Un resistente vero
Solo contro Hitler. Franz Jägerstätter, il primato della coscienza (Emi), in libreria da domani (2 settembre), è il nuovo libro del giornalista e scrittore bolzanino Francesco Comina dedicato alla figura del pacifista austriaco che si rifiutò di arruolarsi nella Wermacht perché considerava il nazismo totalmente incompatibile con l’essere credente. Alla sua figura ha dedicato un film, uscito nel 2019, il geniale regista americano Terrence Malick (nella foto di apertura, un fotogramma del film, ndr).
“Credo che Dio mi abbia dimostrato con sufficiente chiarezza che devo decidermi se essere nazista o cattolico”, scrive profeticamente Jägerstätter nel gennaio 1938, pochi mesi prima del referendum sull’Anschluss, che vede il contadino di Sankt Radegund, paesino dell’Alta Austria, l’unico abitante a votare «no» al referendum che sancisce l’unione dell’Austria al Terzo Reich (approvato con il 99,71% dei suffragi su scala nazionale). La biografia di Comina indaga la stagione giovanile di Franz Jägerstätter, un giovane amante del divertimento, che vive successivamente una profonda conversione religiosa in concomitanza con il matrimonio con Franziska. Appassionandosi alla lettura dei Vangeli e sulla scia dell’insegnamento di san Francesco d’Assisi (Franz diventa Terziario francescano), matura pian piano la convinzione che il regime nazista sia profondamente anticristiano, radicalmente nemico della dignità umana.
Tutto questo, in solitudine, in direzione contraria a una Chiesa – quella austriaca – che si mostrò, invece, a partire dai suoi leader fino a quasi tutti parroci di campagna, prona e arrendevole verso il nuovo potere nazista. “Dobbiamo resistere a queste tenebre” afferma Franz Jägerstätter non risparmiando critiche alla Chiesa: “Secondo me chi ha chiaro che certe azioni sono sbagliate, ma le fa lo stesso, solo per evitare pericolo e privazioni, ha colpa maggiore di chi agisce per dovere e in fondo è convinto che quello che fa non sia del tutto sbagliato”. Arrivato a maturare la convinzione che il cristiano non può uccidere, tanto più in nome di uno Stato dispregiatore della dignità umana come quello nazista, Franz Jägerstätter scrive: “Credo che sia impossibile dire che è un reato o un peccato rifiutare, come cattolici, di prestare oggi il servizio militare. Anche se ciò comporta la morte, non è forse più cristiano offrire se stessi in sacrificio piuttosto che, per salvarsi la vita, dover prima uccidere altri, che hanno comunque diritto di vivere?”.
La scelta radicale di Franz Jägerstätter lo porta all’arresto nello stesso carcere in cui sarà rinchiuso Dietrich Bonhoeffer, il celebre teologo con il quale sono notevoli le affinità di pensiero e di riflessione sulla matrice del nazismo, nonostante Franz fosse un semplice contadino. Decapitato il 9 agosto 1943 a Tegel, Franz Jägerstätter lascia la moglie Franziska e le tre figlie, che hanno dovuto attendere molti anni prima che la figura del marito e del padre venisse riscattata dall’oblio e dalla reticenza come “traditore”. A questo contribuì fortemente l’elogio che il famoso monaco americano Thomas Merton fece nei suoi libri di Franz Jägerstätter, figura di cristiano radicalmente evangelico lodato e ammirato anche dall’attivista americana Dorothy Day, che ne pubblicò sul periodico da lei fondato, The Catholic Worker, una biografia a puntate. Franz Jägerstätter fu beatificato nel 2007 grazie anche all’interessamento di Benedetto XVI, che visse a pochi chilometri dal suo paesino.
Comina ha avuto un ruolo fondamentale nel rendere nota in Italia la figura di un altro martire del nazismo, il sudtirolese Josef Mayr Nusser con il libro L’uomo che disse no a Hitler. Josef Mayr-Nusser, un eroe solitario (Il Margine). Affiancato dallo storico Leopold Sterurer, l'autore presenterà il libro appena uscito all'Est ovest di Merano sabato 18 settembre alle 18. Gli abbiamo chiesto di fare un parallelo tra la figura di Josef Mayr-Nusser e Franz Jägerstätter. Ecco il suo contributo.
La storia di Franz è davvero paradigmatica. È la prova della verità e dell’autenticità dell’umano che si misura con la menzogna e l’orrore del disumano. Non è necessario essere intellettuali, artisti o grandi pensatori per capire da che parte stare nello scontro storico fra il bene e il male. Mentre gli altri (compresi gli intellettuali, i funzionari pubblici, i vescovi...) facevano finta di non vedere e non sapere, lui vedeva e sapeva. Vedeva i treni che si muovevano carichi di condannati, sentiva le voci che gli raccontavano dei programmi di eutanasia coatta per i deboli e sperimentava, giorno dopo giorno, la violenza e la supponenza del potere. Tutto ciò strideva con gli insegnamenti del vangelo, a cui si abbeverava: «Beati i puri di cuore, gli umili, gli operatori di pace, i deboli...».
"Che cos’è bene e che cosa è male?", si chiedeva incessantemente nelle ore notturne. Fare il bene significava stare dalla parte della vita contro la morte e dunque ripudiare le leggi ingiuste, anche se imposte da uno stato, rifiutare l’odio contro gli altri, anche se imposto dall’alto. Perché la bontà non ha a che fare con l’intelletto ma con il sentimento e con l’azione, come ci ha ricordato la filosofa ungherese Ágnes Heller, sopravvissuta all’Olocausto: "Le persone buone esistono e sono intorno a noi, sono persone miti, umili, che aiutano l’altro e lo proteggono. Preferiscono subire un torto piuttosto che farlo agli altri. Non fanno pubblicità, non vogliono articoli su giornali, agiscono di fronte all’ingiustizia senza chiedere nulla in cambio. Perché sono convinte che fare il bene sia la natura dell’uomo maturo, consapevole; provano per il fratello che soffre un’empatia profonda, quasi avvertissero il suo dolore sulla propria pelle".
Una vicenda di una radicalità evangelica incredibile. Per certi versi simile a quella di Josef Mayr-Nusser (entrambi laici, padri di famiglia, obiettori di coscienza) ma con dinamiche molto differenti. Franz era un contadino di umilissime origini, con la quinta elementare - nonostante il suo straordinario interesse per la lettura e per la ricerca di un'etica che lo facesse muovere in quello scenario privo di etica - mentre Josef era ragioniere e aveva una formazione di un certo livello. Franz era radicalmente solo in quella storia (aveva al suo fianco la moglie Franziska Schwaninger, morta a cento anni dopo aver vissuto la gioia della beatificazione di suo marito nel 2007) piena di masse che inneggiavano al Führer mentre Josef era a capo di una organizzazione giovanile della chiesa e poteva contare su un certo appoggio delle autorità ecclesiali della diocesi di Trento di cui Bolzano era parte a quel tempo. Franz viveva in un paesino di 500 anime nella zona dell'Alta Austria, a pochi chilometri dal paese natale di Hitler (Braunau) quindi in una zona molto marginale e molto periferica anche rispetto alla circolazione di idee e movimenti critici, mentre Josef era comunque dentro un capoluogo di provincia dove c'era il passaparola. E poi l'esito della vicenda di Franz con la sentenza di condanna a morte per ghigliottina a Berlino, ossia nel centro della vita politica del Reich, dopo essere stato mesi nella prigione di Tegel proprio nello stesso periodo in cui vi era detenuto il grande teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, anche lui ammazzato nell'aprile del '45. Josef morì di stenti sul treno per Dachau dopo esser stato condannato dal tribunale di Danzica. Due storie di fedeltà al vangelo e di amore per la vita, molto convergenti ma dalle dinamiche diverse.
L’8 agosto 2015 ebbi il piacere di raccontare la vicenda di Josef Mayr-Nusser nella casa di Franz Jägerstätter a Sankt Radegund insieme a Leopold Steurer e a Giampiero Giardi, lo studioso di Trento che ha fatto conoscere la vicenda di Jägerstätter in Italia traducendo gli scritti e pubblicando alcuni libri. Da più di trent’anni la diocesi di Linz, in collaborazione con le realtà ecclesiali di base come Pax Christi, organizza i giorni del ricordo intorno alla data della morte di Franz con incontri, dibattiti, proiezioni di film, e solitamente una marcia per la pace che si conclude presso la tomba accanto all’ingresso della chiesa. Fu un momento emozionante. La Stube dove Franz mangiava con Franziska, le figlie e la madre, è ancora come si vede nelle foto storiche: il tavolo con la panca intagliata, tipica dell’arredamento austriaco, le tre finestre con gli scuri verdi, la porta subito sotto il balconcino in legno. In un ripiano a ridosso della finestra campeggia la foto di Franz illuminata da candele bianche. Appena fuori della porta ci sono il prato verde e la panchina dove giocavano le bambine, e dove Franz e Franziska, non appena potevano rimanere da soli, si sussurravano parole d’amore.
Nello scrivere questo libro ho chiuso gli occhi. Poi ho cominciato a scrivere calandomi nel personaggio. Franz mi si è parato dinanzi più vivo che mai, più attuale che mai. Le sue parole non dicono solo l’assurdità della guerra e la maledizione di un potere meschino e idolatrico. Parlano di veri tà, di dignità, di autonomia, di rispetto, di solidarietà e di amore. Senza remore. Senza difese. Franz ha radicalizzato l’autenticità del messaggio di fede: la forza nonviolenta di una coscienza permeata dei valori più nobili, quelli che provengono da una lettura non mediata delle Scritture. Come è sempre stato nella storia cristiana della profezia.
Non è un caso che oggi, più di ieri, Franz prorompa come un luminoso punto di riferimento. Egli è sempre più una pietra d’inciampo per questo tempo divenuto arido, compresso, incapace di proiettare sul suo orizzonte le grandi utopie che hanno segnato la storia del dopo- guerra. Nei meandri di una società liquida, parcellizzata, sottoposta a processi di erosione della comunicazione vera, reale, e intrappolata in un oceano di informazioni virtuali fini a sé stesse («la malattia mortale del nostro tempo», come la definiva Danilo Dolci ancora negli anni Ottanta), ecco che Franz emerge come cristiano maturo, con i piedi ben piantati per terra e lo spirito inarcato verso l’alto, un uomo che si carica sulle spalle il destino di un intero popolo e di una chiesa addormentata, un marito e padre di famiglia premuroso ma libero di esprimere il proprio dissenso, un osservatore attento di quello che sta accadendo, che decide di essere partigiano del bene e di esserlo totalmente, senza sconti, senza ripensamenti.
Non meraviglia, dunque, che un regista di fama come Terrence Malick abbia deciso di uscire nelle sale cinematografiche di tutto il mondo con un film sulla vita di Franz Jägerstätter (Hifden Life, La vita nascosta) proprio in questo tempo così ambiguo e così fragile. Perché Franz è un uomo per tempi incerti, un resistente vero, un militante della Parola, che alza la voce quando il rischio corre sul filo, che agita la coscienza quando si profilano i giorni della paura e dell’esposizione, e non sta alla finestra a guardare che la burrasca cessi e torni finalmente la quiete dopo la tempesta. (Francesco Comina)
Zwei grausame Weltkriege
Zwei grausame Weltkriege haben die Völker Europas zerfleischt; seit über 75 Jahren leben wir nunmehr im Frieden miteinander. Lasst uns nicht vergessen wie viele Opfer dieser Frieden gekostet hat, wie wertvoll er ist, und tun wir andauernd unser Möglichstes um ihn zu schützen.
Antwort auf Zwei grausame Weltkriege von Karl Trojer
Weise Worte!
Weise Worte!