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Censimenti letterari

Nicolò Tabarelli e Davide Gritti raccontano la nascita di Manaròt, rivista letteraria atesina alla sua prima uscita: "Serve un localismo più centrifugo che centripeto".
Nachlass
Foto: Manaròt

Cartacea, semestrale, locale: da due settimane sugli scaffali delle librerie indipendenti di Trento, Bolzano e Rovereto (ma non solo) è arrivata la nuova rivista di letteratura “Manaròt”. L'obiettivo dei curatori Nicolò Tabarelli e Davide Gritti – entrambi lombardi, arrivati a Trento per gli studi universitari – è dare voce a giovani autori e autrici del Trentino-Alto Adige/Südtirol e alle contaminazioni letterarie del nostro territorio di confine. Dopo aver presentato in anteprima la rivista, Salto.bz ha intervistato i due curatori.

Salto.bz: Com’è nata l’idea di fare una rivista letteraria, con questa base regionale trentino-altoatesina?

Nicolò Tabarelli: Fondamentale è stato l'esserci incontrati a Trento per gli studi universitari. Io sono di Milano, anche se con origini trentine da parte di padre. Il Trentino lo conoscevo da forestiero, avevo qualche impressione, ma cadevo nello stereotipo della Trento in cui non succede nulla. Dalla frustrazione iniziale, col tempo mi sono reso conto che a Trento c’è quasi tutto – quindi per fortuna non proprio tutto, ad esempio non una rivista letteraria, che ancora mancava. Quando ho conosciuto Davide, all’università, abbiamo iniziato a parlare di letteratura: entrambi arriviamo dal giornalismo, e ci siamo resi conto che nello scrivere ci ha mosso primariamente il desiderio di fare, scrivere narrativa. L’idea di fondare una rivista letteraria nasce da quest’esigenza e dalla volontà di trovare altra gente che scrivesse. 

In Trentino e Sudtirolo, soprattutto.

Nicolò: L’impostazione localistica non vuole essere né limitata né limitante, ma aperta al panorama nazionale. Per noi l’area atesina – ovvero l’Alto Adige/Südtirol e il Trentino – è un luogo con una particolare ricchezza di spunti narrativi, per la sua posizione geografica sugli assi nord-sud e nord-est. Anche grazie alle università c’è in nuce un germe di contaminazione, quello che crea grandi momenti culturali. Oltre ai richiami geografici ci sono infatti quelli storici: Trento fu protagonista del ‘68 italiano.

Per noi l’area atesina è un luogo con una particolare ricchezza di spunti narrativi.

E come nasce l’idea di scommettere sul cartaceo nell’epoca dell’online?

Davide Gritti: C’è un motivo primario che si lega all’elemento localista. Volevamo fare una rivista che raccogliesse gli stimoli del territorio e che avesse la capacità di restituire qualcosa a quel territorio. Ci tenevamo che fosse veramente una rivista cartacea, che comparisse in un piccolo ma significativo numero di librerie qui e nel resto d’Italia. C’era anche il tentativo di valorizzare il lavoro primariamente degli autori, e “oggettificare” un gruppo: l’idea quindi non solo di fare scouting tra autori locali, ovvero un censimento di quali siano le voci e i narratori, ma anche di portare avanti un discorso con loro. Creare una rivista cartacea con una propria identità grafica, visiva, aiuterà a rendere Manaròt una realtà in tutti i sensi.

Mi ha colpito l’uso del termine localista non in chiave negativa. Il Trentino-Alto Adige ha in effetti una componente localista molto forte, cui si aggiunge l’elemento plurilingue. Scrittori come ad es. Marco Balzano hanno fatto conoscere al grande pubblico nazionale storie provenienti dalla nostra regione, ma pur essendoci realtà editoriali locali molto forti, facciamo fatica a “esportare” nostre autori e autrici. Come vi approcciate al tema del “locale” e come volete svilupparlo?

Davide: Localismo è una parola che genera reazioni diverse: non è regionalismo, ma la dimensione minore di un fenomeno culturale, un fenomeno appunto locale. È una cosa tipica delle zone, non vorrei dire “di provincia”, ma diciamo “non centrali”: spesso le narrazioni, e i narratori, vengono importati da fuori. Ci sarà sempre una storia molto forte e il grande romanziere che la prende. Per quanto ci riguarda, abbiamo messo subito le mani in pasta: il nostro primo approccio alla letteratura locale è stato andare nelle librerie di Trento, rendendoci conto di una scena culturale fertile, pur senza grandi autori sbandierati – per quanto ce ne siano alcuni con una discreta fama, per esempio Giacomo Sartori. Ma al di là delle voci singole, non c’era mai stato il tentativo di un localismo più centrifugo che centripeto. Nel caso di Bolzano il rapporto era di vaga conoscenza: abbiamo preso contatto con Flavio Pintarelli e attraverso di lui siamo arrivati a Maddalena Fingerle. Vogliamo coprire in tempi ragionevoli sempre più aree, sempre più mondi, partendo dal basso, per capire se esiste una letteratura atesina e, se sì, cercando di farla. Non basta la pura dimensione linguistica: non c’è una letteratura in dialetto trentino, non ce n’è una propriamente dalla comunità di lingua tedesca dell’Alto Adige. È una letteratura di confine che nasce da questo scambio, e difatti Nachlass è un numero con tanto conflitto dentro. 

 

Abbiamo deciso che chiameremo le “call” agli autori “censimenti”. L’idea è di sondare ciò che offre il territorio. Un intento di scoperta.

Nicolò: Nello stesso periodo del mio arrivo a Trento stava aprendo la libreria duepunti. Intervistai i due librai per The Submarine e nell’ultima domanda chiesi loro di consigliare qualche autore trentino che valesse la pena leggere. Federico Zappini andò in crisi, mentre Elisa Vettori mi consigliò Tristi montagne. Guida ai malesseri alpini di Christian Arnoldi, che è un sociologo, mentre Federico mi citò Daniele Rielli (noto anche come Quit the Doner). Ma Elisa disse che non sapeva bene se Arnoldi fosse veneto o trentino, “di sicuro è uno scrittore alpino”. Già lì c’è stato un primo segnale sulle difficoltà nel delimitare quest’area: area alpina? Altoatesina? Trentina? Dopo esserci scervellati un po’, abbiamo pensato alla rivista “atesina” come a una scommessa. Una piccola rivelazione: abbiamo deciso che le “call” agli autori le chiameremo “censimenti”. L’idea è di sondare quello che offre il territorio. Un intento di scoperta.

Com’è stata recepita la rivista, ora che è uscito il primo numero? Qual è il “lascito” di Nachlass?

Davide: Abbiamo fatto una tiratura piccolissima – cento copie – per avere il polso, ma il 95% dei libri che escono tutti i giorni in Italia vendono meno di cento copie. Ebbene, la prima tiratura è andata esaurita: oltre a essere un buon risultato per la sostenibilità del progetto, possiamo desumere ci sia l’interesse, anche dalla reazione dei librai con cui abbiamo parlato di persona. Più a sud andavamo, più l’elemento “atesino” era esotico, anche se ovviamente non c’è nulla di antropologico nel nostro lavoro, mentre su Trento il timore è che potesse essere vista nel senso negativo di “locale”, come la “nostra” rivista, ma per fortuna non è andata così. E l’interesse è arrivato persino dalla Sicilia. 

Nicolò: A me ha colpito l’interesse di un pubblico non solo specialistico. Una buona parte di queste cento copie vendute sono state acquistate da un pubblico non specialistico, e lo vediamo dalle interazioni sui social. C’è fame di narrativa italiana giovane che nasca dal territorio, ed è il riscontro che mi ha stupito di più. Questo rende ancora più inaccettabile le accuse al pubblico dei lettori.

Evidentemente si sta consolidando la curiosità verso il formato antologico che raccolga racconti brevi o reportage.

Davide: Una rivista come la nostra, che abbia la chiara direzione d’occuparsi di letteratura, e non ad esempio di giornalismo, non può che essere essenzialmente antologica, non può che fare racconti. È una forma obbligatoria per la natura degli autori e gli obiettivi che ci prefiggiamo. Pur essendo una rivista cartacea, più il prodotto diventa breve, più si presta a una visualizzazione, una digitalizzazione. Ma se avessimo creato un portale, un sito con questi racconti, Nachlass non avrebbe avuto alcun impatto, con così pochi racconti.

Nicolò: Per ogni idea si deve trovare il medium più adatto: per la narrativa e la letteratura pensiamo sia ancora il formato del libro stampato, per il fatto che si giri la pagina e non “scrolli”, perché crediamo permetta una fruizione migliore non solo per una questione puramente estetica. D’altronde “scroll” vuol dire proprio “pergamena”. Lo scenario profetizzato dieci anni fa, della fine della carta con l’avvento del digitale, non si è avverato.

Il tema del prossimo censimento?

Nicolò: Abbiamo già un’idea non definitiva. Probabilmente arriveranno delle sorprese già in primavera, ma Manaròt è una rivista semestrale e perciò il secondo numero uscirà nel luglio 2021. Noi cerchiamo attivamente le persone, e abbiamo un meccanismo di “campionamento a palla di neve”: agli autori chiediamo se conoscono qualcuno di interessante da contattare, che scriva bene, e così procediamo nella nostra ricerca, nel nostro censimento.

Davide: Esiste un fattore diciamo burocratico-commerciale che consente di pubblicare riviste come fossero libri – ma noi ci siamo detti che doveva essere una rivista continuativa. Nonostante questo, cerchiamo di creare degli oggetti a sé stanti, che restituiscano un’immagine certo nebulosissima, ma comunque un’immagine.