Politik | Tra gli scaffali

Lo sgabello del Signore

Tralasciando gli aspetti grotteschi della discussione in corso, può essere di una certa utilità andare a ripercorrere gli avvenimenti che portarono le croci in vetta.

Nell’agosto del 1893 tre sacerdoti valdostani con la passione dell’alpinismo salirono sulla cima del Monte Bianco per celebrarvi una messa. Uno di loro, raccontando l’impresa, scrisse che da quel giorno il Bianco non poteva più essere considerato come una montagna profana ma era divenuto “lo sgabello ai piedi del Signore, la montagna ov’egli volle risiedere un istante: Mons in quo beneplacitum est habitare in eo”. Secondo lo storico aostano Marco Cuaz quella funzione religiosa potrebbe segnare l’avvio della conquista delle vette alpine da parte del cattolicesimo militante.

Cuaz racconta queste vicende in un libro intitolato semplicemente “Le Alpi”, edito nel 2005 da Il Mulino di Bologna*. Il volume racconta con grande scorrevolezza il susseguirsi dei tentativi più o meno riusciti di segnare il destino della catena alpina con i simboli delle ideologie religiose o laiche.

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È il contesto nel quale nasce un fenomeno, quello dei simboli issati sulle vette, che oggi torna improvvisamente di strettissima attualità a causa del dibattito sviluppatosi sulla questione delle croci di vetta.

Tralasciando gli aspetti grotteschi della discussione in corso, può essere quindi di una certa utilità andare a ripercorrere gli avvenimenti che, a partire dalla metà dell’ottocento, si sovrappongono al nuovo interesse per il mondo delle cime sino ad allora palesemente ignorato. La conquista alpinistica, racconta Cuaz, diventa quasi subito affermazione di possesso, testimonianza di orgoglio nazionalista, pretesa di fissare con un simbolo qualsiasi il frutto del proprio ardimento al servizio di una causa o di una patria.

Gli esempi di quel che avvenne in quegli anni, quasi sempre quasi solo in ambito alpino, sono innumerevoli. Le vette sono il teatro di vere e proprie gare tra le cordate che cercano di arrivare per prime e che segnano il primato con una bandiera o con una scritta. La competizione inizia ai confini tra Italia e Svizzera ma si trasferisce ben presto sulle montagne del Tirolo. “La storia della conquista del Campanil Basso di Brenta - scrive Marco Cuaz -fu un susseguirsi di bandiere giallo-nere e tricolori, con qualche stendardo della città di Trento e qualche vessillo tirolese, bianco-rosso. Bandiere piantate, tolte, rimesse, ritolte, con sfide, duelli, denunce, arresti.” Nel 1905  due alpinisti trentini, ricorda sempre Cuaz, salirono la Cima Tosa, che gli austriaci avevano ribattezzata col nome di Francesco Giuseppe, per togliere grande vessillo giallo e nero che vi avevano piantato gli alpinisti austriaci e sostituirlo con un tricolore. Un anno dopo il Sindaco di Trento, parlando ad una platea di alpinisti ebbe a dire tra l’altro: “… Per questo nostro Trentino l’alpinismo è qualcosa di più alto e più bello: il suo per noi incarna la fede nostra nei futuri destini, sintetizza l’amore a questa nostra terra, esprime la suprema di difesa dell’italianità nostra contro gli attacchi violenti degli avversari”. A questo proposito corre sicuramente l’obbligo di farecenno, sempre in quegli anni, all’ascensione, alpinisticamente meno rilevante ma politicamente dirompente, di Ettore Tolomei ad una vetta della Valle Aurina ribattezzata Vetta d’Italia.

La questione religiosa merita, nel libro, un capitolo a parte. Le messe celebrate sulle vette alpine non sono che l’inizio di un fenomeno che acquista una consistenza ben più massiccia quando, ad un altare provvisorio si sostituiscono i monumenti. Nel settembre del 1896 un congresso cattolico riunito a Fiesole annuncia l’approvazione di un piano per la consacrazione di diciannove cime, tante quanti erano stati i secoli passati dall’annuncio di Cristo, attraverso l’apposizione di altrettanti monumenti. Il primo, una colossale statua di Cristo Redentore, viene inaugurato su una cima sopra Ivrea. Via via, seguono gli altri tra i quali una colossale croce in ferro di 18 m di altezza in Toscana. Anche le montagne più alte non sfuggono a questo destino. Sempre nel 1900 viene fissata una croce commemorativa dell’inizio del nuovo secolo sul Gran Paradiso, mentre due anni dopo una guida alpina che aveva preso i voti piantò una croce sulla vetta del Cervino.

Il fatto di segnare con una statua o con il simbolo supremo del cristianesimo le vette delle montagne rientra, come spiega lo studio di Cuaz in un fenomeno, quello dello sviluppo dell’alpinismo di matrice cattolica che ha grande rilievo nell’Italia dell’epoca, nella quale i rapporti tra Chiesa e Stato erano ancora più forte conflittualità.

Le croci di oggi, quelle esistenti e quelle che qualcuno, come nel caso del Monte Baldo, vorrebbe ancora elevare sulle cime, non sono che il frutto di quelle passioni, nate nell’epoca in cui la montagna cessò di essere un minaccioso baluardo per diventare terreno di conquista, passate poi per le vicende belliche e per i conflitti che le accompagnarono.

*Il volume può essere ordinato in libreria o on-line ed è però anche disponibile per la consultazione presso le principali biblioteche altoatesine, compresa quella del CAI di Bolzano.

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pérvasion So., 02.07.2023 - 14:08

»Secondo lo storico aostano Marco Cuaz quella funzione religiosa potrebbe segnare l’avvio della conquista delle vette alpine da parte del cattolicesimo militante.« Gipfelkreuze gab es jedenfalls schon deutlich früher, so zum Beispiel auf dem Großglockner (1800) oder auf dem Kleinglockner (1799).

So., 02.07.2023 - 14:08 Permalink