Economy | Ripensare il lavoro

Il mondo brucia, e noi?

Ripensare il lavoro nell’era dei cambiamenti climatici e mitigare gli effetti della crisi: dagli ambiziosi obiettivi altoatesini al progetto Lavoro 4.0.
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Foto: Adobe Stock Images

Quando parliamo di cambiamenti climatici il pensiero corre alle devastanti conseguenze di natura ambientale ma qual è ad esempio l’impatto di questo fenomeno sul mondo del lavoro? E in che modo si coniuga la lotta contro il riscaldamento globale con l’occupazione? Ne abbiamo discusso con Emiliano Campisi che, presso l’IPL | Istituto Promozione Lavoratori, è impegnato sul progetto Lavoro 4.0, un percorso aperto e partecipato che ha l’obiettivo di raccogliere e formulare proposte strategiche per governare i presenti e futuri processi socioeconomici e i loro effetti, derivanti dalla crisi del clima.

 

salto.bz: Campisi, la prima domanda d’obbligo è: i cambiamenti climatici rivoluzioneranno il nostro modo di lavorare?

Emiliano Campisi: Il climate change è un tema sempre più all’ordine del giorno poiché il suo effetto - che si pensava sarebbe stato più graduale e più lontano nel futuro - si riscontra oggi molto più concretamente rispetto ai decenni passati. Si tratta ovviamente di impatti sul piano fisico e naturale, il riscaldamento della temperatura media globale modifica infatti l’equilibrio degli ecosistemi, ma da questi ecosistemi dipendiamo anche dal punto di vista del lavoro perché da essi derivano servizi da cui traiamo benessere economico, pensiamo ad esempio al settore del turismo o a quello dell’agricoltura. 

Di fronte agli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere occorre quindi ripensare il concetto stesso di lavoro perché si adatti di fatto alle esigenze di un mondo diverso?

Esatto. Abbiamo obiettivi internazionali, europei, nazionali e provinciali che ci dicono che le temperature globali devono restare sotto la soglia degli 1,5 gradi Celsius e che dobbiamo accelerare la decarbonizzazione. Dunque nei settori cosiddetti carbon intensive bisognerà ridurre questa “impronta di carbonio”. I dati relativi all’Alto Adige attestano che gli obiettivi sono molto ambiziosi, da qui al 2030 è pianificata una riduzione delle emissioni di gas serra del 55% rispetto al 2019, per arrivare entro il 2040 a emissioni nette zero. Tutto ciò avràun impatto in molti settori, come ad esempio quello dei trasporti (urbano, extraurbano e autostradale) che è uno dei comparti più inquinanti; o quello degli allevamenti; dell’industria; della manifattura: dell’agricoltura; del riscaldamento. Il principio cardine è agire per prevenire scossoni nel mondo del lavoro.

I dati relativi all’Alto Adige attestano che gli obiettivi sono molto ambiziosi, da qui al 2030 è pianificata una riduzione delle emissioni di gas serra del 55% rispetto al 2019, per arrivare entro il 2040 a emissioni nette zero.

Gestire, insomma, questo processo di mutamento evitando un peggioramento delle condizioni di lavoro.

L’obiettivo della nostra ricerca, Lavoro 4.0, che porteremo avanti fino a maggio-giugno prossimi, è proprio capire insieme a sindacati e parti sociali quali siano le politiche e le proposte che possono essere messe in campo per schivare questo rischio. È previsto un processo partecipativo nella prima parte del 2023, ci focalizzeremo innanzitutto sulla formazione con il supporto di esperti provenienti da ambiti di ricerca e universitari, e poi lavoreremo con le organizzazioni sindacali per arrivare ad ottenere delle risposte in merito alle criticità maggiori che emergeranno rispetto ai mutamenti del clima e a come superarle.

Quali sono i capisaldi del progetto?

Il progetto, nato nel 2018, segue i binari che portano al capolinea del “Buon lavoro”. Analizzare la trasformazione digitale, della società, delle professioni e delle competenze, dell’organizzazione del lavoro, delle relazioni industriali. L’idea è di aggiornare anche questi punti, relativamente ad esempio alla tecnologia dal punto di vista etico, alla tutela dei dati personali, a tutto ciò che insomma in futuro sarà virtualizzato e che influirà sulla nostra vita quotidiana. Il focus principale di questo aggiornamento sarà però lo sviluppo sostenibile. 

Come preparare la forza-lavoro presente e futura ad affrontare queste sfide?

Apro una parentesi: di recente ho partecipato con il progetto trentino Agenzia di Stampa Giovanile alla COP27 a Sharm el-Sheikh e ho potuto avere una visione privilegiata, dall’interno, di alcuni processi negoziali internazionali. Si è discusso molto di adattamento ed è stato peraltro raggiunto uno storico accordo sulla creazione di un fondo Loss and damage per risarcire i paesi più vulnerabili alla crisi climatica. Guardando al nostro territorio, in Alto Adige la temperatura media è già salita di 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale e in Trentino si parla già di 2 gradi, quello che cerchiamo di evitare a livello mondiale in pratica da noi esiste già, e in un contesto alpino come il nostro ciò è particolarmente preoccupante data la presenza di ecosistemi molto peculiari che nel corso dei millenni si sono adeguati a un certo clima, e il cambio repentino delle temperature ha portato conseguenze che già tocchiamo con mano. Dobbiamo capire che se non ci impegniamo di più sulla mitigazione - dunque prevenendo o diminuendo l’emissione di gas a effetto serra - ne risentiranno anche le politiche di adattamento, quei processi di adeguamento agli effetti attuali e futuri dei cambiamenti climatici. Detto questo occorre investire soprattutto su infrastrutture resilienti agli eventi estremi - in Regione negli ultimi 5 anni se ne sono verificati due: la tempesta Vaia e il crollo sulla Marmolada -; sulla tutela degli ecosistemi, da cui peraltro dipendono direttamente o indirettamente alcune professioni; e su tutto ciò che riguarda la protezione sociale e lo skills development per il passaggio occupazionale dai settori in crisi o in declino - per effetto dei cambiamenti climatici e a causa dei rilevanti costi economici che dovranno essere affrontati a causa del probabile aumento futuro del prezzo delle emissioni di carbonio - a quelli in crescita. Dovremo assicurarci che questi effetti non ricadano sui più deboli, e cioè sui lavoratori dipendenti. Il focus, come anticipato, deve essere sull’azione e non sulla reazione.

Dobbiamo capire che se non ci impegniamo di più sulla mitigazione - dunque prevenendo o diminuendo l’emissione di gas a effetto serra - ne risentiranno anche le politiche di adattamento, quei processi di adeguamento agli effetti attuali e futuri dei cambiamenti climatici.

Avremo da una parte perdite di posti di lavoro, quelli fortemente dipendenti dalla produzione e consumo di combustibili fossili, e dall’altra una richiesta di competenze legate al settore “verde”. Il cambiamento climatico può dunque essere trasformato in un’opportunità di sviluppo?

L’opportunità c’è se riusciamo ad accompagnare questi cambiamenti e a non subirli. Lo scopo è avere in futuro un effetto positivo netto sull’occupazione, alcuni lavori andranno persi, sostituiti da altri, ma dobbiamo fare in modo che il bilancio sia caratterizzato dal segno +, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Va da sé che la scelta del settore professionale sarà sempre più importante per le generazioni future.

Sì e del resto esistono già nuovi corsi di laurea e professionali improntati su questo cambio di paradigma. Altrettanto importante è valutare il cambiamento nei comportamenti di ognuno a livello di consumi, di scelte alimentari e di vita, un dato di cui tenere conto in base al nostro tipo di economia. Dobbiamo tutti prendere atto che i mutamenti climatici hanno conseguenze molto più vicine a noi di quanto possiamo pensare.