It was just a selfie
In fondo, tutto nasce per un paio di fotografie scattate a distanza di un mese l'una dall'altra. La prima ritrae Elena Artioli mentre accoglie Matteo Renzi all'aeroporto di Bolzano, diretto al Festival dell'Economia di Trento; nella seconda, la consigliera provinciale è immortalata a fianco del premier, sceso dall'elicottero presso il cantiere del BBT. “Uno degli innumerevoli selfie che Renzi concede anche con persone a lui ignote” sostiene Jimmy Milanese nella sua ricostruzione su Salto.bz. Tale foto attesterebbe però la presunta benedizione del segretario democratico all'approdo in LiberalPD di Artioli, provocando un vero e proprio putiferio nel PD altoatesino, travolto dalla medesima iconolatria del leader (o meglio, selfielatria) di cui fanno ampio uso i suoi stessi militanti - Ilaria Piccinotti ne sa qualcosa. Ma l'euforia da foto con Renzi ha contagiato pure i vertici SVP, da René Tumler della Junge Generation ad Arno Kompatscher (vittima di uno spiacevole incidente: è rimasto tagliato fuori dal selfie).
A giudicare dalla galleria flickr di Palazzo Chigi, al vertice italo-austriaco di Castel Prösels il tempo per pronunciare un intervento memorabile era decisamente scarso (secondo il deputato Florian Kronbichler, Renzi non avrebbe detto niente). Al contrario, risulta lampante quello “spirito dei tempi” che il rottamatore fiorentino ha saputo cogliere alla perfezione: la persona [politica] media, nella società dell'immagine postata sui social, adora fotografarlo e farsi fotografare con lui, e lui si presta volentieri. Perciò l'evento, politicamente, è poco più di un selfie, sufficiente a caratterizzarne i contenuti; è il corpo di Renzi a contenere i temi della giornata – che lui li esprima o meno poco importa. “Se l'Europa si facesse un selfie” ha esordito al Parlamento europeo il premier-segretario, “ultima spiaggia” per l'Italia che alle elezioni europee gli ha regalato un consenso superiore alla fu maggioranza berlusconiana. E riecheggiano le parole scandite da David Bowie in Reflektor degli Arcade Fire: “Thought you would bring to me the ressurector / Turns out it was just a Reflektor” (“Pensavo mi portassi da chi mi avrebbe fatto risorgere / Alla fine si è rivelato solo un riflettore”).
Renzi è stato abilissimo a puntare i riflettori sulla “leggerezza” degli italiani – e, come già accadde con Silvio Berlusconi, gli ha certamente spianato la strada una certa pedanteria di chi a sinistra è poco incline a rompere gli schemi, con innovazione e almeno un pizzico di informalità. Il problema è che tale iniezione di modernità – riconducibile alla giovane età e soprattutto a precise strategie di comunicazione – non sembra accompagnata dalla necessaria serietà nell'affrontare la difficile situazione italiana. Tutto è bello e “smart”, non esistono questioni difficili, solo discorsi semplici e metafore epico-sportive. Al premier non andrebbe chiesta meno innovazione, bensì più innovazione ancora, rispetto a un passato di parole al vento, di leaderismi personali senza progettualità né concretezza. Perché la sfrenata fiducia nell'immagine rischia di trasformarsi in un'idolatria dell'uomo “ganzo”, furbo e simpatico, sorridente con chiunque scatti una foto con lui. Della serie: non chiedete cosa il vostro paese può fare per voi, ma se ve la sentite di fare un selfie con Matteo Renzi.