Ruggiti sulle Dolomiti
Tutto inizia il 23 settembre del 1987, quando l’albergatore di Corvara Willy Costamoling sale nelle Conturines sul sentiero verso il Fanes – sopra San Cassiano in Alta Badia – e scopre sotto la cima Conturines a 2775 metri l’ingresso della caverna, una grotta completamente buia: è la più alta al mondo in cui siano mai stati trovati resti dell’orso delle caverne e del leone delle caverne.
L’orso delle caverne era una sottospecie dell’orso speleo, l’Ursus spelaeus ladinicus o Ursus ladinicus, così denominato dal Prof. Rabeder dell'Università di Vienna in onore dei Ladini delle Dolomiti. Aveva la dentatura da erbivoro, ed era probabilmente la preda del leone delle caverne (Panthera spelaea), diffuso da 370.000 a circa 12.400 anni fa, quando la glaciazione del Würm si ritirò. Forse fino al settimo secolo avanti Cristo sopravvivevano popolazioni superstiti dei leoni in Grecia.
“La certezza è che ci fossero leoni sulle Dolomiti, probabile non fossero nemmeno pochi”
“Già nella prima campagna di scavo, nel 1988” racconta il paleontologo Herwig Prinoth, “fu rinvenuta la mandibola e un pezzo della mascella del leone delle caverne, con alcuni denti. Sia sulla mandibola che sulla mascella c’erano i denti definitivi – tranne uno, il che dimostra che il dente da latte era appena caduto”. Era un esemplare giovane, “tra un anno e mezzo e i due anni se prendiamo come riferimento la vita di leoni e tigri contemporanee. Insomma, non era un cucciolo ed era già capace di andare a caccia, non da solo ma con la madre. La cosa interessante è che entravano nelle caverne per andare a caccia dell’orso”.
Per sfuggire dai leoni a caccia dei cuccioli più facilmente predabili, l’orso delle caverne si nascondeva nelle parti più interne e buie della caverna per il letargo, in zone molto impervie. “In questa grotta delle Conturines sono stati trovati anche denti da latte dei cuccioli d’orso, che però perdevano d’estate” prosegue Prinoth, “perciò gli orsi delle caverne si nascondevano anche durante la bella stagione. Il leone non viveva nelle caverne ma ci andava a caccia orientandosi solo con l’olfatto – e qualche volta beccava la mamma orsa”. Di solito nelle caverne ci sono al massimo il 3-4% di ossa di leone: “Nella lotta tra orso e leone, vinceva il leone, ma qualche volta magari prendeva una zampata. Questo leone era giovane ed inesperto, non ha pensato all’incontro con l’orso adulto di 1200 chili. È molto probabile sia andata così”, sostiene il paleontologo gardenese.
"Nella caverna vi sono centinaia di denti da latte di orso, che non sappiamo se attribuire anche alla predazione del leone".
Sia l’uomo di Neanderthal sia l’uomo moderno hanno vissuto con questi animali. “Ci sono molte rappresentazioni nei dipinti degli uomini dell’età della pietra, circa 36mila anni fa. Sono rappresentati in branchi: maschi e femmine erano abbastanza simili, sebbene il maschio fosse più possente. Era il 20-30% più grande del leone africano, di circa due metri e mezzo di lunghezza e 250 chili, se non di più. Negli ultimi anni in Siberia sono state trovate diverse mummie di cuccioli di leone delle caverne perfettamente conservate: la pelliccia è più folta di quella del leone africano”.
Il grande mistero che avvolge la caverna delle Conturines è l’età dei reperti: “Non conosciamo l’età di questi resti”, spiega Prinoth, “dalle analisi al radio-carbonio le ossa risultano di oltre 50mila anni fa, perché il limite della datazione con il carbonio-14 è 50mila anni e quindi non possiamo sapere se siano più antiche”. I leoni non erano tipici né di una fase calda, né di una fredda, similmente alle tigri contemporanee che vivono in diverse fasce climatiche.
“La domanda è cosa ci facessero delle mamme orse a quella quota durante l’estate, con dei cuccioli: sicuramente attorno alla caverna doveva esserci della vegetazione. Non può essere una fase di glaciazione, ma nemmeno una con il clima attuale, con le prime piante che si trovano ben 400 m più in basso. Va ricercato un periodo nel quale faceva più caldo che oggi. Attorno a 120mila anni fa ci fu l’Eemiano, un periodo caldo di 10-20mila anni in cui anche sulle Dolomiti a 2800 m faceva molto più caldo di oggi”. Si tratta ovviamente di una supposizione, la ricerca va assolutamente avanti finché non c’è un dato esatto: “Datare il reperto sarebbe molto importante anche alla ricerca sul cambiamento climatico, per capire a cosa andiamo incontro” conclude Herwig Prinoth.