“Lo smart working ha un futuro”
La novità arriva da Roma: il “diritto alla disconnessione” per chi è in smart working. Le commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera hanno infatti approvato un emendamento M5s al decreto Covid che riconosce “alla lavoratrice o al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati”.
Ma questa modalità alternativa di lavoro come è stata vissuta finora dagli altoatesini? A tracciare un quadro è l’Afi-Ipl nell’edizione primaverile 2021 del suo Barometro. “Il 46% dei lavoratori e delle lavoratrici del pubblico impiego ultimamente era in smart working, quota che scende al 31% per gli occupati nel privato”, evidenzia la vicedirettrice dell’Istituto Silvia Vogliotti, che ha elaborato i dati insieme alla tirocinante Gaia Peressini. “Non si evidenziano differenze di genere, mentre era in lavoro da remoto il 40% di chi ha un contratto fisso e il 15% di chi ha un contratto a tempo determinato”, spiega Vogliotti.
Rispetto alle professioni, gli smart workers sono soprattutto dirigenti, professionisti altamente qualificati e addetti a lavoro di ufficio, con quote superiori al 50% di lavoratori da remoto in tutti e tre i casi. Molto meno diffuso il lavoro da remoto nelle attività commerciali (il 19% degli intervistati), nei servizi (18%), nonché negli operai specializzati (14%), mentre nessun operaio qualificato o non qualificato dichiara di aver lavorato ultimamente da remoto.
Lo smart working di domani
Parlando di fase post-emergenza per gli intervistati tre sono gli elementi fondamentali per lavorare da remoto: a pari merito al primo posto la possibilità di ottenere premi di risultato e produttività anche se si lavora da remoto e di fare formazione (entrambi elementi che hanno ottenuto un giudizio medio pari a 8,5 punti su 10), mentre sul terzo gradino del podio si è piazzato, a pochissima distanza, la possibilità di avere comunque momenti di confronto in presenza con colleghi e capi (8,4 punti). Gli altri elementi hanno ottenuto comunque punteggi di poco inferiori ai primi tre classificati, con valutazioni oscillanti tra 8,3 e 7,2 punti. Il pagamento del buono pasto è l’elemento che è stato ritenuto meno decisivo per lavorare da remoto, con un giudizio medio pari a 5,6 punti.
Chi ultimamente ha lavorato da remoto, nel 55% dei casi vorrebbe fare smart working per 2 o 3 giorni a settimana. Il 16% degli smart workers attuali invece dichiara che non vorrebbe più lavorare da remoto (quota che è del 14% nel privato e del 20% nel pubblico impiego). Fra i dirigenti il 27% vorrebbe lavorare un giorno alla settimana da remoto e il 18% due giorni. Per il 43% dei dipendenti pubblici (rispetto al 26% dei dipendenti del privato) 2 giorni a settimana da remoto sarebbero l’ideale.
La stragrande maggioranza di chi non ha lavorato da remoto dichiara che il proprio lavoro non si può svolgere a distanza (85% degli intervistati), mentre assolutamente minoritarie sono le altre motivazioni, tra cui che non gli è stato permesso (3%), la presenza del capo era necessaria (2%), per motivi familiari legati alla dimensione della casa o alla presenza di altre persone in famiglia (2%), o per altri motivi (8%).
Lo smart working ha un futuro anche dopo la pandemia. Perché questo accada, però, le condizioni devono essere quelle giuste (Dieter Mayr)
Secondo il presidente IPL Dieter Mayr “lo smart working ha un futuro anche dopo la pandemia. Perché questo accada, però, le condizioni devono essere quelle giuste. L'indagine ha dimostrato che i dipendenti in smart working desiderano che il loro lavoro sia valutato ‘alla pari’, come se stessero lavorando in presenza in azienda. Da qui le richieste di non essere esclusi dai premi di risultato e dalla formazione, nonché che vengano riconosciuti anche gli straordinari. Inoltre - prosegue Mayr - è importante alternare la presenza e il lavoro da casa, perché i contatti sociali sono importanti per un buon lavoro. Sono quindi necessarie regole chiare, concordate a livello di contrattazione collettiva. Per quanto riguarda la sicurezza e la salute sul lavoro, è ancora necessario lavorare sulla sensibilizzazione, poiché questi aspetti non devono essere sottovalutati nemmeno nel lavoro da casa”.
Un importantissimo potenziale
Un importantissimo potenziale del lavoro a distanza e' ridurre il traffico dalle strade, le occasioni di inquinamento. Occorrerebbe creare il piu' presto possibile sinergie tra gli attori coinvolti, aziende, istituti, Comuni e Provincia per sfruttare i massimi benefici di sistema dal lavoro a distanza.
Una questione fondamentale da risolvere e' quella tecnologica. L'Europa, guarda caso, e' impreparata e i maggiori fornitori di servizi IT per conferenze a distanza sono tutti USA. Con i relativi problemi di protezione dei dati e loro accesso. Dove una volta occorreva installare microspie, adesso si ottiene tutto in perfetta qualita' copiando un file audio/video, se si ha accesso al server giusto. Anche questi sono problemi fondamentali e in qualche modo vanno affrontati e risolti.
Riguardo "smart", non sarebbe meglio lasciare perdere una terminologia anglosassone che al momento significa tutto e nulla e dove l'alternativa in italiano e in tedesco e' piu' chiara? Albert Einstein ed Enrico Fermi lavoravano "smart" anche quando erano in ufficio.
Se il lavoro da remoto ha un
Se il lavoro da remoto ha un futuro, ma lo aveva anche prima del covid, quello che non ha futuro è il cambiamento che dovrebbero avere molti nell' attività lavorativa. Ovvero nel cercare sempre di apprendere e migliorare. E invece molti,i più , si limitano a fare il passacarte, pensando alla pensione. E alcuni di essi fanno carriera senza averne le competenze , ma solo per simpatie.