Society | Ricorrenze

L'unica bandiera

Alla ricerca dell’unica bandiera, tra le tante imposte e contestate, che bisognerebbe esporre il 24 maggio.

Quando penso alle bandiere, mi torna sempre in mente un breve saggio di David Foster Wallace, intitolato La vista da casa della signora Thompson. È raccolto nel volume Considera l’aragosta. Gli eventi narrati sono evidentemente quelli immediatamente successivi all’undici settembre del 2001. Ne riporto un passaggio, copiandolo da questa versione online. Abbiate la pazienza di leggerlo, perché è scritto in modo magistrale e (spero) vi farà pensare.  

Tutti hanno esposto la bandiera. Case, negozi. È strano: non si vede mai nessuno che tira fuori la bandiera, ma mercoledì mattina eccole tutte lì. Bandierone, bandierine, bandiere delle normali dimensioni di una bandiera. Un sacco di case da queste parti hanno quelle speciali aste inclinate accanto alla porta d'ingresso, di quelle che per fissare il supporto servono quattro viti belle grosse. E migliaia di quelle bandierine-su-bastoncini che si vedono in mano alla gente durante le parate: in certi giardini se ne contano a decine, dappertutto, come se fossero spuntate in qualche modo durante la notte. Quelli che vivono sulle strade di campagna attaccano le bandiere alle cassette della posta sul bordo della carreggiata. Certe macchine le portano infilate nella griglia del radiatore o attaccate all'antenna con lo scotch. Certi raffinati hanno veri e propri pali per l'alzabandiera; le loro bandiere pendono a mezz'asta. Parecchie ville intorno a Franklin Park o alla periferia est hanno enormi bandiere multipiano che scendono a mo' di gonfalone per tutta la facciata. Dove la gente si sia procurata delle bandiere così grosse o come abbiano fatto a montarle lassù è un mistero assoluto. Il mio vicino di casa, ragioniere in pensione e veterano di guerra che cura la propria abitazione e il giardino con una scrupolosità a dir poco fenomenale, ha un'asta di dimensioni regolamentari in metallo anodizzato fissata su cinquanta centimetri di cemento rinforzato, che nessuno degli altri vicini vede di buon occhio perché pensano che attiri i fulmini. Il signore dice che c'è un galateo tutto speciale per ammainare la bandiera a mezz'asta: bisogna prima tirarla su fino in cima e poi farla scendere fino a metà strada. Altrimenti è un insulto, o qualcosa del genere. La sua bandiera è perfettamente spiegata e garrisce con eleganza nel vento. È di gran lunga la bandiera più grossa della nostra strada. Si sente anche il rumore del vento nei campi di granturco subito a sud; è lo stesso rumore che fa la risacca leggera sul bagnasciuga se la ascoltate a due dune di distanza. La sagola della bandiera del signor N. ha degli elementi di metallo che sbatacchiano rumorosamente contro l'asta quando c'è vento, un'altra cosa che non va tanto a genio agli altri vicini. Il vialetto di casa sua e quello di casa mia camminano quasi fianco a fianco, e lui è qua fuori su una scala che lucida l'asta con qualche tipo di unguento e una pelle di daino - non vi prendo per il culo - e in tutta onestà è vero che l'asta della sua bandiera risplende come l'ira di Dio. “Veramente una gran bella bandiera e una gran bella attrezzatura, signor N”. “Ci può scommettere. Con quello che mi è costata”. “Ha visto tutte le altre bandiere in giro, stamattina?”. A sentire questo abbassa gli occhi e sorride, anche se un po' mestamente. “È uno spettacolo, eh?” Il signor N. non è quello che uno chiamerebbe il vicino più cordiale del mondo. In realtà lo conosco soltanto perché la sua parrocchia e la mia sono nello stesso campionato di softball, nel quale lui presta servizio, con immensa precisione, come addetto alle statistiche della sua squadra. Non siamo molto in confidenza. Nonostante questo, è il primo a cui rivolgo la domanda: “Senta, signor N., metta che viene da lei uno sconosciuto o un giornalista della tv e le chiede qual è esattamente lo scopo di tutte queste bandiere esposte ovunque dopo l'Orrore e tutto quello che è stato ieri, lei cosa pensa che risponderebbe?” “Be’” (dopo una breve pausa in cui mi guarda con l'espressione con la quale in genere guarda il mio giardino) “per dimostrare il nostro sostegno e la nostra solidarietà rispetto a quello che sta succedendo, in quanto americani”.

È la spontaneità della reazione collettiva a colpire qui lo scrittore, e il suo racconto (anche se pervaso da una innegabile ironia) non mi pare punti a sbeffeggiare il patriottismo degli americani. Sbeffeggiare il patriottismo, del resto, è sempre un’attività sconveniente, perché si rischia di passare per disfattisti o, peggio, per chi magari è pronto a passare dall’altra “parte”. Restare invece “al di sopra delle parti” dovrebbe essere sempre il compito dell’intellettuale, del filosofo, o di chi comunque è orientato alla comprensione dell’“intero”.

Come comportarsi allora davanti all’ingiunzione di esporre bandiere per commemorare una particolare ricorrenza storica che ci parla di una guerra in cui, fra l’altro, non tutti i morti sono stati composti in bare ricoperte da bandiere? Cerchiamo magari di evitare le polemiche infime, quelle gonfiate ritualmente soprattutto in una terra in cui di bandiere ne sono sempre sventolate troppe (spesso a sproposito).

Andando alla ricerca di un’immagine più significativa, ho così trovato quella postata qui sopra. Si vede un militare, con della stoffa in mano, vicino a un pezzo di artiglieria (o un carro armato, non mi intendo di ordigni militari) ormai inservibile. La didascalia dice: “Un soldato australiano cerca i feriti con la protezione di una bandiera bianca”. Ecco, mi pare che l’unica bandiera da esporre, il prossimo 24 maggio, dovrebbe essere proprio quella bandiera bianca. E come commento questi versi di Hugo Ball: “So morden wir, so morden wir. / Wir morden alle Tage / Unsre Kameraden im Totentanz. / Bruder, reck dich auf vor mir, / Bruder, deine Brust / Bruder, der du fallen und sterben mußt”.