Economy | Welfare

Una questione di equità e di giustizia

Il Governo dà uno schiaffo ai circa 4 milioni d'italiani con pensioni oltre 2.100 euro.
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Mano sfondo nero
Foto: (c) pixabay

Il 3 gennaio l’Inps ha messo in pagamento le pensioni rivalutate del 7,3% in base ai dati sull’inflazione comunicati dall’Istat. Questo vale però solo per le pensioni fino a 2.100 euro che hanno avuto una rivalutazione piena. Quella percentuale rispecchia però la crescita dei prezzi rilevata su un paniere molto vasto che comprende i consumi di una famiglia tipo.

Se prendiamo unicamente l’inflazione che grava sul “carello della spesa” il 7,3% non copre il potere d’acquisto perso nel 2022. Il conto energetico e gli alimentari, che rappresentano il grosso delle spese sostenute dai pensionati e dalle famiglie con redditi bassi, nei mesi scorsi sono infatti esplosi. Va anche ricordato che a causa della confusione e dei ritardi nell’approvazione del bilancio, chi supera i 2.100 euro lordi mensili deve munirsi di pazienza, perché la rivalutazione arriverà nei prossimi mesi.

Per chi vive in Alto Adige le cose vanno anche peggio. Da noi la perdita causata da un’inflazione che da sempre supera quella nazionale, ha fatto in modo che il valore della pensione sia il più basso tra tutte le regioni italiane. Questo penalizza i nostri anziani in quanto l’ammontare dell’assegno e la sua futura rivalutazione seguono il criterio applicato su tutto il territorio nazionale.

E' sicuramente positivo che alle pensioni basse, (fino a 2.100 euro lordi), seppur con i limiti citati sopra, il Governo conceda una rivalutazione al 100%. Nulla da eccepire anche per il fatto che le pensioni al minimo hanno una rivalutazione ulteriore, anche se si cerca di vendere aumenti sostanzialmente risibili, come un risultato eccezionale.

Purtroppo in Italia non esiste una chiara divisione tra la previdenza, che è frutto di contributi versati, e l’assistenza, che dovrebbe pesare sul bilancio pubblico. Le pensioni fanno tutte parte dello stesso calderone, invece che prevedere una contabilità separata. Questo non permette di evidenziare in maniera trasparente il costo delle pensioni, che per definizione sono frutto di una contribuzione versata nell’arco della vita, dalle prestazioni sociali.

Sono proprio quest’ultime a creare problemi secondo il Comitato di vigilanza dell’Inps. Tra queste rientrano anche le integrazioni al minimo, oltre agli assegni sociali e alle altre maggiorazioni. Sono prestazioni che non sono legate ai contributi versati, ma che vanno a chi non poteva costruirsi un assegno previdenziale adeguato, come tante donne che hanno svolto il lavoro a favore della famiglia.

Ma in un Paese con un’alta evasione contributiva ci saranno anche quelli che hanno preferito evadere una volta raggiunto il criterio minimo per avere diritto a un assegno previdenziale. Visto che chi ha una pensione che supera i 2.100 euro lordi è di fatto chiamato a fare solidarietà a chi prende di meno, sarebbe interessante almeno capire la dimensione di questo fenomeno. 

Dico questo perché la rivalutazione delle pensioni prevista nella Legge di Bilancio del governo Meloni rappresenta una vera “punizione” per i pensionati sopra i 2.100 euro di pensione lorda, con una perdita consistente di potere d’acquisto nell’arco dei prossimi 10 anni. Questi sono tra l’altro quelli che hanno pagato di più in tasse e contributi e spesso non hanno neppure il diritto di accedere a molte prestazioni sociali o ai bonus erogati in questi mesi. Ma pure da pensionati continuano a contribuire oltremisura al bilancio dello Stato.

Il vero scandalo è che, secondo i pareri espressi dallo stesso ufficio parlamentare di bilancio, la manovra “modifica per il biennio 2023-24 le regole sull’indicizzazione delle pensioni e utilizza i risparmi così ottenuti a copertura di altri provvedimenti”. In effetti nel 2023, con un’inflazione al 7,3 per cento, questa modifica comporta una minore spesa di oltre 2,1 miliardi, che secondo le previsioni nel 2024 aumenterà a 4,1 miliardi.

L’ ufficio poi precisa che: “Per le quote delle pensioni calcolate con le regole contributive (destinate a crescere nel tempo), il rallentamento o il congelamento anche temporaneo della rivalutazione è da considerarsi alla stregua di un’imposta. Se viene indebolita la regolare indicizzazione ai prezzi anno per anno, alla fine il pensionato riceve, come rendita, meno di quanto gli spetterebbe. Le regole sulla rivalutazione dovrebbero quindi rimanere il più possibile stabili”.

Qualche esperto auspica anche, che la Corte Costituzionale possa accorgersi che siamo di fronte a una ingiustizia nei confronti di pensioni che in larga parte non sono certamente “d’oro”.

Penso che proprio queste valutazioni ci diano ragione e che abbiamo fatto bene a protestare. Ora dobbiamo proseguire su questa strada.

La piena rivalutazione fino a 2.600 euro, che qualcuno vendeva come un ottimo risultato, si è dimostrato una bufala: passare dall’80% all’85% sull’intero importo della pensione significa recuperare pochi spiccioli, tra l’altro tolti a chi supera questo importo. Far passare chi ha una buona pensione come un privilegiato da spennare è inaccettabile.

Un sindacato serio non può accettare questa logica, soprattutto se 2,1 miliardi escono dal sistema previdenziale, mentre ai lavoratori autonomi che guadagnano 85.000 euro (altro che 2.100 al mese) si concedono benefici fiscali attraverso la flat tax. È in primo luogo una questione di giustizia.

Invece che prendere sempre i soldi a chi ha onestamente lavorato tutta la vita pagando non pochi contributi per una vecchiaia tranquilla, si potrebbero recuperare almeno in parte i 100 miliardi evasi ogni anno. Ma su questo fronte si preferisce strizzare l’occhio ai soliti noti aumentando il limite per i pagamenti in contanti a 5.000 euro e puntando sulla “pace fiscale”. 

Non neghiamo che ci siano anche interventi da valutare positivamente, ma molte norme sono nate per soddisfare almeno in minima parte le promesse elettorali fatte ai propri elettori.

Alfred Ebner