Gesellschaft | 26 anni dopo

“L’Europa non è mai rinata a Sarajevo”

A 26 anni dal massacro di Srebrenica cosa resta del messaggio di pace e convivenza tra i popoli chiamato da Alexander Langer? L’intervista alla nipote e autrice Sabina.
Alexander Langer
Foto: Twitter

Distinguere il pacifismo di bandiera dai costruttori di pace. Per Sabina Langer, lo zio Alexander apparteneva alla seconda categoria. Ieri (12 luglio) dopo 26 anni trascorsi dal massacro di Srebrenica, avvenuto l’11 luglio 1995,  una manciata di giorni dopo la tragica scomparsa del pacifista sudtirolese, la nipote e autrice interviene alla Camera dei Deputati con un reading del libro “Quei ponti sulla Drina - Idee per un’Europa di pace”. Curato assieme ad Edi Rabini, il testo rappresenta un’antologia di scritti di Alexander Langer sulla ex Jugoslavia tra il 1989 e il 1995. A Sabina, invece, il compito di dirci cosa ne resta dopo tutti questi anni di quel messaggio di pace chiamato da chi, in fondo, sognava solo un’Europa diversa.

 

salto.bz: Sabina, qual è il significato, anche politico se vogliamo, di portare attraverso i suoi scritti Alex Langer in Parlamento in concomitanza dell'anniversario del massacro di Srebrenica, una ferita aperta da 26 anni e avvenuto, tra le altre cose, a pochi giorni di distanza della morte di Alexander stesso ?

Sabina Langer: Il senso più profondo di omaggiare Alex Langer nell'istituzione più importante per la legislazione democratica italiana è quello di ricordare che la memoria è fondamentale per costruire il futuro, essere consapevoli da dove veniamo per conoscere la direzione che dobbiamo intraprendere. È stata inoltre un’occasione inportante per parlare con il presidente della Commissione Affari Esteri (Piero Fassino ndr), un uomo, un politico che si spende per l’allargamento dell’Unione Europea e l’inclusione dei paesi balcanici. Tutto questo è fondamentale per continuare, come direbbe forse lo stesso Alexander, a fare ciò che è giusto.


Lei ha curato, in collaborazione con Edi Rabini, la raccolta di scritti che Langer ha prodotto sulla ex Jugoslavia tra gli anni 1989 e 1995, che ha presentato ieri alla Camera. Riprendendo il titolo “Quei ponti sulla Drina - Idee per un’Europa di pace”, qual era questa idea di Europa che Alexander allora chiamava e come invece la riportiamo oggi, nel 2021?

L'intento di questo libro era quello di mostrare l’evoluzione del pensiero di Alexander durante il conflitto dei Balcani. Lui voleva e sosteneva la necessità di un corpo civile di pace, persone formate e istruite per perseguire questo scopo e favorire il dialogo internazionale. E questa è la prima proposta concreta di un grande pacifista quale era. La seconda, altrettanto fondamentale, era quella che chiedeva che l'Europa dovesse essere in primis un'istituzione politica anziché economica. E questo doveva necessariamente passare per l’inclusione di quei paesi che oggi chiamiamo Balcani occidentali e che prima appartenevano all’ex Jugoslavia questa era fondamentale per combattere i nazionlismi violenti che si stavano instaurando. Quando è arrivato, Alexander ha visto che queste proposte non erano state prese in considerazione in maniera tempestiva ed è arrivato, assieme al Verona Forum, a chiedere fortemente l’intervento di una forza internazionale .

Questa però è stata una delle affermazioni più controverse di Alexander Langer. L’intervento di una forza armata, come poteva essere la NATO e come si è vista in seguito operare, è uno degli aspetti che gli è stato più contestato soprattutto dagli stessi ambienti pacifisti da cui lui stesso proveniva...

Perchè bisogna saper distinguere la differenza tra il pacifismo di bandiera, ovvero tra chi scende in piazza contro la guerra e chi invece pensa a costruire la pace. Alexander, e con lui tutto il Verona Forum, è stato uno di quelli che provato a costruire la pace in maniera non violenta e favorendo il dialogo. È arrivato a quel punto anche grazie all’appello Selim Bešlagić, l’allora sindaco di Tuzla: “Se state a guardare vi schierate con gli aggressori”, gridava.  Secondo Alexander e molti altri era necessario intervenire per non essere dalla parte di chi andava a massacrare in maniera cieca e incondizionata solo sul principio dell’appartenenza etnica., ma questo non era un intervento che andava ad interferire con la sovranità di uno stato, ma serviva solo a scongiurare il massacro di un popolo.

Quello che Alexander Langer ci diceva ventisei anni fa oggi non ci sembra più tanto profetico ma ci appare invece come straordinariamente realistico


“L’Europa nasce o muore a Sarajevo” ammoniva Alexander Langer. Oggi la capitale bosniaca, in seguito alla crisi migratoria lungo la rotta balcanica, è ritornata nuovamente sotto i riflettori di coloro che ancora oggi vogliono portare la luce sulle violazioni dei diritti umani e che invocano un intervento di una comunità internazionale che oggi come ieri si volta da un’altra parte. Quali sono dunque, dopo 26 anni, le sorti di questa Europa?

Come abbiamo appena detto, Alexander chiedeva un intervento dell’Europa per fermare la guerra in corso e aprire ai paesi dei Balcani. Questo appello è valido ancora oggi: o si riesce a costruire uno spazio euromediterraneo che abbia uno scopo comune, che in primis deve essere accogliere chi viene in cerca di una vita migliore in Europa, o allora sì si crea di nuovo quell’aut aut in cui si dice nuovamente “l’Europa nasce o muore a…” .Oggi ci troviamo in una situazione nettamente diversa rispetto a 26 anni fa ma alcuni aspetti sono così drammaticamente simili: l’Europa sta negando diritti, si sta girando nuovamente da un’altra parte, sta facendo finta che la Bosnia Erzegovina e il confine orientale non sia affar suo. Forse sarebbe più corretto dire che no, l’Europa non è mai rinata a Sarajevo. 

E cosa resta di Alexander Langer dopo questi ventiesei anni?

Dopo tutti questi anni di Alexander rimane ancora molto. A Sarajevo, dopo che gli è stata intitolata la cittadinanza onoraria, è stato inaugurato da qualche giorno un sentiero sui monti della capitale dedicato alla sua memoria. In collaborazione con la Fondazione Langer e l’ambasciata italiana in Bosnia stiamo inoltre cercando di realizzare un’ulteriore raccolta di scritti bosniaci. Le persone in Bosnia provano infatti stupore quando vengono a conoscenza di quello che Alexander ha fatto nel corso della sua vita. Il fatto che lui sia morto all’inizio di luglio ha fatto sì che i bosniaci non abbiano colto in pieno il suo impegno e quindi è come se lo scoprissero per la prima volta quando vengono a contatto con il suo pensiero. E questo è molto bello, è molto bello vedere quanto sia attuale tutto quello che è stato in grado di fare. Per quanto riguarda altre iniziative ricordiamo, oltre alle iniziative sparse in tutta Italia anche il ponte a Bolzano. Qui è significativo vedere che dopo ventisei anni ci sia ancora, o finalmente, la voglia di riconoscere il suo conterraneo. È una persona che è stata definita visionaria, ma forse era semplicemente qualcuno che aveva voglia di vedere solo un po’ aldilà del proprio naso. Quello che Alexander Langer ci diceva ventisei anni fa oggi non ci sembra più tanto profetico ma ci appare invece come straordinariamente realistico.
 

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Hartmuth Staffler Di., 13.07.2021 - 23:52

Die Realitätsverweigerung des Alexander Langer, den ich gut gekannt und wegen seiner Eloquenz bewundert habe, hat schon in Südtirol als politische Richtlinie vollkommen versagt. Am Balkan natürlich noch viel mehr.

Di., 13.07.2021 - 23:52 Permalink