Culture | L'ideologia del decoro che spiana le costruzioni fisiche e sociali delle città

Periferia, degrado, RUSPA!

Tre autori, tre contributi, un solo filo rosso che li lega: qualche citazione per provare ad individuarlo, in vista della conferenza a Bolzano
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Questo articolo è un insieme di citazioni, una miscela di spezzoni in continuità di contenuto piuttosto che narrativa, di tre contributi, due libri e un articolo di giornale. Perché le riflessioni dei tre autori sono intersecate, legate da un filo rosso: l’ideologia del decoro.

Proprio questo filo rosso è il fulcro della conferenza organizzata dall’associazione culturale DADA ROSE, “Periferia, degrado, RUSPA!”, organizzata per Mercoledì 9 Marzo presso il Liceo Classico Carducci, ore 20:30. Una serata all’insegna dell’analisi della dialettica del decoro, che usando come una clava il “degrado” e la presunta mancanza di “sicurezza” si sta imponendo anche nel capoluogo sudtirolese. La ruspa colpisce anche Bolzano, spianando luoghi fisici e sociali: per questo dobbiamo impararne il linguaggio, per opporci e contrastare queste “necessità condivise”, spacciate per bisogni assoluti ma che nascondono gli interessi di pochi.

Ogni paragrafo si conclude con un numero, che chiarisce il contributo da cui proviene. Sono piccoli spoiler, che assolutamente non rendono il merito dovuto alle opere da cui sono tratti ma vogliono esserne solo un assaggio, un antipasto per la conferenza e le letture. Alla serata di Mercoledì sarà possibile acquistare i due libri presentati e “La danza delle mozzarelle. Slow food, Eataly, Coop e la loro narrazione” di Wolf Bukowski.

/1 La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee, Valerio Renzi, Edizioni Alegre 2015
/2 Al palo della morte. Storia di un omicidio in una periferia meticcia. Giuliano Santoro, Edizioni Alegre 2015
/3 Bolzano e Barbarie, Wolf Bukowski, Internazionale

 

Cominciamo dall’accaduto [siamo nella notte tra il 18 e il 19 Luglio 2014, ndr.]. Potrei cavarmela in 343 caratteri, spazi inclusi.
A via Ludovico Pavoni, alla periferia sudest di Roma, un pakistano di 28 anni è stato ucciso da un ragazzo. Pare che l’extracomunitario fosse ubriaco e si fosse rivolto in modo provocatorio, sputando in faccia ad un minorenne romano e causandone l’esplosione di rabbia. Lo straniero è stato colpito dal giovane. È caduto per terra ed è morto.
Detto così, come lo leggiamo nelle brevi di cronaca e ce lo raccontiamo al bar, il fatto pare lineare, essenziale, impeccabile. Una notizia fredda, forse spietata ma non tendenziosa. Eppure, tra le pieghe delle parole si nascondono trappole retoriche, automatismi linguistici e tic culturali che partecipano alla costruzione del nemico. Ci sono quattro artifici retorici, sottili e ricorrenti, che vengono usati in questo genere di notizie. Prima regola: usare più aggettivi che sostantivi. Seconda regola: prediligere il linguaggio astratto. Terza regola: meglio i verbi passivi. Quarta regola: scegliere la metafora giusta. /2

Per “fascioleghismo” non intendiamo un’alleanza politico-elettorale – o, almeno, non solo questo- tra movimenti di estrema destra e Lega Nord, ma un dispositivo politico in cui agiscono attori differenti.
Prima il dibattito pubblico del paese viene spostato sui temi cari alla Lega e ai suoi alleati, con una martellante campagna mediatica su rom e centri d’accoglienza; poi si raccolgono i frutti dei problemi che scoppiano sui territori, fomentati ed esacerbati dalle forze dell’estrema destra o della stessa Lega; infine gli attori istituzionali passano all’incasso legittimando dall’alto quello che apparentemente è scoppiato spontaneamente dal basso. Senza uno solo di questi elementi (sfera pubblica invasa ossessivamente da frame che creano senso comune; mobilitazione dal basso di forze militanti che organizzano disagi o proteste; mobilitazione dall’alto degli attori istituzionali) la miscela non funziona, e si riduce alla manifestazione d’intolleranza di qualche estremista o di qualche comitato estemporaneo di poche decine di persone. /1

«Lo spazio politico è occupato in forma prevalente da due destre: una destra populista e plebiscitaria (fascistoide), da un lato, e una destra tecnocratica ed elitaria (liberale) dall’altro. Due destre in conflitto tra loro sui mezzi, ma per volti versi unificate da un fine comune» Marco Revelli, Le due destre, Bollati Boringhieri 1996 /1

A partire dagli anni Ottanta e lungo tutti gli anni Novanta in tutta Europa abbiamo assistito a fasi alterne all’affermazione di forze politiche che, pur di natura diversa, possiamo etichettare come di destra radicale, populiste e xenofobe, capaci di imporre la loro voce nel dibattito pubblico, arrivando spesso e volentieri a orientarlo. […] Se da una parte le destre in tutta Europa cavalcano il disagio sociale e il malessere degli esclusi, presentandosi come forze antisistema, dall’altra si candidano ad essere un’alternativa credibile, pronte al compromesso e a stringere accordi con le forze “moderate” per raggiungere posizioni di potere
Lo spettro delle camicie brune si riaffaccia sull’Europa. /1

Se Berlusconi sdoganò i postfascisti di Fini, Salvini potrebbe dare all’organizzazione dell’estrema destra una visibilità e opportunità inaspettate. /1

Se ne va in giro su e giù per l’Italia su una ruspa, a volte è vera a volte solo metaforica. Con il suo Caterpillar il leader leghista Matteo Salvini vuole abbattere i campi rom, spianare i centri d’accoglienza, spazzare via il governo Renzi e l’euro. Qualcosa non va? E allora ruspa! Tabula rasa, e chi se ne importa delle macerie. […] Nel serbatoio della sua ruspa Salvini può mettere tutto il risentimento sociale in circolazione, ben miscelato con le paure di chi vede il proprio mondo crollare e il futuro sempre più incerto.
Tutto questo fa da carburante per la macchina leghista, mentre dal tubo di scappamento escono i gas tossici della microfisica dell’odio. /1

Ci sono i barbari, oggi? E chi sono i barbari, oggi? Sono, come sempre, quelli ridotti a barbaro dallo sguardo di chi pretende di essere più civilizzato di loro. Barbari sono, per esempio, quelli nei cui confronti tolleriamo trattamenti che non tollereremmo tra civilizzati, ma senza avere coscienza di quanto quei comportamenti siano discriminatori. /3            

Un discorso che sembra puntare, come tratto preminente, su elementi irrazionali. Del resto è inutile tentare di spiegare e snocciolare numeri e realtà se la percezione di chi riceve il messaggio è effettivamente quella di essere invasi. Se si è convinti che la maggior parte degli immigrati rubino, uccidano e stuprino, mostrare i dati reali sulla popolazione carceraria o il tasso criminogeno tra i cittadini migranti, rischia di non sortire alcun effetto. Questa convinzione, alimentata anche da rappresentazioni mediatiche stereotipate o più o meno consapevolmente errate che propongono, ad esempio, l’etnicizzazione dei crimini e dei criminali, prende corpo nella realtà perché risponde a una necessità sociale vera. La necessità è quella di creare un nemico interno, una quinta colonna dentro la società contro cui scaricare, in maniera più o meno razionale, la responsabilità di quello che non va. /1

«Inutile dimostrare razionalmente che sono panzane: un cartello irto di punti esclamativi, messo insieme in due minuti e viralizzato su Facebook in mezz’ora, sarà sempre più potente di qualunque spiegazione»  Wu Ming 1, Cent’anni a Nordest, Rizzoli 2015

Dal suo punto di osservazione, documentatissimo eppure rinchiuso in carcere, passa in rassegna le cronache dei giornali. Misura aggettivi e sostantivi, soppesa verbi e metafore. Li rapporta alle facce che incontra sulle schede delle centinaia di migranti che digitalizza e lavora al computer. Ed eccole, le parole utilizzate dai mass media per descrivere la Pantanella [ex pastificio occupato a Roma, ndr.]. Sono importanti perché istituiscono il nostro rapporto nei confronti dell’Altro, perché producono e riproducono separazioni e appartenenze. Costituiscono una specie di archivio perturbante, una cassetta degli attrezzi del linguaggio razzista dei lustri a venire, riprendono il filo con la necessità di costruire il contesto e il frattempo evocata all’inizio di questo lavoro.
Rifugio stregato. Lager. Fatiscente struttura. Vecchio casermone. Lembo extraterritoriale. Hotel immondezzaio per vù lava’. Inferno pericoloso. Casbah. Monumento al degrado. Porcile. Polveriera. Labirinto umano. Ospizio. Angolo da terzo mondo. Purgatorio degli immigrati. Calderone etnico. Zona franca. Porcaio. Bomba ad orologeria. Fabbrica degli extracomunitari. Bomba etnica. Hotel disperati & diseredati. Mega-accampamento. Kampo. Maxi-ghetto nero. Casa di Mohammed. Letamaio. Covo di terroristi. Antro apocalittico. Posto a rischio. Hotel della vergogna. /2

Spostiamoci di pochi metri, fino ai giardini della stazione. Luogo di ritrovo di altri barbari, questo modesto parco pubblico è al centro di ogni discorso antidegrado, qui a Bolzano. Discorso e anzi ideologia, quella del decoro, che tutto è tranne che spontanea. Sincere sono le paure che ne costituiscono l’innesco, questo sì. Paure e sofferenze della parte più fragile della classe media. Legate alla crisi economica, alla perdita dei diritti sociali, alla precarizzazione di ogni ambito dell’esistenza. Paure che avvelenano, paure che devono essere gettate fuori di sé; ed è in questo fuori ostile, complesso, così difficile da decodificare, che risplende la figura del barbaro.
Contro di lui i bravi cittadini (che sono disperati, ma non possono ammetterlo a se stessi) ritrovano uno scopo che non pensavano più di avere; contro di lui crescono i proclami e i punti esclamativi: Basta! Finiamola!! Riprendiamoci il quartiere/la città/la nazione!!! Quando i punti esclamativi riempiono intere pagine di Facebook; quando nel calderone la temperatura è alta e vi ribollono insieme, mescolandosi, paure reali e ridicole manie d’ordine, mani sapienti ne traggono strumenti di consenso politico. /3

Ma da dove deriva l’ossessione antidegrado? L’analisi più convincente ci sembra quella di chi la legge come un vero e proprio strumento di governance nella crisi:

«il dilagare dell’ideologia del decoro – oltre che il suo presentarsi come trasversale, unanime, “né di destra né di sinistra- è un prodotto della crisi economica. Diremo di più: il decoro è un modello di governance della crisi. Le politiche di austerità si impongono sul piano materiale e su quello psicologico. Ai tagli alla spesa pubblica e ai servizi, si sommano gli effetti di un capitalismo finanziario che produce sempre più diseguaglianza sociale. La città da spazio dell’affermazione e della conquista di nuovi diritti diventa palcoscenico delle disparità. Ma vince la narrazione più semplice. Quella che si ferma alla superficie del problema e soltanto in superficie intende operare. Poiché la superficie è evidentemente sporca è necessario disinfettare, fare pulizia» Maysa Moroni Andrea Natella Giuliano Santoro, Il nemico della città, Nuova Rivista Letteraria n.2 Nuova Serie, Edizioni Alegre 2015

Un impianto ideologico che si presenta come impolitico, ma che è del tutto compatibile con quello costruito negli ultimi trent’anni dalle destre europee. Un meccanismo che sta facendo egemonia nel discorso pubblico sulle città, che si coniuga alla perfezione con i nuovi meccanismi di esclusione e disciplinamento lungo la linea del colore e della razza. /1

Ritenta, sarai più fortunato!”, dice il bigliettino trovato da Benko nel cioccolatino Bozen: se il voto non dà il risultato sperato si ripete. /3

L’ambizione smisurata del progetto, la consegna al privato delle scelte urbanistiche, le demolizioni di fabbricati funzionali e importanti (l’autostazione, la sede della provincia da poco ristrutturata) ci avvertono che sta avvenendo qualcosa di rilevante e non occasionale. Siamo spettatori dell’affermarsi nella città di quella che Marx ha chiamato sussunzione reale, fase storica in cui il capitale non si accontenta più di spremere il massimo del profitto da un processo produttivo preesistente (o, nel nostro caso, da una città storicamente determinata), ma pretende di ricrearla a propria immagine e somiglianza, modellandola plasticamente con abbattimenti e riedificazioni.
Sotto questo profilo anche le campagne antidegrado si illuminano diversamente: i marginali, quelli che litigano e schiamazzano sulle panchine, disturbano la messa a valore della città. Quale azienda metterebbe in mostra nel flagship store gli scarti produttivi? Gli scarti devono sparire oppure, meglio ancora, essere riciclati altrove: nell’assistenza sociale privatizzata, nella carità defiscalizzata delle fondazioni e così via. /3

Così i monumenti all’italianità di Bolzano, presto, saranno due. Il primo, il Monumento alla Vittoria (Hic patriae fines siste signa. Hinc ceteros excoluimus lingua, legibus, artibus). Il secondo, in posizione topograficamente opposta rispetto al centro cittadino, l’Eataly del Kaufhaus, perla dell’ostrica benkiana e veicolo dell’italianità gastronomica e un po’ tamarra di Farinetti /3

«Ciò che resta è più simile alla città che era, una versione più chiara, brillante, lucida. Ma ciò che conteneva se ne sarà andato. Sarà una città cava.» Rebecca Solnit /2

Locandina dell'evento

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Massimo Mollica Mon, 03/07/2016 - 14:32

A parte che tutto è stato già scritto da un pezzo. Basta leggersi la fattoria di Orwell, guardando pure il film V per VENDETTA, per esempio.
A parte questo, cosa centra la riqualificazione di una piccola porzione del CENTRO (no periferia, CENTRO) a spese di un privato con l'azione scellerata di politici, che per motivi propagandistici soffiano sulla paura della gente, alimentandola?
Il trat d'union è il giudizio negativo che alcuni cittadini danno di quella zona, ma per il resto l'accostamento è raffazzonato. E mi ricorda tanto quei nazisti che per giustificare l'eccidio degli ebrei portavano avanti l'accusa di deicidio.
Perché in fondo se è vero che c'è una destra che scientificamente porta avanti la politica del terrore, vi è un'altra parte (che chiameremo sinistra, ma solo per comodità) che porta avanti la campagna del nemico. Perché essa esista dev'esserci un nemico. In questo caso si chiama Benko, ma anche Farinetti (chedete a loro il perché). E pazienza se Bolzano Bozen risulti essere una delle città più care in fatto d'immobili. Pazienza se la città è invasa da eco mostri ed edifici in mano a pochi proprietari. Pazienda ancora se il tasso di natalità è negativo, a differenza delle periferie della provincia e il tasso di disoccupazione il più alto. Pazienza, oggi il nemico è Benko, perché ci siamo svegliati così!
Una sola richiesta se mi è concesso: potete riferire al vostro amico Wolf Bukowski che l’Eataly del Kaufhaus si troverebbe praticamente in centro città e non "in posizione topograficamente opposta rispetto al centro cittadino", a dismostrazione di quanto poco conosca la mia città!

Mon, 03/07/2016 - 14:32 Permalink
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Marco Pagot Mon, 03/07/2016 - 15:32

In reply to by Massimo Mollica

Immagino che per affermare che tutto sia gia´ scritto lei abbia letto i libri di cui si parlera´, anche se lo dubito visti i paragoni.
Come noto che si sia lasciato un po´ prendere la mano: stia tranquillo, non parleremo solo del progetto Kaufhaus. Anzi la riflessione sullo stesso sara´ marginale, inserita nei meccanismi nazionali di cui parleremo. Gli stessi meccanismi in atto anche a Bolzano, dove le periferie vengono sempre piu´ svuotate e vissute come dormitori, mentre il centro della citta´ diventa una boutique e i centri commerciali i luoghi dove passare il tempo. Questo, se avesse letto il libro di Giuliano Santoro, l´avrebbe compreso.
Il trat d´union non e´ il giudizio negativo sulla zona, ma l´utilizzo della retorica del degrado: tanto ne fa utilizzo chi sostiene il progetto Benko, come se improvvisamente sparira´ il disagio sociale della zona, tanto vi attinge la politica di destra, nelle sue formazioni piu´ o meno radicali ed estreme. La campagna del nemico mi sembra piuttosto questa, quella della demonizzazione di una zona e un tessuto sociale, che ci si aspetta venga sconfitto da un centro commerciale. Cosa che -sappiamo bene- non accadra´.
Poi possiamo discutere di come un progetto di gentrification possa risolvere il problema degli immobili troppo cari -Benko vendera´ appartamenti e affittera´ spazi commerciali a tariffe vantaggiose? o ha piuttosto promesso case di lusso e negozi enormi?-, o della natalita´ -si fan piu´ figli con il terzo, o quarto, centro commerciale?- o della disoccupazione, magicamente risolta da mille posti di lavoro della grande distribuzione -sperando che non si avverino le stime di ricaduta sul piccolo commercio.
Gli ecomostri e gli edifici in mano a piccoli proprietari non credo vengano difesi da noi, anzi. Ma sempre perche´ parla prima di conoscere, non sa che anche questo viene affrontato nel libro di Santoro.
Le sarebbe anche chiaro perche´ Farinetti sia un problema, se avesse letto con attenzione il pezzo di Wolf Bukowski: anche in questo caso, pero´, lo dubito, visto che non ha compreso che il centro e´ il perno: da una parte il monumento alla Vittoria, dall´altra l´altro simbolo, il Kaufhaus con dentro anche Farinetti. A dimostrazione di quanta poca attenzione dimostri nel leggere.
Forse non siamo noi quelli impegnati in una crociata, visto che proviamo a innestare un ragionamento. Ma la invito a venire Venerdi´: forse si rendera´ conto di cosa venga raccontato nei libri e di cosa si parlera´ durante la serata. Di periferia, di degrado e di ruspe.

Mon, 03/07/2016 - 15:32 Permalink
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Massimo Mollica Wed, 03/09/2016 - 14:52

In reply to by Marco Pagot

La ringrazio per avermi risposto. E sappia che non mi offende se mi da dell'ignorante, o analafabeta, solo perché non ho letto tre libri. In realtà, purtroppo, il mapazzone del suo amico Wolf Bukowski l'ho letto, e nessuno potrà restituirmi il tempo della mia vita perso!
Leggo con dispiacere che lei non ha compreso per niente quanto da me scritto. Sarà sicuramente colpa mia.
Di certo, e lo ribadisco, non vedo differenza tra una "destra" becera che soffia sulla paura, e una "sinistra" che invece si pone paladina in difesa di una qualcos contro qualcuno. entrambi fate di tutta un'erba un FASCIO.
Ed è inutile che le rispieghi che Bolzano Bozen è la città più cara in ambito immobiliare. Lei questi problemi non se li pone. Se un negozio chiude perché gli affitti sono troppo cari e, e lo sono perché non c'è alternativa, a lei cosa interessa? Cosa le interessa se vi sono 3 famiglie, ripeto 3 famiglie, che hanno in mano la maggior parte degli stabili a Bolzano Bozen. E molti di questi sono edifici inutilizzati, economia immobilizzata, che strozza chi vuole investire in un'attività. A lei tanto che le interessa! Lei vive bene comunque!
E le dico di più fino a 3 anni fa non gliene fregava nemmeno del parco in centro. E io lo so, perché lì ci vivo! Oggi è diverso! Oggi abbiamo un nemico :-) E avere un nemico è rassicurante. Proprio come quelli di CASAPUOND, che senza un nemico non avrebbero ragione di esistere.
Il Farinetti di oggi è il MCDonald di ieri, solo che stanca combattere sempre con quello che si assurge al male.
La ringrazio ma io non verrà alla vostra riunione di propaganda per giocare il ruolo di nemico.
Tenetevi pure le vostre certezze io vivo bene con i miei dubbi.

Wed, 03/09/2016 - 14:52 Permalink
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Marco Pagot Wed, 03/09/2016 - 16:29

In reply to by Massimo Mollica

Non le ho dato né dell'ignorante né dell'analfabeta. Al massimo posso averle consigliato di leggere con più attenzione, o di leggere quanto non ha letto prima di emettere sentenze. O di inserirmi, o inserire l'associazione DADA ROSE, in delle categorie specifiche senza conoscere né l'uno né l'altra. In questo mi sembra lei a vivere con molte certezze, invece di chi prova a costruire delle riflessioni. Ragionamenti che travalicano il singolo *progetto* o la singola *sigla*: sono analisi che servono a decostruire la dialettica che sottende a molto altro. Quindi incluse le tre famiglie (ripeto, tre famiglie) che possiedono la maggior parte degli stabili a Bolzano Bozen, incluse le aziende che possiedono l'altra gran parte. Non credo di dovergliele nominare.
La differenza è che in questa conferenza si parla di un aspetto, ben diverso dal discorso che si dovrebbe cominciare per trattare degli edifici fantasma di uno speculatore o dei raddoppi di un altro. Questo perché si tratta di fenomeni diversi, il cui accumulo non porterebbe ad una migliore analisi né contrasto.
Lei pensa che senza un nemico non avremmo ragione di esistere. Invece è l'esatto contrario: esistiamo perché vogliamo fare cultura. Che a volte vuol dire anche esprimere dissenso o arginare i fenomeni pericolosi della nostra società. Ma se invece di essere *certo* di cosa o chi siamo, avesse avuto più curiosità, forse l'avrebbe scoperto da solo. Come avrebbe scoperto che la propaganda è molto lontana dal presentare dei libri e delle riflessioni, per fare andare a casa degli spettatori un po' meno ignari o passivi di quanto non fossero prima dell'incontro.
Lei ha deciso cosa le interessa e cosa non le interessa, in questo caso la nostra conferenza. Ma non decida per me cosa, secondo lei, trovo io d'interesse e importante. Perché potrebbe sbagliarsi di grosso, non conoscendomi, né sapendo dei dubbi che mi animano.

Peccato.

Wed, 03/09/2016 - 16:29 Permalink