L'appeal del fascismo
“Ai tempi del fascismo non sapevo di vivere ai tempi del fascismo” (Hans Magnus Enzensberger)
Come facciamo a parlare di fascismo senza fare pubblicità ai fascisti? Se i fascisti sono impermeabili ad ogni tipo di stigmatizzazione, e tutto ciò che può essere detto di loro (comprese le critiche più spietate) non fa che rafforzarli in una posizione di preminenza mediatica, se persino il silenzio che si potrebbe stendere per coprirne in qualche modo il lurido berciare serve solo a far risaltare quel berciare in modo più chiaro, quali sono dunque le strategie comunicative da adoperare per strappare dalla massa amorfa dei potenziali “ammiratori” qualche cervello ancora non completamente corrotto? È già abbastanza increscioso che nel dibattito politico contemporaneo, dunque alla considerevole distanza che ci separa dal crollo del regime mussoliniano (avvenuto, ricordiamolo, nel luglio del 1943, ossia ben 75 anni fa), si ragioni ancora di questo tema. Certamente non lo faremmo se, come invece accade, non ci fossero forze politiche, movimenti e gruppi che si richiamano senza vergogna a quell'eredità. La domanda allora diventa: perché tali forze, tali movimenti e tali gruppi esistono ancora? Ce la caviamo dicendo che chi oggi si ispira al fascismo è solo un semplice e stupido ignorante? Nonostante in parte sia effettivamente così – “quanto più uno è idiota, tanto più il fascismo lo fa sentire orgoglioso di sé”, ha scritto Osvaldo Soriano –, purtroppo non basta. Occorre scavare più in profondità, è necessario trovare la radice, mai del tutto compresa, che ha fatto in modo di ibernare l'appeal del fascismo, rendendolo protagonista delle cronache recenti, da Macerata a Bolzano.
“Più di settant'anni dopo la morte di Benito Mussolini, migliaia di italiani stanno aderendo a gruppi che si definiscono fascisti. Tra i motivi ci sono il modo in cui viene raccontata la crisi dei migranti, l'aumento di notizie false e l'incapacità del paese di fare i conti con il passato” (The Guardian)
Il fascismo attrae ancora perché promette una rivoluzione che in realtà è una restaurazione, adotta la violenza dichiarando di metterla al servizio dell'ordine, quindi aspira a farsi stato nel momento in cui lo stato viene accusato di non riuscire più ad essere ciò che (secondo tale ideologia) dovrebbe essere. Insomma, il fascismo propaga un approccio anti-statale – ecco perché piace tanto al giovane che si sente ribelle rasandosi il cranio e tatuandosi DVX sul collo taurino – in vista dell'istituzione di un iper-stato senile, in cui ogni eccesso verrà brutalmente normalizzato. Il fascismo è questo tramite, questo trait d’union tra una dimensione di attivismo all'apparenza critico nei confronti dello status quo e una di acritica reificazione dell'esistente. Se la spiegazione dovesse risultare troppo sofisticata, troppo intellettuale, c'è comunque sempre un metodo infallibile per individuare i fascisti e il fascismo sopravvissuto alla sua determinazione storica: basterà coglierlo nel gesto vigliacco e gerarchico che colpisce e umilia il più debole, muovendo dall'esaltazione di chi è appena più forte di lui. Persecutore della miseria, il fascismo è l'energico sciuscià dei potenti che parassita tale miseria, come fa il plasmodio con la malaria.