8 marzo, sciopero globale delle donne
“Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo”. Questo è slogan dello sciopero generale delle donne da tutte le attività produttive e riproduttive.
Lo sciopero, che avrà luogo in Italia e in altri 40 Paesi nel mondo, per 24 ore su 24, l’8 marzo, giornata internazionale della donna, si potrà realizzare in tutte le forme possibili: per esempio astensione dal lavoro, pratica del picchetto, cortei, sciopero bianco, astensione sessuale e in mille altri modi.
A indire lo sciopero sul territorio nazionale è il movimento femminista “Non Una Di Meno”, che riunisce donne, associazioni, collettivi, centri antiviolenza ed ha già organizzato il 26 ed il 27 novembre scorso a Roma la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne.
La rete femminista sopra citata, che mira a elaborare un piano antiviolenza da presentare al governo, indica tra i motivi dello sciopero la battaglia contro le discriminazioni delle donne nella società e sul lavoro, i femminicidi, ogni forma di violenza, tra cui l’oppressione, lo sfruttamento, il sessismo, il razzismo, l’omo e transfobia.
Su questi temi abbiamo sentito la vicepresidente della commissione provinciale delle pari opportunità Franca Toffol, che precisa di esprimersi non a nome di tutta la commissione, ma a titolo personale.
salto.bz: Vicepresidente, qual è a suo avviso il senso dello sciopero generale delle donne dell’8 marzo?
Franca Toffol: Con questo sciopero si vuole legare la lotta per i diritti delle donne non al singolo territorio ma all’economia e alla struttura sociale complessive. Ulteriore obiettivo è dare visibilità all’universo femminile in tutti gli aspetti di vita al di là di ruoli, stereotipi e pregiudizi.
Qual è la criticità delle politiche sulle donne?
Si deve uscire dal corto circuito, secondo cui si ritiene che le politiche di genere e quelle sulle pari opportunità rientrino in un ambito di competenza puramente femminile, sicché si deve operare con un procedimento inverso: il genere deve entrare nelle politiche. Altrimenti, si delega solo a una parte della società un cambiamento che deve invece riguardare tutti, donne e uomini. Si deve essere consapevoli del fatto che una discriminazione, in qualsiasi forma sia praticata, costituisca un problema collettivo.
Quali sono le maggiori difficoltà delle donne nel mondo del lavoro?
A livello dirigenziale e ai vertici delle imprese vi sono ancora poche donne. Le carriere delle donne sono spesso bloccate. Il part-time è la modalità di lavoro cui ricorrono in prevalenza le donne e in genere è imposta. In Alto Adige il divario retributivo di genere (la differenza salariale tra uomini e donne a parità di mansione svolta, ndr) è al 17%, dato costante da anni. Stipendi e pensioni ne risentono, specie nel settore privato.
Il lavoro di cura, a oggi, grava ancora soprattutto sulle donne.
La responsabilità del lavoro di cura dovrebbe ricadere sia sugli uomini sia sulle donne. Diversamente si crea una catena terribile: donne che curano i bambini o gli anziani altrui sottraggono affetto, tempo e risorse ai propri figli, che vengono, infatti, definiti ‘orfani bianchi”, ed ai propri familiari. Questo danno morale, fatto di sofferenza per i propri cari, che sovente vivono in altri Paesi, dovrebbe essere riconosciuto.
Quali modifiche legislative sono secondo lei necessarie?
La nostra legislazione è avanzatissima. Si deve piuttosto agire a livello culturale e formativo. Si deve educare al rispetto, inteso nel senso più ampio del termine. Di conseguenza cambierà il mondo delle relazioni personali, lavorative e politiche.
Qual è il primo passo da compiere in tale direzione?
Bisogna cominciare dalle scuole. Negli asili di molti Paesi nordici i bambini e le bambine imparano insieme a pulire l’aula e a svolgere costruzioni o altri lavori. In tal modo già da piccoli si apprende che le diverse attività della vita possano essere svolte sia da donne sia da uomini senza distinzioni di sorta.
E nelle scuole elementari, medie e superiori?
Funzionano molto bene i corsi di formazione. L’insegnamento non deve essere offerto in una materia ad hoc, ma deve essere trasversale.
Dal suo punto di vista com’è rappresentata la donna in televisione e nelle pubblicità?
I media tendono a operare una delegittimazione morale delle donne. Il mondo della pubblicità è di un’aridità spaventosa; l’immagine della donna, che se ne ricava, è deprimente. Campeggia il modello della casalinga che pulisce. E’ aberrante. Dove è finita la creatività pubblicitaria? Nei talk-show politici le donne sono poi sottorappresentate: la percentuale di esperte invitate a esprimersi sui temi della politica e dell’economia è piuttosto bassa. E’ vero che molti spettacoli siano condotti da donne, ma essi sono spesso di basso profilo e costituiscono purtroppo ancora un veicolo di stereotipi femminili. Ne deriva in modo inevitabile che anche gli uomini rimangano incastrati in determinati ruoli.
Dove emerge invece al meglio la figura femminile?
Esempi luminosi sono quelli di donne che con la loro serietà e autorevolezza professionali nelle trasmissioni televisive di approfondimento giornalistico analizzano le più disparate situazioni sociali. Bene anche quelle soap-opera che mostrano tutte le sfaccettature delle donne nella multiforme realtà in cui queste ultime si muovono.
Donne in tutti ruoli, anche in quelli di vittime di crimini. A tale proposito lei trova giusto che per indicare tali delitti si usi il termine “femminicidio”?
Sì, il femminicidio è un crimine distinto da tutte le altre tipologie di reato: si tratta di un omicidio perpetrato sulla base dell’appartenenza a un genere.
Cosa può fare il legislatore per contrastare il fenomeno della violenza sulle donne e per sostenere le vittime?
In primis, si dovrebbe prevedere che dopo la denuncia di violenza o di stalking da parte della donna l’uomo debba essere allontanato immediatamente da casa. Adesso, invece, sono spesso le donne a essere costrette a lasciare la propria residenza alla ricerca di un luogo sicuro dove continuare a vivere. Dovrebbero altresì essere disposti maggiori finanziamenti alla casa delle donne, unici presidi territoriali efficaci. Dovrebbe inoltre essere introdotto, come avviene in Spagna, l’obbligo per gli uomini maltrattanti di seguire percorsi di terapia psicologica.
Un dramma è costituito dai figli, il cui padre ha assassinato la madre o la cui madre ha assassinato il padre. Come si dovrebbe intervenire in queste situazioni?
Questi figli si dovrebbero equiparare alle vittime di terrorismo, così che essi possano ricevere i necessari sussidi psicologici ed economici.
E nei casi di violenza assistita, ossia di soprusi fisici e/o psicologici commessi da un genitore nei confronti dell’altro alla presenza dei loro figli?
I figli ricevono modelli relazionali deteriorati. Per tali situazioni sono necessarie tutele specifiche da studiare ad hoc.
Dalle cronache recenti si è appreso che alcune donne abbiano riscontrato difficoltà a abortire a causa del numero esiguo o assente di medici disposti a operarle in diversi ospedali. Come valuta i concorsi pubblici dedicati solo ai medici non obiettori di coscienza?
Sono d’accordo. Peraltro, a oggi, i medici non obiettori sono in genere in numero inferiore rispetto agli obiettori di coscienza e così essi rischiano di sentirsi marginalizzati e ghettizzati. Dovrebbe cambiare la norma: a livello legislativo si dovrebbe stabilire che nelle strutture pubbliche debbano esserci solo medici non obiettori di coscienza, ferma restando la possibilità per i medici obiettori di coscienza di esercitare la propria attività nelle strutture private. In tal modo non aumenterebbero gli aborti, ma si garantirebbe alla donna di interrompere la gravidanza in condizioni di decenza sanitaria e con tutta l’assistenza psicologica, di cui necessita. E’ un diritto che non può essere negato.
Infine, con l’ordinanza del 23 febbraio scorso la Corte di Appello di Trento ha riconosciuto a due uomini la paternità rispetto a due bambini nati negli Usa grazie ad una gestazione per altri. Cosa ne pensa della maternità surrogata?
E’ accettabile, solo se la maternità surrogata sia totalmente gratuita e se garantisca la parità tra le parti nonché la scelta libera della partoriente. La donna deve poter avere la possibilità di mutare orientamento o, qualora permanga nel suo proposito, di mantenere un rapporto col figlio. La maternità surrogata a titolo oneroso è invece una forma di sfruttamento delle donne, sovente in condizione di indigenza e crea un mercato che mi scandalizza.
Ein größeres Bild gab es wohl
Ein größeres Bild gab es wohl nicht? Egomanie hoch drei!
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