Casa, sussidi e prezzi alle stelle
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Le sovvenzioni all’acquisto approvate dalla Giunta provinciale nel contesto della Riforma Abitare aiuteranno a rendere le abitazioni più accessibili o rischiano di tradursi in un ulteriore aumento dei costi delle case, già considerati inaccessibili? Le nuove misure, che prevedono mutui agevolati e contributi provinciali per chi acquista la prima casa, hanno l’obiettivo di sostenere residenti e lavoratori locali di fronte ai prezzi ormai fuori controllo. Ma quali effetti reali possono avere queste misure sul mercato immobiliare? Lo abbiamo chiesto a Mirco Tonin, economista e docente alla Libera Università di Bolzano.
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Mutui agevolati
La Giunta Provinciale ha approvato il 31 ottobre il terzo pilastro della Riforma Abitare, ovvero i criteri per la concessione dei nuovi mutui agevolati e del relativo contributo provinciale, che entreranno in vigore dal 1° gennaio. La misura affianca gli strumenti già esistenti per la costruzione e l’acquisto della prima casa. L’accordo con tre banche locali prevede mutui compresi tra 50.000 e 250.000 euro (fino a 350.000 euro per le coppie), tassi agevolati con spread massimo di 0,70 punti percentuali per il tasso fisso e 0,50 per il variabile, oltre a un contributo provinciale annuale per chi accende il mutuo.
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SALTO: Con la Riforma Abitare la Giunta provinciale ha varato un nuovo pacchetto di sussidi per l’acquisto della prima casa. Che effetti hanno queste misure su un mercato che ha prezzi molto alti - possono davvero rendere le abitazioni accessibili?
MIRCO TONIN: Senza un’azione dal lato dell’offerta — per esempio se non vengono messe a disposizione nuove aree edificabili — le sovvenzioni all’acquisto finiscono per tradursi in un aumento dei costi delle case. Quando l’offerta è poco elastica, con il numero di case in vendita che rimane sostanzialmente uguale, e si spinge sulla domanda con una sovvenzione, il risultato è che i prezzi salgono, senza cambiare molto la sostanza. C’è poi una differenza quando le sovvenzioni non sono per tutti, ma vincolate a determinati criteri, come nel caso dei residenti. Con la Riforma la definizione di “residente” viene allargata - basta avere cinque anni di residenza effettiva o un contratto di lavoro in Alto Adige. Ma deve aumentare l'offerta, perché se non aumenta i sussidi si traducono semplicemente in prezzi più elevati.
Se il sussidio va solo a una parte del mercato ciò che accade è che i prezzi si alzano molto per chi non si qualifica per il sussidio, mentre per chi rientra nei criteri della sovvenzione il prezzo finale diminuisce un po’ – ovvero aumenta anche per loro, ma, una volta detratto il sussidio, pagano un po’ meno. Per chi ottiene il sussidio, la curva di domanda si sposta: se prima ero disposto a pagare 100, con un sussidio di 10 sono disposto a pagare 110, perché quei 10 li copre la Provincia.
Chi beneficia di questi sussidi in mancanza di aumento dell’offerta di case?
Con un’offerta che rimane limitata accade che per chi non accede al sussidio i prezzi aumentano e la domanda diminuisce; per gli altri, invece, il prezzo nominale sale, ma una volta tolto il sussidio, pagano meno. Per esempio: se il prezzo sale da 100 a 105 e ricevo un sussidio di 10, alla fine pago 95. Quindi il prezzo effettivo scende un po’, e la disponibilità ad acquistare cresce.
"Se l'offerta non aumenta, i sussidi si traducono semplicemente in prezzi più alti."
Questo tipo di sussidio, non universale ma destinato a una parte del mercato, va in parte a beneficio dei proprietari di case — perché i prezzi aumentano — ma anche di chi riceve il sussidio, poiché un’altra parte del mercato non ne beneficia. Se la definizione di “residente” include anche chi ha un contratto di lavoro in Alto Adige, allora l’obiettivo di rendere più accessibili gli alloggi ai lavoratori, non solo ai residenti di lungo periodo, rispondendo in parte anche al bisogno di manodopera, non è del tutto sbagliato.
La condizione essenziale però resta la stessa: l’offerta deve aumentare. Se non aumenta, i sussidi si traducono semplicemente in prezzi più alti. Se il numero di case resta a dieci, possiamo introdurre tutti i sussidi che vogliamo: la situazione non cambia. O aumenta l’offerta, oppure non se ne esce. Queste misure rischiano di essere interventi cosmetici o marginali, molto costosi e pagati dalla collettività, che finiscono per trasferire risorse in parte significativa ai proprietari di case.
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ll requisito della residenza
La Riforma Abitare approvata a giugno semplifica i requisiti per la residenza per accedere a sussidi, riducendoli sostanzialmente “ad una residenza in Provincia da almeno cinque anni o a un posto di lavoro o di studio in Provincia. Ulteriori criteri oggi previsti vengono eliminati.” L'articolo 39 della Legge Paesaggio e Territorio del 2018 è stato modificato.
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La definizione di esidenza è stata ampliata con la Riforma. Come giudica questo cambio?
La segmentazione del mercato creata dal requisito di residenza implica un beneficio per chi rientra nel sussidio, a scapito di chi non lo riceve, ma se tra i beneficiari ci sono anche lavoratori con contratto in Alto Adige, senza obblighi di lunga residenza, la misura può essere ragionevole, viste le condizioni del mercato del lavoro.
È una misura che va a sovvenzionare, anche solo indirettamente, le banche che partecipano a questa azione?
Un altro punto riguarda i mutui: quando si introducono sussidi in questo ambito, di solito aumentano i tassi di interesse, perché le banche si appropriano di parte del beneficio. Sembra però che in questo caso sia stato evitato: se davvero esiste un accordo con le tre principali banche per mantenere i tassi su livelli ragionevoli, il rischio di traslazione alle banche può essere limitato. Naturalmente i dettagli contano: in generale, se non si accompagnano i sussidi con un aumento dell’offerta, una parte del beneficio andrà alle banche e un’altra ai proprietari di immobili. Se si bloccano le banche, il beneficio va solo ai proprietari. Se si permette una maggiore offerta di immobili, allora il sussidio può avere anche un effetto reale. Se invece hanno imposto un limite allo spread e questo limite è ragionevole — e quelli di cui si parla mi sembrano tali — allora il sussidio non dovrebbe tradursi in mutui più costosi.
Non è sempre stato così in passato, soprattutto con benefici accessibili solo tramite banche locali, le uniche con la convenzione visto che le banche più grandi non sempre partecipano perché il mercato altoatesino per loro è piccolo. Quindi, per evitare che il sussidio diventi un vantaggio per le banche, l’accordo per mantenere basso lo spread va nella direzione giusta. Tuttavia, non risolve l’altro problema, anzi lo rende più serio: se gli spread restano stabili, l’aumento della domanda è più forte e si traduce in un aumento dei prezzi degli immobili se non vi è un aumento dell’offerta. La riforma vuole mettere dei vincoli sui volumi delle nuove costruzioni residenziali, nel tentativo di bloccare questi meccanismi. Ma tutti questi vincoli non si applicano agli immobili esistenti: non si può obbligare qualcuno a mettere sul mercato la propria casa. Si tratta comunque di “pezze”, si cerca di correggere uno strumento che di per sé non funziona bene — come un sussidio di prezzo — con altri interventi. Ma il problema principale resta lo stesso: se c’è domanda di abitazioni, bisogna costruire nuove abitazioni.
Tutte queste misure, sostanzialmente, mettono risorse finanziarie in un mercato già sbilanciato e poi cercano di correggerlo con ulteriori vincoli o accordi, si mettono vincoli su un tot percentuale agevolato, un tot percentuale residenziale, ma, appunto, sono tutte pezze, Quello che servirebbe davvero è un programma di costruzioni sostenuto. Non è semplice, ma è l’unica via per uscirne.
Avrebbe senso puntare di più sull’affitto e su un piano di costruzioni destinate a questo.
La Riforma Abitare punta moltissimo sulla proprietà, mentre continuano a mancare case in affitto per famiglie, studenti e lavoratori. Ha visto qualche segnale di politche più decise per aumentare il mercato degli affitti?
Non vedo molti provvedimenti in questa direzione, anche se qualcosa si sta facendo per gli studentati. Ma in una società più dinamica, dove le persone si spostano più spesso, avrebbe senso puntare di più sull’affitto e su un piano di costruzioni destinate a questo. Non tutti vogliono o possono vivere trent’anni nello stesso luogo o impegnarsi subito in un mutuo. I costi di transazione per comprare e rivendere sono alti; quindi, se uno ha un orizzonte di pochi anni non ha senso comprare.
E se vogliamo attrarre forza lavoro nuova, non possiamo aspettarci che chi arriva in Alto Adige trovandosi ad affrontare un mercato immobiliare che è molto difficile, compri subito casa. Serve un periodo per capire se il posto piace, se ci si trova bene, e in questo tempo servono affitti accessibili. Quindi sì, anche se il contratto di lavoro in Alto Adige permette di accedere al mutuo agevolato, è difficile pensare che qualcuno appena arrivato voglia investire subito mezzo milione di euro senza sapere se resterà qui. Sarebbe più realistico pensare a una fase di affitto accessibile e poi, dopo qualche anno, eventualmente all’acquisto.
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Quali priorità ha la spesa pubblica per l'abitare?
La revisione della spesa pubblica provinciale, pubblicata lo scorso aprile, analizzava nel Review Brief #10 la politica di spesa per la casa, valutando se le misure di sostegno “siano in grado di rispondere alle sfide abitative dei prossimi 10-20 anni”. Dopo aver analizzato la situazione attuale – e giudicato che “il livello dei prezzi e degli affitti rispetto al reddito è sempre più problematico – e non solo a Bolzano che è ormai divenuta “inaccessibile”, l’analisi analizza i principi che hanno guidato finora le politiche dell’edilizia, concludendo che “l’obiettivo principale finora è stato quello di fare in modo che la più ampia fascia di popolazione possibile avesse una prima casa di proprietà. Solo in via subordinata, e in tempi più recenti, si è aggiunto un secondo obiettivo, ovvero quello di un accesso alla casa a prezzi sostenibili”. Mentre il primo è stato parzialmente raggiunto (in provincia la quota di proprietà raggiunge il 70%) quello dell’accessibilità dei prezzi è molto lontano dall’essere raggiunto”. “Occorre stabilire quale priorità verrà data su scala provinciale e comunale (con le differenziazioni del caso) allo sviluppo di un mercato dell’affitto a canoni accessibili.”
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