Così lontani, così vicini
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Se la solitudine si potesse toccare avrebbe la stessa consistenza di questo film qui: All of us Strangers (Estranei, il titolo italiano) del regista britannico Andrew Haigh, che già si era fatto notare con Weekend e 45 years, è un dramma penetrante, intimo ed emotivamente devastante. Roba che usciti dal cinema viene voglia di andare a vedere una cosa qualsiasi con dentro Jason Statham che spacca setti nasali un po’ a chi capita.
Cos’è
È una storia d’amore indie queer ma coi fantasmi. Il film, liberamente adattato dal romanzo Strangers di Taichi Yamada, mette al centro della storia Adam, uno sceneggiatore quarantenne interpretato da Andrew Scott che vive in un appartamento di un grattacielo londinese curiosamente vuoto. Una sera un vicino di casa che sembra essere l’unico altro inquilino dell’edificio, Harry (Paul Mescal), si presenta mezzo ubriaco alla sua porta con una bottiglia di whisky giapponese e si autoinvita a entrare: “Se non per un drink, per qualsiasi altra cosa tu voglia”. Lo scrittore, per timidezza, paura o semplicemente perché i legami interpersonali non sono il suo forte, respinge l’avance non senza un certo rammarico. Più o meno nello stesso periodo Adam inizia a prendere il treno per la periferia sud di Londra in cui è cresciuto, arrivando alla sua casa d’infanzia dove fa visita ai suoi genitori (Jamie Bell e Claire Foy), che non vede da molto tempo. Tutto ciò che accade dopo lo omettiamo per non rovinarvi la visione del film.
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Com’è
La scelta di non spoilerare quello che succede in All of us Strangers prevede una performance di funambolismo da Circo Barnum. Dunque: possiamo dire che il film gioca con il tempo, il luogo e la coscienza in modo audace e non convenzionale. È una storia di dolore e guarigione, in cui Haigh cattura con maestria e intelligenza la catarsi che scaturisce dall’elaborazione del proprio lutto e dall’imparare a vedere i propri genitori come tutti gli altri esseri umani, imperfetti e fallibili. Allo stesso modo il filmmaker inglese riesce a distillare la complessa essenza di una relazione con un’acuta percezione della natura umana e del potere riparatore del legame, mentre la concezione soprannaturale funziona in una modalità terapeutica.
Scott ritrae un protagonista smarrito, incastrato in una solitudine radicale e nella sospensione emotiva che gli ha impedito di andare avanti, bloccato - letteralmente - nel passato, in lutto per una vita che non ha mai potuto vivere. È un’interpretazione intrisa di malinconico struggimento, emotivamente e psicologicamente stratificata. La relazione di Adam con Harry (figura cruciale di questa opera da camera metafisica) inizia come un’avventura, un modo per allontanare quella solitudine, profonda e innegabile, che accomuna entrambi. C’è qualcosa di disperatamente dolente nello sguardo di Mescal che inizia a decodificarsi solo quando il film scorre nel suo densissimo atto finale che si chiude sulle note di The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood.
Poi lacrime a fiumi che non sto nemmeno a dirvi.
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