimostrazione che sia così arriva dalle perplessità di tantissimi imprenditori, che preferiscono rinviare l’apertura in attesa di vederci più chiaro nel marasma normativo, anche perché in alcuni settori la legge provinciale è lacunosa per non dire inesistente (vedi piscine).
Ma il problema grosso è un altro. Essere i primi significa anche non avere termini di confronto (le linee guida Inail usciranno il 13 maggio), per cui bisogna scrivere qualcosa e sperare in bene. E infatti, quando il 17 maggio escono le linee guida concordate tra governo e Regioni, vengono fuori corpose distorsioni.
Nella gastronomia, ad esempio: nel resto d’Italia vale la distanza interpersonale di un metro (due metri in Alto Adige) sia tra i tavoli che tra le persone al tavolo o al banco: una differenza non da poco, anche perché se un ristoratore altoatesino vuole scendere sotto i due metri deve dotarsi di costose pareti divisorie. Inoltre il personale di servizio “italiano” non deve indossare mascherine FFP2 (come quello altoatesino) ma semplici mascherine chirurgiche. Ma anche nel commercio ci sono differenze sostanziali: la norma statale non prevede nell’area della casse dispositivi di protezione, ma semplicemente mascherine o visiere. E ancora: negli alberghi dell’Alto Adige il personale di servizio a contatto con gli ospiti deve utilizzate maschere del tipo FFP2 senza valvola, mentre nel resto d’Italia il personale dipendente è tenuto all’utilizzo della semplice mascherina in presenza dei clienti.
Misure più stringenti d’Italia? “Qui vale la nostra legge!”
Tirato per la giacchetta da tutte le associazioni di categoria, Kompatscher però non vuole saperne di uniformare le regole a quelle nazionali: vorrebbe dire ammettere di avere preso una cantonata. Quindi il 19 maggio emette un’ordinanza che conferma la legge provinciale: “Non importa quali siano le disposizioni sulla sicurezza emanate dallo Stato: in Alto Adige vige la legge provinciale. Questa è una grande conquista e noi siamo sempre convinti che per i contatti sotto i due metri sia necessario portare la mascherina”. E per avvalorare la sua opinione si fa aiutare dall’assessore al turismo Arnold Schuler, che dichiara: “Sarebbe assurdo far indossare una mascherina all’aperto sotto i due metri e permettere in un ristorante di sedersi a un metro di distanza”.
Marcia indietro, compagni. E chi ha speso inutilmente?
Ragionamento che non fa una grinza. Una coerenza che dura una settimana (un tempo congruo per non far pensare che si tratti di una marcia indietro bensì di una scelta ponderata), perché il 26 maggio la Giunta decide di stravolgere la legge dell’8 maggio e di portare la distanza di sicurezza nei ristoranti a un metro e mezzo. Una logica assurda, se pensiamo a quanto affermato da Schuler: a questo punto infatti è lecito chiedersi come mai all’esterno, dove il contagio è meno probabile rispetto agli ambienti chiusi, rimangono i due metri di distanziamento? Mistero.
Ad ogni modo, gli esercenti che avevano adattato i locali in base alle misure precedenti, devono rifare tutto da capo. Ma non solo. Chi si era dotato di costose mascherine FFP2 per i propri dipendenti, adesso può metterle da parte: non servono più. La Giunta infatti – bontà sua – ha deciso di consentire l’uso di semplici mascherine chirurgiche al personale di bar, ristoranti e alberghi. Ammissione di colpa da parte di Kompatscher e soci per aver ecceduto con le misure di prevenzione? Non pervenuta.
Docce e spogliatoi chiusi, l’assurdo è servito
Un’altra bella prova di confusione arriva con l’ordinanza n. 28 diffusa alle 22.02 di venerdì 22 maggio e che regola l’attività nei centri fitness in vista dell’apertura prevista per il 25 maggio. A parte l’aberrazione sull’utilizzo obbligatorio dei guanti da sport (cosa sono?), Kompatscher vieta l’utilizzo di docce e spogliatoi, cosa che aveva già fatto con le piscine. Lasciamo stare tutti gli aspetti igienici e sociali connessi all’impossibilità di farsi la doccia dopo aver fatto sport. La domanda è una sola: ma gli esperti del Governo, dell’Inail e dell’Istituto superiore di sanità che permettono di usare docce e spogliatoi, sono tutti idioti e potenziali assassini? Possibile che non abbiano capito che gli esperti più bravi e intelligenti si trovano in Alto Adige, e che bisogna guardare a loro per buttare giù le linee guida?
Sempre in tema di piscine, c’è un’altra questione che sfugge a ogni logica e che ha fatto arrabbiare tanti gestori di strutture balneari: le vasche per bambini. La normativa nazionale ne consente l’apertura, anzi permette anche l’utilizzo degli scivoli previo monitoraggio. In Alto Adige no, con somma delusione delle famiglie. C’è una logica in questo? No, perché allora dovrebbero essere chiusi anche i parchi gioco. Se parliamo di assembramento di bambini, infatti, almeno nell’acqua clorata il virus muore. Se invece parliamo del rischio delle mamme a bordo vasca che chiacchierano, allora ci vorrebbe un vigile in ogni parco giochi per scongiurare lo stesso pericolo…
Brennero chiuso: Austria cattiva? No, Italia debole
Cambiamo argomento senza cambiare la sostanza, ovvero l’interpretazione soggettiva dell’autonomia abbinata all’arroganza. L’Austria rifiuta di aprire le frontiere con l’Italia? Bene, invece di prendersela con il compagno di Watten Seba Kurz per lo sgarbo, la Svp se la prende con l’Italia perché non fa pressione su Vienna. Capito il giochino, no? Se l’Austria avesse aperto, sarebbe stato un successo di Achammer e co., siccome non apre è colpa di Roma. A giocare su due tavoli si vince sempre insomma, come peraltro insegna da anni il marketing provinciale che sfrutta l’identità multipla dell’Alto Adige/Südtirol: noi siamo tedeschi e montanari per i turisti italiani, pizzaioli e mediterranei (sic!) per i germanofoni.
Un doppiogiochismo che la politica applica già da tempo, il famoso “blockfrei” per cui l’appoggio si dà a chi offre di più o comunque a chi conta di più al momento. E che negli ultimi anni si è arricchito di uno spostamento a destra per contenere l’erosione di voti da parte di Klotz, Pöder e compagnia autodeterminante, culminato con la clamorosa dichiarazione del 30 maggio: non ci permettete di bypassare l’Accordo di Milano per quest’anno? Allora ve la vedete voi con i secessionisti, dice Kompatscher mandando un chiaro avvertimento al governo centrale. E infatti, puntualissimi, la notte stessa sulle montagne nostrane sono tornati i fuochi fuori stagione.
Altra storia: medici e infermieri discriminati nel bonus emergenza. Anche qui, nonostante la rivolta dei sindacati di settore, nessuna ammissione di colpa ma solo un malinteso, perché – dice il direttore Zerzer – si tratta solo di un documento provvisorio, arriveranno tanti altri soldi per tutti. Intanto però il 5 giugno i sanitari hanno inscenato un flashmob al parco della stazione inviando una lettera di fuoco a Kompatscher e Widmann.
Immuni sudtirolese, il dietrofront di Widmann
Il 7 giugno un’altra bella marcia indietro, stavolta sull’app Immuni. Succede che il 2 giugno l’assessore Widmann finisce in prima pagina sul quotidiano Athesia di lingua italiana tuonando che Roma è lenta e che il potente Sudtirolo svilupperà una propria app bilingue. “Ho già incaricato l’Asl di guardarsi in giro perché non possiamo aspettare”, aveva dichiarato con ferrea convinzione. Bene, cinque giorni dopo si viene a sapere che non se ne farà nulla. Ma la notizia non viene data con la stessa rilevanza della precedente, bensì relegata in mezza colonna sul settimanale “Zett” e successivamente in quattro righe sul quotidiano italiano.
Non aprite quell’ascensore (microfoni in agguato)
Chiudiamo con la “partecipazione” (sarebbe meglio dire un cameo) di Kompatscher e Widmann alla trasmissione “Report” di Rai3, che l’8 giugno ha dedicato al Trentino-Alto Adige un ampio servizio comprendente, tra l’altro, le questioni scaldacollo e materiali cinesi. Beh, la fuga nell’ascensore di Widmann di fronte al microfono dell’inviata e la sua intimazione “mi stia distante!” (paura del contagio o delle domande?) sono destinate a rimanere in eterno nel “blob” di questa amministrazione come espressione della distanza siderale tra una classe politica arrogante e la società civile. Non fa migliore figura il presidente, che rifiuta l’intervista dicendo che tanto è stato detto tutto nelle conferenze stampa della Provincia. Già, le conferenze stampa virtuali… Dove i giornalisti non sono ammessi, dove le domande inviate tramite chat sono selezionate (essendo troppe per i 10 minuti scarsi concessi alla stampa dopo 20 minuti di autocelebrazioni da parte della Giunta) e ridotte al lumicino, dove le risposte degli interessati sono evasive perché tanto non c’è contraddittorio e quindi possono dire ciò che vogliono.
E qui finisco, ma sicuramente non finiscono le gesta dei nostri politici.
Conclusioni in libertà
L’autonomia di questa terra è nata per difendere una minoranza linguistica, per salvaguardare una cultura, un popolo vessato dal fascismo. Per motivi seri insomma. Autonomia non significa quindi che io mi alzo la mattina e faccio quello che mi frulla per la testa solo perché “io” posso farlo. Autonomia non significa che un bel giorno io decido che in Alto Adige si gioca a calcio in 12 anche se nel resto del mondo si gioca in 11. Autonomia non significa che io apro i negozi prima di te senza alcun motivo logico (la situazione epidemiologica, ad esempio, è sempre stata peggiore di tante altre realtà italiane che però si sono adattate alle normative nazionali) ma solo perché mi gira così, perché voglio dimostrare di avere più potere di te, Stato, o magari perché mi è arrivato un ordine dall’alto. Autonomia non significa soprattutto avere la faccia tosta di pensare, e di dire, che tutto quello che si fa qui è giusto e quello che si fa altrove è sbagliato. Per principio, perché noi siamo unti dal Signore e perché ci sentiamo l’ombelico del mondo quando invece siamo una misera goccia d’acqua nel mare dell’umanità.
Parafrasando il titolo di un celebre film (e semmai Sorrentino dovesse incappare in questo scritto, spero mi possa perdonare), la politica di questa Giunta provinciale, al pari ahinoi di tante altre, incarna a pieno titolo la grande arroganza.