L’installazione di un cancello all’imbocco meridionale di via della Vigna ha riportato agli onori della cronaca un tema, quello del blocco progressivo di ogni possibilità di passaggio all’interno delle stradine interpoderali nel quartiere di Gries, a Bolzano, da diversi anni ormai fonte di polemiche vigorose. Della questione politica si discute accanitamente in queste settimane. Per ora i tentativi di far recedere gli esponenti del consorzio che raggruppa gli abitanti dell’area privata dai loro propositi sono rimasti senza esito, ma si tratta ancora.
Non è forse inutile, intanto, per inquadrare meglio l’intera questione, risalire indietro nel tempo e rievocare, sia pur per sommi capi, la storia di quella fetta della conca bolzanina passata agli atti con il nome di “cuneo verde”.
La denominazione risale all’inizio degli anni 70 quando fu inserita come concetto della variante al piano regolatore e indica un triangolo di verde agricolo collocato tra la via Vittorio Veneto e la via Druso e che si incunea per l’appunto sino quasi a lambire l’asse di via duca d’Aosta.
Per capire la ragione per cui questa fetta di territorio venne dichiarata intangibile rispetto allo sviluppo urbanistico della città occorre però tornare indietro di quasi mezzo secolo, negli anni 30, nel periodo in cui il regime fascista decise di attuare i suoi programmi di italianizzazione dell’Alto Adige e di Bolzano in particolare attraverso un colossale piano di sviluppo del tessuto urbano. L’intero territorio al di qua del torrente Talvera fu rapidamente espropriato per permettere la costruzione della città monumentale disegnata da Marcello Piacentini e da altri architetti. Era una zona perlopiù occupata da terreni agricoli con i relativi fabbricati, ma, dove oggi sorgono il monumento e piazza della Vittoria, si era sviluppato negli ultimi decenni un quartiere di piccole villette. Alcune furono demolite non molti anni dopo da loro costruzione. Un’altra operazione eguale fu compiuta a mezzogiorno del fiume Isarco, dove i frutteti dell’Agruzzo furono sostituiti con le fabbriche della zona industriale.
Ora bisogna avere ben chiaro che questa operazione fu vissuta dalla popolazione sudtirolese come un vero e proprio stupro politico, come una violenza inaudita, aggravata dal fatto che essa tendeva ad alterare i rapporti demografici tra i gruppi linguistici. È un sentimento di rigetto che si trascinò anche oltre la fine del fascismo. Nel secondo dopoguerra l’espansione della città proseguì senza sosta. Vennero realizzate nuove strade e fu impostata una politica che prefigurava una città di 150.000 abitanti, estesa urbanisticamente su tutto il territorio della conca.
Contro questa prospettiva scoppiò violentissima la contestazione del mondo politico sudtirolese. Quella del blocco dello sviluppo urbanistico di Bolzano, in particolare della costruzione di nuovi alloggi popolari fu al primo posto nel cahier de doleances che Silvius Magnago, nel 1957, presentò al governo italiano dalla tribuna di Castelfirmiano. La crescita urbanistica e demografica del capoluogo era vista come il fattore chiave di quella Todesmarsch che avrebbe portato i sudtirolesi a diventare minoranza nella loro stessa terra e che andava assolutamente bloccata. Un’istanza politica che divenne realtà operante dal momento in cui, con il secondo Statuto, la competenza urbanistica passò in capo alla Provincia e venne depositata nelle mani dell’arcigno Alfons Benedikter. Il punto politico era ed è semplice: l’espansione della città doveva bloccarsi, soprattutto verso ovest, con il mantenimento, per l’appunto del cuneo verde e con il divieto di costruire oltre via Resia e verso sud, ai confini della zona industriale.
La cosa, si badi bene, non passò affatto in maniera indolore. Le polemiche, in una città che aveva bisogno di nuove case in maniera pressante, furono durissime, ma il principio, perlomeno in un primo periodo, venne mantenuto saldo. Da allora è passato quasi mezzo secolo e qualche cedimento sul fronte della rigida difesa dei terreni agricoli che circondano Bolzano c’è stato. Si sono potuti realizzare, ad esempio, i quartieri di Firmian e Casanova. La zona produttiva si è allargata considerevolmente verso sud e, in tempi più recenti è caduto anche il veto su quella fetta di terreno dove oggi sorge il nuovo quartiere di Prati di Gries. Se ci si fosse arrivati allora si sarebbe evitato il madornale errore urbanistico di un ospedale regionale girato verso la montagna, invece che collegato, come logica avrebbe voluto, col prolungamento di via Resia oltre l’incrocio con via Druso.
Il blocco urbanistico di Bolzano ha avuto come effetto non secondario quello di contribuire in modo determinante a mantenere il costo della casa nel capoluogo bolzanino ad un livello tra i più alti d’Italia e a provocare, di conseguenza, la fuga di migliaia di abitanti che, non potendo o non volendo piegarsi al passaggio attraverso queste forche caudine immobiliari, hanno scelto di trasferirsi nei comuni della periferia, Laives, Appiano e Terlano solo per fare alcuni esempi, dove invece il blocco urbanistico non c’è stato. La conseguenza immediata e diretta è stata l’aumento vertiginoso di coloro che lavorano in un ufficio o in un’azienda a Bolzano ma abitano altrove con il conseguente fenomeno quotidiano del pendolarismo di massa che si tenta in qualche modo, ma per ora senza molti risultati, di arginare.
Terminato l’excursus, torniamo al nostro “cuneo verde” che, se si eccettua l’urbanizzazione delle aree lungo via Druso di cui abbiamo già fatto cenno ha superato indenne il passaggio di questo mezzo secolo. Da un decennio circa, però, è divenuta sempre più marcata la tendenza dei suoi abitanti, riuniti in un consorzio, a limitare progressivamente il transito lungo le stradine che attraversano la loro proprietà. Si è iniziato con le sbarre per impedire il traffico veicolare, per bloccare poi anche il passaggio dei ciclisti e per arrivare, ora, all’apposizione di cancelli che impediscono totalmente il passaggio a chi non è dotato del magico telecomando che li apre. È una situazione abbastanza anomala, in contrasto con quella dei terreni agricoli lungo la valle dell’Adige da Merano a Salorno, dove le interpoderali sono da sempre aperte al passaggio soprattutto di podisti e ciclisti in cerca di percorsi all’aria aperta.
La spiegazione va cercata probabilmente in un fenomeno che ha mutato in modo sostanziale la natura del “cuneo” che da zona agricola si è trasformato in un quartiere residenziale vero e proprio. I vigneti e i frutteti ci sono ancora, ma fanno da corona a residenze signorili, più volte ampliate nel corso del tempo ed anche, fatto più recente, a qualche edificio che con l’attività agricola non c’entra per nulla. Assomiglia sempre di più a quei centri residenziali di lusso, circondati da mura invalicabili, che sono propri, anche in Italia, delle grandi città. Possono entrarvi, superando i controlli di sicurezza ai cancelli, solo i residenti o coloro che dimostrino di avere un invito o un lavoro da svolgere. Agli ingressi del “cuneo verde” bolzanino ci sono per ora solo i cancelli. Per i bodyguard staremo a vedere.